giovedì 29 maggio 2014

Spirito di montagna

Quattro alpinisti piemontesi aprono una nuova via di arrampicata sullo Tsaranoro in Madagascar. Un’avventura che promuove un turismo molto, molto particolare di Claudia Silivestro

Nel settembre 2006 quattro alpinisti italiani hanno scalato una parete di roccia di 350 metri sul  versante sud del Mitsinjoarivo, presso il massiccio dello Tsaranoro, nel Madagascar centro meridionale. Paolo Stoppini, Sandro Borini, Alberto Zucchetti e Daniele Zinetti, piemontesi, tutti e quattro sui quarant’anni, hanno aperto una nuova via di arrampicata nell’isola le cui montagne hanno cominciato ad essere scalate nel ’95 da Kurt Albert e negli ultimi anni hanno visto il succedersi di altri grandi nomi, Michel Piola, Manlio Motto, Rolando Larcher, Marco Sterni, Erik Swab. Gli altipiani, le valli e le vette del Madagascar si arricchiscono di nuove chances per un turismo molto particolare: i climbers, gli “scalatori”, ma anche chi ama il parapendio, i percorsi in mountain bike, il trekking lungo percorsi bellissimi e impegnativi. Con una discreta dose di senso dell’avventura. 
Il guardiano della diga 
A raccontare a Mondointasca il viaggio verso lo Mitsinjoarivo è Paolo Stoppini, per gli amici, semplicemente “Stoppi”. Paolo lavora alla diga Enel al lago di Devero del parco naturale di Alpe Veglia e Devero, nel Piemonte settentrionale. In coppia con un compagno, per quattro o cinque giorni consecutivi e per alcuni turni ogni mese, vive negli appartamenti adiacenti alla diga nel parco del Devero, a 1600 metri circa di quota. D’inverno, la diga si raggiunge con gli sci o le ciaspole, d’estate, a circa a un’ora di cammino dall’ingresso del parco e dalla strada verso Baceno. Insomma, bisogna aver imparato ad ascoltare il silenzio e la solitudine della natura per lavorare come “guardiano della diga”.
Nel tempo libero, Paolo, che è guida alpina di Macugnaga, accompagna turisti e scalatori su percorsi di trekking, arrampicata su roccia e su ghiaccio e lavora nel gruppo Mountain Cube, associazione sportiva che organizza corsi, spedizioni e giornate in montagna a tutti i livelli. Nel frattempo, studia nuovi viaggi di esplorazione insieme ai suoi compagni di cordata: Daniele Zinetti, scalatore esperto, Sandro Borini e Alberto Zucchetti, del gruppo guide alpine di Alagna.
“In Madagascar eravamo già stati nel 2004 ad aprire la via Ny Havana, sul pilastro est dello Tsaranoro Atsimo”, ricorda Paolo. “Volevamo tornare perché avevamo visto un’altra parete interessante, proprio da quella cima”.
Che cosa significa “aprire una via”? Scalare per la prima volta una parete e disporre gli “spit”, chiodi fissati nella roccia tramite un trapano. Agli spit si possono agganciare i rinvii, lungo i quali passa la corda che permetterà allo scalatore di scendere, una volta arrivato in cima. A scalata finita, corda e rinvii si rimuovono: gli “spit” restano invece disponibili per i prossimi climbers, che si avvicinino alla montagna conoscendone grado e livello di difficoltà.
Non che sia facile, aprire una via. È lavoro per scalatori abili, intuitivi, anche disposti al rischio. Come si sceglie la parete adatta? “Quella che…ispira”, dice Stoppi con una semplicità difficile da tradurre. Bisogna che sia scalabile; ma anche “che permetta di mettersi in gioco”. 

Il limite. La misura e l’etica 
Stoppini detto Stoppi, Borini altrimenti “Boris”, Zinetti e Zucchetti partono da Milano Malpensa il 13 settembre per Parigi. Da Parigi, volano a Antananarivo, la capitale del Madagascar, nella quale sono costretti a soggiornare due giorni in attesa dei loro bagagli. Poi, scendono a Sud verso Fianarantsoa con un furgone per 400 chilometri di strada, in circa dieci ore. Si dirigono nell’area del parco nazionale dell’Andringitra, superano Ambalavao e si fermano al villaggio di Mahasoa. Le montagne all’interno del parco, area protetta, sono vietate ai climbers da regolamento: le rocce esterne, invece, del versante che inizialmente hanno scelto gli italiani, sono inaccessibili per legge di natura. “Erano ricoperte da uno spesso strato di licheni, che da lontano non avevamo visto”, ricorda Paolo. “A malincuore abbiamo lasciato il villaggio, che da noi si aspettava, forse, una nuova voce di richiamo per il turismo e siamo tornati a Camp Catta per cercare un’altra parete”.
Camp Catta è un piccolo campo base per gli arrampicatori, creato da Gilles Gauthier nel ‘98 e sostenuto grazie all’aiuto degli abitanti dei villaggi locali. Da Camp Catta, a circa un’oretta e mezza di cammino, i quattro italiani trovano la “loro” parete: il versante sud del Mitsinjoarivo, 350 metri di granito “prima verticale, poi strapiombante”, precisa Paolo
È il 20 settembre, la cordata inizia a salire. I primi cinquanta metri sono spediti; presto però la roccia si fa difficile, “all’apparenza liscia”, dice Stoppi, e preoccupante.
“Come chi ci ha preceduto, abbiamo un’etica precisa di scalata, vogliamo salire solo con le nostre forze”, senza l’aiuto di mezzi artificiali per la progressione. Il rischio è quello di lasciare la parete a metà e di scendere, se constatato che è troppo arduo salire senza metodi “in artificiale”.
La scalata, il dubbio di non riuscire, il granito dello Mitsinjoarivo, che, sottolinea Stoppi, solo in apparenza liscio “si è rivelato metro dopo metro”…l’avventura dura tre giorni. Conclusa una parte, gli alpinisti sistemano delle corde fisse, scendono alla base, il giorno dopo salgono più facilmente, tramite le corde, per il primo tratto e riprendono da dove avevano sospeso. Il 22 settembre i climbers salgono in cima. Il 23, ripetono la salita e “liberano” la via, come si dice in gergo, e le danno un nome: “Un altro giro di giostra”. 

In vacanza in Madagascar 
“In serata abbiamo organizzato una festa con tutto il villaggio”, ricorda Paolo. “Gli abitanti della zona si ricordavano di noi, perché nel 2004, dopo la prima via, avevamo festeggiato insieme a loro. Non ci avrebbero lasciato andare senza un’altra festa”.
Stabilire la giusta relazione con la popolazione locale è importante per una squadra di scalatori: “Prima di tutto, mai avventurarsi su una montagna se gli abitanti non vogliono. Sarebbe contro i nostri principi”, dice Paolo. Ecco come affrontare il limite: “ci è capitato di andare in un villaggio, da sconosciuti, nessuno voleva aiutarci, come portatore o accompagnatore, anche se avremmo pagato. Bisogna farsi conoscere, andare dal capovillaggio, spiegare il nostro progetto”.
Una volta stabilita la relazione, e assumendo diverse persone del posto come aiutanti, anche un’impresa che per i locali può apparire un controsenso diventa utile per rilanciare il turismo nella zona. 
Come è accaduto a Camp Catta: nato quale forma di accampamento per gli alpinisti, oggi è una struttura in grado di offrire vitto e alloggio, in bungalow e tende, e dà la possibilità di esercitare diversi sport a contatto con la natura. Ai più intraprendenti sono dedicate pareti di arrampicata  - ci sono quelle facili, per i primi livelli, ma le aree più vaste sono per i climbers esperti - e il parapendio; ma si può anche semplicemente andare su mountain bike o seguire percorsi di trekking. I sentieri che si estendono nel parco nazionale dell’Andringitra vanno dalle passeggiate brevi di mezza giornata a quelle di più giorni, in gruppi guidati.
Chi scala, ma anche visitatori e turisti devono tenere  presente le particolari condizioni dell’isola: bellissima, “con spazi infiniti”, ricorda Paolo Stoppini, ma che richiedono sempre capacità di adattamento. Non è detto che le passeggiate siano tutte ripide o difficili e il vantaggio, ricorda Paolo, sta nelle condizioni climatiche: favorevoli da aprile a ottobre, con giornate molto calde e notti miti.

L’isola sacra 
Il 24 settembre, i quattro tornano alle pendici della prima via da loro aperta nel 2004 sullo Tsaranoro, Ny Havana. La scalano di nuovo, si incamminano poi nel viaggio di ritorno verso la capitale, per un giorno e mezzo. Prendono l’aereo, ma questa volta per l’estremo Nord del Madagascar verso la cittadina di Diego Suarez, Antsiranana, secondo la lingua locale.
La passione per l’arrampicata non si è esaurita: trascorrono tre giorni alla Montagne des Francais, a circa sette chilometri da Antsiranana, scalando in mattinata e nel pomeriggio concedendosi il riposo nelle splendide spiagge della costa, a Ramena e Sakalawa. Manca solo una tappa.
All’agenzia New Sea Roc, gli alpinisti prenotano una vacanza su Nosy Andantsara, una delle isole rocciose dell’area settentrionale. “Un paradiso per scalatori”, ammette Paolo. Si dorme in tenda o in capanne di legno e paglia e si mangia, insieme, seduti per terra, in una capanna “ristoro”, dove una signora malgascia cucina per tutti. L’isola, racconta Paolo, è sacra e la toilette è direttamente sul mare: il gabinetto è sistemato sugli scogli e vi si accede con l’aiuto di corde fisse. 

Il ritorno 
Il 4 ottobre gli alpinisti piemontesi tornano a casa. Hanno corso dei rischi  – lo dicono a brevi cenni, ma lo dicono – e hanno raccolto fotografie e ricordi del viaggio, della scalata e dei luoghi e dei volti del posto.
Il paesaggio “cosi diverso dai monti alpini, collinoso con affioramenti rocciosi che si stagliano in modo irregolare come monoliti”. Gli abitanti del villaggio in attesa dell’eccezionale occasione di fare festa. L’arrampicata sulla nuova via, “così elegante, che combina forza fisica e tecnica insieme”, dice Stoppi. Il pericolo: non dappertutto le comunicazioni telefoniche sono possibili, strade e ponti sono spesso in pessime condizioni. L’obiettivo: “Quello che stiamo facendo è un percorso, la ricerca di nuove possibilità di arrampicata in luoghi dove l’alpinismo non è radicato. Lo abbiamo fatto negli anni scorsi in Magadascar e in Venezuela. Siamo in esplorazione”. 
http://www.mondointasca.org/

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