mercoledì 5 marzo 2014

Carlo, la nuova vita nel «suo» Madagascar

È il Madagascar la seconda patria di Carlo Bresciani. Nella grande isola africana, così misteriosa, così affascinante, ha scelto di vivere. Non è - e non sarà - per lui, una vacanza. Anzi. Non sono i tesori inimitabili di una natura splendida, selvaggia e incontaminata ad averlo stregato. Carlo, originario di Prevalle, si è innamorato della gente. Di quella gente, poverissima e buona.
Tutto comincia quando, poco più che ventenne, matura la decisione di compiere un’esperienza come volontario nel Terzo mondo. La destinazione è proprio il Madagascar, dove opera un missionario gavardese, don Sandro Mora, della congregazione degli Orionini. L’esperienza è dura, ogni giorno a combattere la miseria, la fame, la malattia al fianco degli ultimi, dei dimenticati. L’esperienza è dura, eppure Carlo non si scoraggia. Ne esce, anzi, fortificato. Torna a casa, ma ben presto deve fare i conti con un disagio che non lo abbandona. Raggiunge la consapevolezza che la comoda vita di qui non fa più per lui.
Si rimette così in viaggio per una seconda esperienza, stavolta nelle Filippine, meta un centro di accoglienza per bambini orfani e disabili. Dopo un anno rientra in Italia, ma ormai la scelta è compiuta. Carlo Bresciani ha deciso da che parte stare. Con i poveri, i più poveri del mondo. E riparte per il Madagascar, il «suo» Madagascar.
Lavora, sempre a stretto contatto con don Sandro Mora, in un dispensario gestito da suore a Miandrarivo, una cittadina della regione di Vakinankaratra, nel cuore più profondo dell’isola, quasi completamente isolato (basti pensare che la più vicina strada asfaltata dista ottanta chilometri). Qui si vive con un pugno di riso e qualche patata, la denutrizione e le epidemie sono la norma, la mortalità è altissima.

Il dispensario rappresenta per la gente del posto una speranza, anche se i mezzi sono pochi, anche se non c’è neppure un medico fisso, ma ci si affida a una dottoressa italiana, Daniela Piacentini, che però deve dividersi tra Miandrarivo e altre realtà dove serve la sua presenza. «La mancanza di strutture, di educazione e di medicine - spiega il giovane volontario prevallese - fa sì che la popolazione si sia quasi abituata a vivere sul labile confine tra la vita e la morte ».


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