martedì 28 ottobre 2014

Il Madagascar di padre Giuseppe Nicolai

Dal 1987 il sacerdote dehoniano vive la sua esperienza missionaria nel Paese africano dove vive «un popolo povero ma sempre contento». «Sono disponibile allascolto e a incontrare le necessità materiali e spirituali delle persone»
Abbiamo incontrato padre Giuseppe Nicolai, imolese di adozione, missionario in Madagascar. Gli abbiamo chiesto di parlarci della sua attività e dei suoi rapporti con il popolo malgascio.
Come è nata la tua vocazione ?
Sono in Madagascar dal 1987, da più di 20 anni; sono missionario della congregazione del Sacro Cuore di Gesù, più popolarmente conosciuta come dehoniani.
Ero religioso, diacono. Ad un certo punto ho sentito la necessità di partire per la missione e sono stato inviato in Madagascar dove la mia congregazione era già presente da anni.
Perchè hai rispreso gli studi?
 Andando nei villaggi, dove le persone aspettano e chiedono la presenza del sacerdote, mi sono reso conto delle tante necessità della gente e sentendo il vescovo, che desiderava avere altri sacerdoti per soddisfare il più possibile i bisogni spirituali del suo popolo, ho chiesto di riprendere gli studi. Sono tornato per quasi tre anni in Italia, ho terminato gli studi di teologia e nel 1995 sono ripartito per il Madagascar come missionario sacerdote.
Cosa hai visto in Madagascar?
Nel corso degli anni mi sono convinto che rapportarsi con il popolo del Madagascar significhi soprattutto essere disponibili all’ascolto, pronti a venire incontro alle necessità delle persone. Le necessità sono tante e diverse: da quelle materiali (molti hanno bisogno di vestiti, di scarpe, ecc.) a quelle spirituali. I malgasci hanno bisogno di una guida, della presenza del sacerdote, che sentono come un "inviato di Dio". Per loro il missionario è una persona che lascia la propria terra, i propri affetti per restare con loro e condividere la loro vita. In cambio danno tanta gioia e serenità: è difficile vedere un malgascio triste, cominciando dai bambini ai giovani e agli adulti. Ho visto adulti malati, lebbrosi, malati di tubercolosi ricoverati dalle suore sempre con il sorriso sulle labbra, capaci di esprimere la gioia di vivere. Non si lamentano mai, ma dicono: c’è sempre qualcuno che sta peggio di me.
Quali sono le condizioni di vita dal popolo malgascio?
La vita della gente è molto semplice. Lì si coltiva prevalentemente il riso. Abbiamo insegnato nuove tecniche agricole, portato vari strumenti di coltivazione e proposto altre colture. La terra è molto fertile e i malgasci hanno voglia di lavorare: non si può certo dire che siano pigri: basta vederli lavorare sotto il sole cocente a 40-45 gradi per delle ore per raccogliere il frutto del proprio lavoro. Nella zona in cui vivo c’è anche molta pesca, siamo sul più grande lago del Madagascar, che è molto pescoso e con tante varietà di pesce, che viene anche essiccato e venduto in altre zone. Pure il riso prodotto (la nostra zona è la risiera del Madagascar) serve per il consumo interno e viene esportato, assieme al pomodoro. Il problema maggiore è la mancanza di acqua e per supplire a ciò abbiamo insegnato a scavare pozzi, per cui nei villaggi più grandi vi sono ora pozzi e pompe per l’acqua. Nelle case non c’è acqua corrente. La vita in Madagascar è diversa da quella alla quale siamo abituati in Italia; se un ragazzo mi chiedesse di parlargli della vita dei malgasci gli direi semplicemente: vieni, vedi, sperimenta… e poi fai!
Qual è la situazione sociale?
In Madagascar non c’è una classe media: vi sono i poveri, che sono davvero poveri, e i ricchi.
Il Paese sta vivendo un periodo di trasformazione.
Avete mezzi d’informazione che consentano la conoscenza della situazione reale?
I giornali arrivano solo nelle grandi città, non nei villaggi. L’informazione nei villaggi è possibile solo attraverso la radio; c’è una radio quasi nazionale, gestita dai Salesiani, "Radio don Bosco". La televisione si vede solo nelle città e non nell’interno dell’isola; d’altra parte i televisori costano moltissimo ed i malgasci non possono acquistarli. Nelle città ci sono anche i computer e internet, altrove non ci sono, anche perché non c’è corrente elettrica. Questa comincia ora ad arrivare, per qualche ora al giorno, nei villaggi più grandi.
Quali sono gli impegni nella tua giornata-tipo?
Posso parlare della giornata della piccola comunità in cui vivo. Siamo in tre: io, un sacerdote malgascio ed uno studente che si prepara ad affrontare gli studi di Teologia. La nostra giornata inizia alle 5; alle 5.45 ci sono le Lodi in chiesa con la gente e le suore; poi si celebra la Messa e, dopo la colazione, si inizia il lavoro. Abbiamo un campo da coltivare: il sacerdote e lo studente lavorano lì; io resto in casa per ricevere le persone che vengono continuamente per le loro necessità. Altrimenti vado nella città vicina, che dista 22 chilometri e mezz’ora di viaggio, per varie necessità. Tutti i lunedì ci vado per partecipare alla riunione di tutti i sacerdoti, organizzata dal vescovo. Durante la settimana mi capita di ritornarvi per alcune commissioni: abbiamo una piccola falegnameria ed una piccola officina meccanica e spesso occorrono attrezzi o pezzi per le macchine. Si pranza alle 12, poi si riposa un po’ e si riprendono le attività alle 14, con le visite alle persone, nei quartieri, fino alle 18-18.30. Poi c’è l’Adorazione, il Vespro e la cena. Dopo cena ci si ferma un po’ a parlare e poi si va a dormire.
Come sono organizzate le vostre comunità e le chiese?
Abbiamo venticinque villaggi e venticinque chiese. Nei villaggi i catechisti sono il braccio destro dei sacerdoti e fanno ciò che in Italia fanno solitamente i diaconi, i ministri e gli educatori: si interessano sia delle cose spirituali, sia delle necessità delle persone e fanno fronte alle diverse urgenze. Si occupano della scuola di catechismo, curano la liturgia della Parola nelle varie chiese, dove il sacerdote non può essere presente. C’è poi, in ogni villaggio un comitato, formato da un presidente, un segretario e un economo, che organizza il coordinamento fra tutti gli ambiti della pastorale ed è il punto di riferimento fra la comunità e il sacerdote.
Come valuti, nel complesso la tua esperienza?
Arrivando là mi si sono aperti vasti orizzonti: ho certamente incontrato difficoltà , ma ho trovato anche tanta gioia nella risposta delle persone, e quindi tanta soddisfazione. Ringrazio sempre il Signore per avermi dato l’opportunità di fare questa grande esperienza.
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23esimo ritratto di Spazio (all’altro) Tennis tutto dedicato alla realtà tennistica del Madagascar. Ad accompagnarci in questo percorso l’attuale capitano del Team di Coppa Davis Rajaobelina Rija Terry.
Gli inizi e il primo approccio col tennis: “Ciao a tutti, sono Rajaobelina Rija Terry, ho 42 anni e sono nato e cresciuto ad Antananarivo, capitale del Madagascar. Dal momento che vivevamo nelle vicinanze di un Club all’età di 11 anni mi sono deciso a provare questo sport ed essendomene subito innamorato, passavo intere giornate ad allenarmi contro il muro del garage. Così quando i miei genitori si sono resi conto che non riuscivo a staccarmi dal tennis mi hanno portato dal più famoso allenatore della città, Max Randriantefy, dicendomi che “se volevo fare questa cosa, allora avrei dovuto farla al meglio”.
I primi spostamenti e l’incontro chiave con Dally e Natacha Randriantefy: “Un giorno Max mi ha presentato le sue figlie Dally e Natacha (rispettivamente top 50 e top 325 Wta) che erano già indirizzate verso un futuro nel tennis. Dopo qualche allenamento mi ha proposto di unirsi al loro team, ma i miei genitori preferivano che andassi a studiare in un college francese e così ho rinunciato, arrivando poi (con il sogno del tennis sempre in testa) a laurearmi in ingegneria informatica. Pochi anni dopo sia Dally che Natacha incontrarono difficoltà a sostenere economicamente un’intera stagione in giro per il mondo e così ho proposto loro di raggiungermi in Francia per guadagnare denaro su tornei minori, reinvestendoli poi nel circuito maggiore. E’ li che ho iniziato una nuova carriera che mi permetteva di giocare, ma anche di fare da allenatore, dirigente, sparring partner e anche autista!. Ricordo ancora i viaggi che facevamo su questa vecchia auto in giro per i tornei come la parte migliore della mia vita!”.
Uno sguardo completo sul Madagascar, tra fattori socio-economici e tanta voglia di investire sul tennis: “Il Madagascar è uno stato molto grande che può essere paragonato, in termini di superficie, a Francia, Belgio e Olanda, con una popolazione superiore ai 22 milioni di abitanti, una soglia di povertà al 92% e un salario minimo di circa 50 euro. Da queste prime considerazioni potrete ben capire come giocare a tennis sia già una sorta di lusso. Ad Antananarivo abbiamo 8 Club con 7 campi molto ben attrezzati, allenatori competenti e in aggiunta altre piccole strutture sparse per il paese. Mi rendo conto che non è moltissimo e che complessivamente siamo meno organizzati rispetto ad altri Stati, ma quello che ci rende determinati è l’amore per la competizione e lo sport in generale, a cui va ad aggiungersi il sogno sempre vivo di ripetere le gesta della nostra miglior giocatrice, l’ex numero 44 Wta Dally Randriantefy”.
Le difficoltà economiche sulla strada del “sogno”: “Ovviamente dobbiamo scontrarci però con più di una difficoltà, essendo il tennis uno sport costoso ed essendo noi costretti a spostarci dall’isola dove abitiamo per gareggiare nei tornei. Basti pensare che per l’ultima trasferta di Davis in Egitto abbiamo dovuto organizzare una campagna fondi in loco e su facebook a causa dell’impossibilità dell’Associazione Nazionale di pagarci i voli. Tutte queste continue difficoltà psicologicamente sono un freno enorme per i nostri giovani talenti, ben consapevoli inoltre di dover abbandonare molto presto il loro paese se determinati ad impostare la loro vita sul gioco del tennis”.
Capitolo Coppa Davis, tra il passato di Rajaobelina e le sue speranze nel futuro: “Per quanto mi riguarda ho giocato 18 volte in Coppa Davis e non so dirvi quanto mi abbia reso orgoglioso. Stiamo lavorando per ottenere fondi dal governo per la costruzione di un campo nazionale di tennis e speriamo che l’approdo in Madagascar di grandi squadre possa velocizzare questo progetto. Attualmente ho l’onore di essere il capitano di Coppa Davis, ruolo che condivido con la mia compagna Natacha Randriantefy, capitana di Federation Cup. Nel complesso tutta la mia famiglia si sta adoperando con grande passione e dedizione per il futuro tennistico del Madagascar visto che Dally ha il suo Club e sta spingendo per dare luce a qualche Itf e suo padre Max continua ad allenare nella sua Accademia ad Antananarivo”.

-Le conclusioni finali di Terry, con uno sguardo sempre lucido ai progetti futuri:
 “Tenendo sempre ben presenti le notevoli difficoltà economiche del nostro paese direi che complessivamente il tennis è uno sport che si difende bene in Madagascar. Questo ci porta a continuare a lavorare con serietà e grande passione, cullando sempre il sogno di tornare a vedere qualche giovane nostro talento calcare il circuito maggiore e tornare a disputare un torneo del Grande Slam”.

Il tennis in Madagascar
di Enrico Maria Riva
Un polacco che si mette a fare osservazioni sulla complessità di pronuncia di un cognome è un’avvenimento che desta attenzione. Quando Grzegorz Panfil ha confessato di non essere in grado di scandire il nome del suo avversario nella sfida di Davis disputata la settimana scorsa è stato necessario indagare oltre. E’ venuto fuori che aveva ragione: citare Antso Rakotondramanga è lavoro per abili logopedisti. Eppure è la normalità in Madagascar, terra di pochissimi giocatori di tennis, tra cui si annoverano i compagni di squadra di Antso: Ando Rasolomalala, Jacob Rasolondrazana e Lofo Ramiaramanana.
Il Madagascar è un paese africano fino ad un certo punto. E’ distante dal continente, ha risorse scarse rispetto ai vicini continentali ma è meta costante del turismo europeo. Non c’è albergo o resort sull’isola che non abbia un campo da ma difficilmente a giocare ci si mettono anche i locali. Fino agli anni ’90 almeno.

Qualcuno ricorderà la storia di Dally Randriantefy, la 17enne che nel 1995 arrivò sino al terzo turno degli Australian Open, battuta da quella Mary Pierce che alla fine avrebbe sollevato il trofeo, e che raggiunse la posizione numero 44 del mondo. Una storia esemplare su come l’isola sia ancora legata a doppio filo all’Europa: Nick Possa, svizzero proprietario di hotel è in vacanza ad Antananarivo, la vede giocare e capisce di aver trovato un talento e con un gruppo di amici si organizza per trovarle degli sponsor. Grazie ai programmi Itf per lo sviluppo del tennis juniores Dally inizia ad essere seguita da coach professionisti e in breve tempo diventa l’atleta più famosa di sempre in Madagascar. I suoi 7 titoli rimarranno tutti a livello Itf ma è una distinzione a cui pochi prestano attenzione sull’isola.

Speranze per lo più al femminile quelle del Madagascar ma che sembrano mostrare segni di continuità confortante in Zarah Razafimahatratra (nella foto ), due volte campionessa africana junior e con ambizioni da alta classifica. Nata tennisticamente in Sudafrica Zarah ha sfruttato l’onda lunga di Dally con cui il padre Julien si allenava in gioventù prima di diventare coach nel Ambohibao National University Tennis Center. Per anni e sotto diverse Federazioni, il tennis malgascio è evoluto su due binari paralleli. Il primo, altamente infruttuoso, è stato quello di cercare la strada del professionismo da soli, il secondo è invece passato attraverso il Centro ITF di Pretoria, con l’obiettivo di costruire una buona carriera Junior per poi continuare possibilmente in un college americano grazie alle borse di studio.
A livello maschile le cose sono sempre andate maluccio. Rakotondramanga è l’unico giocatore ad avere attualmente una classifica Atp con 1 punto, conquistato peraltro grazie alla sconfitta contro Panfil in Davis. Se si esclude John van Lottum, olandese nato ad Antananarivo e numero 66 del mondo nel 1999, bisogna spulciare sul sito Itf per scoprire due cose: una interessante e una maniacale. La notizia interessante è che il primo giocatore malgascio di cui ci sia traccia ufficiale risale agli anni ’60. Si tratta di Martin Razafindrakoto, si sa che è nato nel ’47 ma non si va oltre. Quella maniacale è che ci sono 18 giocatori nell’elenco ufficiale e di questi 14 iniziano per R (A livello femmninile sono 12 su 13). Vorrà pur dire qualcosa…
Tornando seri, in questo periodo la federazione tennis malgascia non naviga in acque tranquille. Il debito di 47.000$ accumulato tra il 2005 e il 2010 con l’Itf è stato onorato solo parzialmente e i 22.000$ che rimangono ancora da pagare rischiano di bloccare a lungo lo sviluppo del tennis locale. La speranza è quella di mantenere il gruppo II di Davis e per farlo occorrerà sconfiggere il Lussemburgo.
Fonte : http://www.spaziotennis.com/
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e i miei compagni nel pescare le acque del Madagascar

MERAVIGLIOSO

“… Ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso...”
Ne é passato di tempo da quando il  “Mimmo nazionale” cantava questi versi. E che nostalgia…
Allora il mondo sembrava veramente meraviglioso, e la gente sorrideva un po’ di più.
Oggi c’é qualcuno che vuole togliere il respiro alla terra e ai suoi abitanti.  C’é chi crede di essere il proprietario della vita e non si accorge che la sta distruggendo.  Ma come si fa ad essere così drammaticamente imbecilli da non rendersi conto che viviamo contro natura e che invece basterebbe poco (si fa per dire...) per riprendere in mano il miracolo della vita.
Disastri, terremoti, alluvioni, i cieli feriti... e adesso anche la neve di plastica!!!
Hanno negato alla terra il bisogno di accogliere l’acqua, ne hanno occlusi i pori così da impedirle il naturale assorbimento... la terra sembra che non abbia più sete...
Il veleno che sgorga dalle menti di questi predatori di coscienze, dai cieli inonda la terra lasciando tracce di dolore per tutti. Incomprensione, stupore e tristezza.
E c’é ancora chi crede di avere il diritto di sottomettere gli altri, di imporre la paura e ne ride anche.
Tutto sembra sotto sopra, ti guardi intorno e vedi sofferenza, disagio, disperazione.
E abbiamo bisogno di questo per realizzare il fatto che in fondo abbiamo anche un cuore. Sembra ridicolo che per l’essere umano sia necessario creare la sofferenza per poi scoprire che é in grado di porgere un conforto. Bizzarro davvero...
E la paura, quella che ti obbliga a guardare in basso, a non sfiorare chi ti passa accanto, a non incontrare lo sguardo dell’altro. Non so, ma forse è proprio vero che quello che facciamo, lo facciamo o per paura o per amore.  O ancora per paura di amare...
Quelli che stanno facendo di questa terra la loro pattumiera, io credo abbiano paura della vita perché la vita li mette alla prova, li costringe a guardarsi allo specchio, a scoprire le loro stoltezze  e nefandezze.  La vita li obbliga al rispetto per qualcosa che preferiscono dimenticare: che la vita é un miracolo. Questi signori della sporcizia preferiscono invece iniettare il terrore nei cuori degli umani perché così potranno poi chiedere di essere ringraziati per avere salvato il salvabile. E così s’inventeranno nuove malattie, nuovi farmaci, nuovi vaccini... nuove prigioni.
Ma c’é chi crede  ancora che questa terra  e questo mondo possano ancora  risorgere, possano ancora risplendere di luce e cantare l’armonia della vita. E dobbiamo crederlo, oltre ogni speranza, con l’azione e il coraggio che possiamo solo trovare nella Vita alla quale apparteniamo.
E così potremo accorgerci di quanto questo mondo possa divenire “meraviglioso”.
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con cintura di corda per tua figlia perché non ha vestiti

Un altro avvenimento significativo  degli ultimi tempi, è la morte di Martial il ray aman-dreny di Ambokala.  Lo chiamavamo “chef de Region”perché ha lo stesso nome del ricco e prepotente capo della Vatovavy- Fitovinany


Granello di Senape

Il Granello di senape è presente in Madagascar dal 2003 in due quartieri di Antananarivo (la capitale) e nel villaggio rurale di Antanifisaka, distante circa 45 km dalla città. Si è iniziato ad operare aiutando alcune centinaia di bambini a frequentare la scuola. Negli anni questo intervento si è ampliato e perfezionato: si continua a garantire a circa 400 bambini il necessario per la loro scolarizzazione, la mensa scolastica e le cure mediche; in più si è coinvolta sempre più la popolazione locale (a partire dalle famiglie degli stessi bambini) nel processo di crescita individuale e collettiva e nella partecipazione attiva al miglioramento della qualità della vita.
I progetti che costituiscono il “Piano” sono coordinati da un’equipe locale formata da 5 persone, due volontarie internazionali in loco e un gruppo di progetto in Italia. Oltre a questi, per la gestione delle attività vengono pagati 4 maestri, tre responsabili delle mense e un coordinatore/animatore nel villaggio di Antanifisaka.
Il Piano di intervento si struttura in tre grandi aree:
L'area educativa: riguarda ad oggi 364 bambini scolarizzati grazie alle adozioni a distanza. Il progetto prevede anche attività extrascolastiche per i bambini sia fuori che dentro la scuola. C'è un gruppo di volontari locali che organizzano numerose attività per coinvolgere i bambini su tematiche sociali attraverso i giochi, lo studio, l'analisi dei problemi quotidiani, l'immaginazione di possibili cambiamenti e di come attuarli. Nel suo ambito, vengono gestite 3 mense scolastiche più una in collaborazione con le piccole suore missionarie della carità del don Orione.

L'area sanitaria: assicura l'assistenza ai bambini e alle loro famiglie in caso di malattia. Questo progetto si occupa anche dell’ospedalizzazione di persone in gravi condizioni di bisogno, che richiedono cure specifiche le cui spese sono sostenute dal progetto grazie ad apposite donazioni. Vengono anche organizzate campagne di prevenzione alle malattie più frequenti, iniziative di sensibilizzazione alla cura personale e all'igiene della casa, momenti di educazione-informazione sanitaria all'interno di uno dei maggiori ospedali della capitale, sostegno psicologico di base ad alcune famiglie con bambini ospedalizzati per cause legate alla malnutrizione. Sia nella sede del GdS ad Antananarivo sia ad Antanifisaka c'è un piccolo ambulatorio ed un magazzino di medicine. Attraverso il progetto si sta anche formando un’ equipe di referenti sanitari che collaborano con una dottoressa ed un infermiere professionale alla formazione sanitaria all'interno dei gruppi di famiglie.

L'area di sviluppo delle risorse: affianca i gruppi delle famiglie dei bambini adottati (attualmente 25 gruppi formati da un minimo di 8 persone a un max di 12) per la creazione di nuove attività ed opportunità di lavoro. I gruppi istituiscono una cassa comune per autotassazione, si danno un nome ed uno statuto, si organizzano per fare insieme piccoli lavori cercando così di incrementare i risparmi e aiutandosi in caso di bisogno. Il cammino per raggiungere questi obiettivi è difficile, coronato anche da insuccessi, abbandoni, furto dei soldi, prestiti con mancata restituzione, ma nel complesso molti sono i risultati positivi: la risistemazione e cura del territorio abitativo, l’acquisto in comune di animali per allevamento, i lavori comuni su terreni agricoli e la fabbricazione di mattoni. L’associazione ha anche in progetto di attivare una formazione al lavoro artigianale per i gruppi, in modo che possano partire da cose semplici e organizzarsi per la formazione dei propri familiari.
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Ad Antananarivo, grazie a padre Pedro, è nato un progetto
che garantisce casa e lavoro a più di tremila famiglie.
Un esempio di azione caritativa, anche per il Fondo
Monetario Internazionale

Questa, per ora, è la mia bella famiglia;

la vigilia andrò ad Ampasimanjeva per festeggiare

il Natale con quelli che lo diventeranno quando finirò le lezioni


Arnaldo Cavallari sarà chiamato a formare ed educare
“La nostra filosofia - ha spiegato - non è quella di mandare
un po’ di soldi di carità e che, poi, a distanza di decenni non
ha risolto nessun problema e forse la povertà è aumentata.
La nostra idea è quella di aiutare quelle popolazioni ad essere
autonome aiutandole nella produzione dei beni, a cominciare
da quelli alimentari

Monclick ed Informatici Senza Frontiere hanno il piacere di raccontare
come è stata realizzata la missione benefica a Bemaneviky

Grazie all’esperienza al villaggio di Ivoamba ho scoperto
ciò che è  realmente lo stare insieme e il condividere ciò
che abbiamo, ma anche ciò che non abbiamo. Questi giorni
sono stati impegnativi, faticosi e stressanti, ma qualcosa
all’interno di essi ci ha continuato a far sperare.


la storia di due amiche volontarie nel Madagascar

Due cuori e una lakana


Melania e Andrea potrebbero andare a Mangily via mare con la loro lakana, ma finché non impareranno a manovrare bene quell’imbarcazione a bilanciere tipica delle coste del Madagascar, avranno bisogno di almeno due piroghieri che ve li portino. Così, quando si sentono in forze e hanno bisogno di frutta e verdura preferiscono fare 8 Km a piedi sulla spiaggia, da Beravy, piuttosto che 17 con taxi brousse fino a Tulear. Il motivo è che per andare in città devono aspettare davanti casa che passi qualche mezzo pubblico, pick up o camion brousse che sia, mentre per ritornare a Beravy devono affrontare le forche caudine dellagare routiere di Tsokobory, dove i panera, i procacciatori di passeggeri, si contendono i viaggiatori che arrivano in taxi o con il ciclo pousse con una certa rudezza, accaparrandosi i bagagli e arrivando a tirare letteralmente le persone in arrivo ognuno verso il proprio taxi brousse, il quale non parte finché non è completo, ovvero finché l’autista non decide che è sovraffollato al punto giusto.

Una parte di responsabilità di questa situazione, cioè dell’aumentata aggressività dei panera rispetto agli anni scorsi, va attribuita alle pattuglie della polizia e della gendarmeria che bloccano cinque volte, all’uscita da Tulear e nel breve spazio di qualche chilometro,  i mezzi pubblici, per estorcere denaro agli autisti. I quali devono giustamente far quadrare i conti e riempire il più possibile il proprio mezzo perché una parte dell’incasso va ai parassiti in divisa che, come ragni in mezzo alla ragnatela, aspettano le persone oneste che lavorano, standosene comodamente seduti all’ombra di qualche albero. Ingenuamente, mi viene a volte da pensare che il nuovo presidente Hery dovrebbe fare qualcosa per abolire il deleterio koly koly, fucilando alla schiena tutti i maledetti poliziotti corrotti, ma poi realisticamente penso che il primo ad essere fucilato dovrebbe essere lui, il capo supremo di tutti i parassiti corrotti che, in Madagascar come da noi, ingannano il popolo e lo sfruttano economicamente.


Andrea Spagnuolo, 42enne di origini calabresi ma per lungo tempo vissuto a Carmagnola in provincia di Torino, è riuscito a fare una cosa che io non ho mai avuto il coraggio di fare: ha fatto una foto a un poliziotto che gli aveva appena richiesto del denaro. Il parassita ovviamente si è arrabbiato e gli ha chiesto di cancellarla, ma Andrea è stato velocissimo a cambiare immagine e a mostrargli quella di alcuni omby che pascolavano lì vicino e che aveva fotografato poco prima. Il parassita ha lasciato perdere imprecando, ma Andrea e Melania Conte, 34enne antropologa vissuta in diverse parti d’Europa ma che si sente marchigiana, in quell’occasione rimasero un’ora e mezza bloccati sotto il sole perché non volevano pagare il pizzo, con gli sbirri che sghignazzavano e facevano a chi si arrende per primo. Alla fine, si sono arresi loro e li hanno lasciati andare. Un encomio per il coraggio di Andrea e un plauso alla determinazione di entrambi. Da quella volta la coppia usa i mezzi pubblici per spostarsi, non avendo e non volendo avere un’auto propria. Quando io e Tina siamo andati a trovarli giovedì 28 agosto erano due settimane che non andavano in città a procurarsi viveri e la verdura fresca che abbiamo portato loro è stata molto gradita.


Ciò che mangiano è strettamente connesso alla loro filosofia e al loro stile di vita: stanno predisponendo un orto tra l’abitazione e la strada e la prima cosa che viene in mente è che, una volta che la generosa natura darà i suoi frutti, dovranno fare i conti con due nemici: i ladri umani e le caprette voraci e incolpevoli, benché ladre pure loro. Abbiamo al riguardo fatto una specie di scommessa. Vedremo fra un anno quanti dei loro pomodori saranno riusciti a mangiare sottraendoli ai ladruncoli a due e a quattro gambe.
Va detto ancora che purtroppo Andrea è pescatore e quindi lui e la sua compagna mangiano pesce e frutti di mare. Egli va non solo con i malgasci a caccia di polpi, quando non fa snorkelling per diletto, ma se gli capita di ritornare al paesello nativo in Calabria va anche alla pesca del pesce spada con la fiocina e quando me lo raccontava c’era un tono d’orgoglio nella sua voce. Lì dalle sue parti lo fanno dall’epoca dei Fenici e nel mondo ci sono in tutto sei posti dove si pratica quel tipo di pesca. I calabresi di quel villaggio quindi, come i Vezo, basano la loro vita sulla pesca e in particolare su quella del pesce spada. (In foto un tonno pinne gialle che ho fotografato nella stazione dei taxi brousse mentre aspettavo di partire per Beravy). Siccome è la domanda che crea l’offerta, è ovvio che se la gente smettesse di comprare pescespada, i calabresi compaesani di Andrea sarebbero disoccupati e magari migrerebbero in Madagascar a pescare polpi.
Qui già gli specisti entrano in fibrillazione, a leggere queste parole, perché siamo stati tutti abituati a pensare in termini antropocentrici, a causa della maledetta Bibbia e degli altri testi cosiddetti sacri, ma ragionando razionalmente e considerando la natura angelica dell’uomo, si deve onestamente ammettere, scrollandosi di dosso le autogiustificazioni vigliacche e sovrastrutturali, che l’essere umano ha la capacità di adattarsi e di evolversi spiritualmente, mentre pescispada e polpi non possono farlo e alla fine tutto si riduce a un problema aritmetico: quando il numero totale di polpi e pescispada è terminato, non ce ne saranno più né degli uni, né degli altri. E allora il virus umano di matrixiana memoria dovrà rivolgere la propria cupidigia verso altre specie, finché non porterà ad estinzione pure quelle. Se immaginiamo che nell’universo ci siano razze aliene che invadono i pianeti sistematicamente fino al completo sfruttamento delle risorse e poi se ne vanno a bordo delle loro astronavi alla ricerca di altri pianeti da sfruttare, ebbene noi siamo una di quelle razze.
Prima che gli ecostemi terrestri collassino magari ci sarà qualcuno di questi parassiti cosmici che lascerà la Terra, ma di sicuro non ci sarà posto sulle navi spaziali per i 17 milioni di malgasci che fanno la loro parte, vuoi per fame vuoi per lucro. E allora, nell’universo ci sarà un pianeta in più che una volta era fertile e lussureggiante, arrivato a quello stato in milioni d’anni, reso però inabitabile in trecento anni circa da una specie impazzita, malata o forse contagiata e guidata essa pure da parassiti extraterrestri.
Tanto per restare in tema, a Melania, facendo una passeggiata sulla spiaggia di Beravy, è capitato di vedere due donne intente ad eviscerare una montagnola di oloturie appena pescate dai loro mariti. Chiesto loro informazioni sui prezzi, le donne hanno risposto che i cinesi gliele comprano a 3.000 ariary al Kg. (un euro). Facendo una ricerchina su internet, Melania ha poi scoperto che i cinesi rivendono in patria quella carne prelibata a 1.000 euro al Kg. Questo è un business pazzesco, se ci pensate bene, e non ci dobbiamo meravigliare quando sentiamo parlare di miliardari cinesi. Andrea ha aggiunto che le oloturie svolgono l’importante funzione di depurare il mare. Meno oloturie significa più colibatteri fecali e mare sporco non balenabile. Risultato, i turisti scappano, l’industria pertinente va in crisi, ma ai miliardari cinesi, commercianti di oloturie, non può fregare di meno. Il presidente Ravalomanana aveva venduto un terzo delle terre coltivabili alla Corea; quello attuale fa la stessa cosa con la Cina e non solo per quanto riguarda le oloturie o le pinne di squalo, ma anche con il cotone e, non ultimi, i lavori di asfaltatura dei 27 Km che separano Tulear da Mangily. Al riguardo mi sono meravigliato che l’appalto non sia stato dato ai francesi o meglio ancora agli italiani, famosi per la costruzione di strade nel mondo, ma Andrea ha suggerito che anche in quel caso ci sia stato movimento di tangenti ad alti livelli. Un altro motivo per fucilare alla schiena presidenti, ministri e viceministri perché il pesce, come Andrea pescatore sa benissimo, comincia a puzzare dalla testa.
Ad Andrea e Melania, però, che considero amici e che ho invitato ad Ambolanahomy per ricambiare il pranzo che ci hanno offerto giovedì, ho un’altra critica amichevole da rivolgere: la contraddizione tipica degli ecologisti. Posto che nessuno è perfetto e che anch’io non posso considerami esente da contraddizioni, va rilevato che se da un lato salvano le tartarughe che finirebbero negli stomaci dei Vezo, dall’altro non si astengono dal mangiare molluschi cefalopodi che sono molto più intelligenti delle tartarughe, né pesci che sono molto più belli e altrettanto dotati di sistema nervoso dei rettili chelonidi. Se il criterio è quello dell’estinzione e le Testudo radiata che loro salvano possono realmente scomparire del tutto, che ne sappiamo, sfruttato com’è il fondale marino, se i bellissimi pesci tropicali che da noi vegetano negli acquari e qui sono messi in vendita sulle bancarelle, non siano anch’essi in pericolo d’estinzione?
Quando ci si preoccupa – giustamente – della scomparsa delle utili oloturie in quanto depuratori del mare, lo si fa sulla base di un ragionamento antropocentrico, come se il mare dovesse rimanere pulito dalle nostre sozzure per noi che ne siamo gli utenti, pescatori o bagnanti indifferentemente. Ma spostando il ragionamento su una base biocentrica e ammettendo di essere solo una delle tante specie che vivono sul Pianeta, si dovrebbe arrivare ad ammettere onestamente che il mare e le sue creature hanno diritto all’inviolabilità per la loro natura intrinseca e non in funzione nostra, solo perché i libri sedicenti sacri, che noi stessi abbiamo scritto, chiamano in causa un’inesistente divinità, come autorità suprema, a donarci risorse che non ci appartengono.
In un’altra occasione, come vediamo qui in una sua foto, a Melania è capitato di trovare alcuni carapaci spaccati a colpi di coltello, come fossero ostriche o vongole, e anche in questo caso è un problema di percezione: per il malgascio èsakafo, cibo, come tutto il resto, per noi la tartaruga è un fenomeno biologico pregevole da salvaguardare, per alcuni anche rivestito di sacralità. Ma noi siamo frutto dell’Occidente e della nostra epoca. Qui invece viviamo in altre epoche e ad altre latitudini. Quando la cultura e l’educazione sono diverse, anche la percezione delle cose cambia e pure tra me e la coppia dei nostri connazionali ecologisti ci sono differenze di vedute, anche se tutti e tre abbiamo fatto le elementari in Italia. Andrea mi chiedeva di fargli sapere se c’è qualche associazione che voglia prendersi cura delle 17 tartarughe che hanno in giardino e delle altre che eventualmente riuscissero a salvare dalle grinfie dei nativi. Io al momento non ne conosco nessuna, ma mi sono accorto del pericolo che la raccolta di tartarughe nasconde. E cioè che i ragazzini vadano appositamente a caccia di tartarughe da portare ad Andrea e Melania in cambio di qualche spicciolo. E’ il solito problema delle domanda che crea l’offerta. Un vero rompicapo, un circolo vizioso difficile da spezzare, solo che qui ci vanno di mezzo delle creature innocenti, vittime dell’istinto predatorio da una parte e delle nostre lodevoli premure dall’altra, in virtù del principio che vuole l’inferno lastricato di buone intenzioni.

Andrea e Melania, come me del resto, fanno quello che possono, in difesa più di un ideale di bellezza naturale che della natura in concreto. Ma intanto si stanno costruendo un gradevole nido d’amore, con tanto di pannello fotovoltaico sul tetto, costato 550.000 ariary, 170 euro. Hanno così la corrente elettrica giorno e notte, alimentando anche il computer che per Andrea, in quanto informatico, è strumento di lavoro “da remoto” e per Melania è altrettanto utile in quanto traduttrice delle principali lingue europee. I quattro bungalow sono al momento al grezzo e le prossime spese da affrontare saranno lo chateaux d’eau e il frigo, con i quali Andrea e Melania potranno sistemare la parte idraulica dei bagni e mettere a disposizione degli eventuali turisti e visitatori birra ghiacciata come Dio comanda. Il forno c’è già e la pizza, una volta fatta la debita pubblicità, fungerà da magnete per le migliaia di appassionati della famosa focaccia di origini napoletane. Del resto, biscotti, focaccine e sformato di patate, che ci sono stati offerti giovedì, Melania li sa già fare benissimo. Se poi si prenderanno anche Tina come cuoca, come io ho proposto loro, si potrà cominciare a parlare di ristorante vero e proprio, anche se l’idea che i due ragazzi hanno al momento è più indirizzata a rivalutare un dispensario di Beravy, ora chiuso, e ad organizzare qualche progetto in difesa delle tartarughe, terrestri o marine che siano e i bungalow, con annessa cucina, servirebbero in tal caso per gli ospiti più che per veri e propri clienti di ristorante mordi e fuggi.
Insomma, a Beravy ci sono due giovani entusiasti e pieni di belle idee, con grandi potenzialità. Se qualcuno li vuole contattare, specie per aiutarli in qualche modo a salvare le tartarughe, li può trovare su Facebook. Se poi li si vuole andare anche a trovare, mettendosi d’accordo sui prezzi, le strutture ricettive ci sono, benché da completare nella parte idraulica, e magari ci scappa anche una gita in lakana, fotografata qui da Andrea e Melania, a vedere da vicino le mangrovie.
Freeanimals
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Il nuovo Rettore è nato il 16 agosto 1968 a Ambohipo Antananarivo ed è stato ordinato sacerdote ad Amparibe il 6 settembre 1997. Ha conseguito la laurea in Teologia presso l’Institut catholique de Madagascar (2000) e il dottorato in Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana, a Roma (2011). Dopo l’ordinazione è stato viceparroco e parroco in diverse parrocchie. Attualmente insegna all’Università cattolica del Madagascar, al Seminario maggiore di teologia Faliarivo (Antananarivo) ed al Seminario maggiore di filosofia Manantenasoa (Antsirabe). (SL) (Agenzia Fides 21/10/2014)
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2014: conclusa la terza missione in Madagascar

Tra i mesi di luglio e agosto 2014, due volontari dell’Associazione Capramagra Onlus hanno svolto la terza missione in Madagascar per il progetto “Educazione e sicurezza alimentare a Camp Robin – Madagascar”.

I volontari hanno partecipato alle riunioni con i rappresentanti delle organizzazioni internazionali localizzate sul territorio (tra le quali l’UNICEF e l’UNDP) e hanno rinnovato la collaborazione dell’Associazione con i suoi partner in loco, le suore di San Giuseppe di Aosta e l’associazione degli agricoltori FTMTK. A Camp Robin i due volontari hanno visitato i villaggi dei contadini, entrando in contatto con le criticità sociali ed agricole vissute nella zona. L’incontro diretto con i beneficiari dei progetti è stato fondamentale per una definizione partecipata delle nuove attività di sviluppo da implementare sul territorio.
Durante la loro permanenza a Camp Robin, i volontari hanno svolto tre corsi formativi per i giovani dell’associazione FTMTK sui temi di: tecniche base di irrigazione dei campi; preparazione del compost; redazione di un bilancio e analisi del mercato locale.
Attraverso queste attività, Capramagra Onlus vuole continuare ad incoraggiare un’azione di cooperazione allo sviluppo fondata sulla partecipazione di tutti gli attori 

Note di viaggio:
“Mi aggiro nella mia stanza ad Antananarivo, guardondo rapidamente ogni angolo in cerca di possibili oggetti smarriti. Tra qualche ora partiamo per l'Italia ed i sosto un po' confusa al centro della mia camera; penso ancora alla festa che ci hanno fatto le suore per salutarci, con la torta e con gli ultimi discorsi di ringraziamento. Entra in camera Matteo e con pazienza mi aiuta a chiudere lo zaino grande, pieno dei doni
(cappelli, borse, arachidi ed altro) che mi hanno regalato in ciascun villaggio visitato. Alla fine carichiamo i bagagli sul furgoncino bianco delle suore. Arriviamo in aereporto. Salutiamo per l'ultima volta le suore.
Verso mezzanotte l'aereo lascia il Madagascar”
L'esperienza che abbiamo vissuto in Madagascar è stata molto gratificante sia per le persone che abbiamo incontrato che per la realtà sociale che abbiamo avuto modo di osservare.
É una esperienza che coinvolge appieno il volontario, rendendolo partecipe di cosa significa fare cooperazione sul campo: le dinamiche sociali che si innescano tramite un progetto ed i delicati rapporti con tutti gli stakeholders.
Dalle considerazioni scritte nel rapporto, appare evidente che la progettualità di Capramagra Onlus
sta realmente formando l'ambiente sociale di Camp Robin. Pensiamo sia importante continuare ad ascoltare i bisogni di questa cittadina e fare loro da tramite per garantirne il sostegno.
GRAZIE!
Eva Lo Iacono Matteo Aimetti
sito internet (www.capramagra.org).
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