Intervista
a Fabiola Mancinelli, antropologa del turismo che dopo un passato nella
comunicazione e nella ricerca di tendenze ha deciso di partire per studiare il
Madagascar, portandosi dietro qualcuno di speciale.
Da Guardia
Sanframondi a Barcellona, passando per Milano per approdare in Madagascar… raccontaci la tua storia.
È un
percorso di irrequietezza, ricerca e
viaggio. Ho studiato filosofia tra Napoli e Parigi e poi sono finita a Milano a
lavorare in pubblicità. Il ruolo era di account: non mi stava bene addosso,
però è stato un ponte. Dal quale, due anni dopo, sono saltata al mondo del
trendwatching: ricerche sui fenomeni e le tendenze di consumo emergenti.
Un’esperienza che mi ha fatto scoprire la metodologia etnografica e mi ha dato
una gran voglia di tornare a studiare. Per cui ho cambiato rotta: ho virato
verso un lavoro da accompagnatrice turistica, stagionale, e mi sono iscritta a
scienze antropologiche a Milano. Intanto è arrivato l’amore, e con lui la
voglia di spostarsi, di cambiare. E se dai tetti di Milano non si vede il mare
nemmeno in punta di piedi, Barcellona si è proposta come la migliore meta
possibile. Ma prima siamo partiti per il Madagascar, l’isola rossa che mi ha
fatto innamorare con le sue contraddizioni. A Barcellona ci siamo trasferiti
nel 2006, pieni di ottimismo e al culmine del boom economico. Appena arrivata
ho ottenuto una borsa di studio per un dottorato di ricerca in antropologia.
Sul tema non avevo dubbi, gli ingredienti c’erano tutti: metodologia
etnografica, esperienze professionali in marketing e turismo, irrequietezza.
Avrei studiato gli effetti del turismo in Madagascar.
E allora..............
Così sono
tornata sull’isola e dopo un pò sono arrivata tra gli Zafimaniry, che vivono in
piccoli villaggi nascosti tra le montagne, raggiungibili solo a piedi. Il loro
è un mondo fatto quasi solo di legno: le case più antiche sono ingegnosi
assemblaggi di legni duri, ottenuti senza nemmeno un chiodo, completamente
smontabili per facilitarne il trasporto, a memoria di epoche in cui la
popolazione era nomade. Ogni dettaglio è finemente intarsiato con intricati
motivi geometrici. Nel 2008, le loro tecniche di lavorazione del legno sono
state dichiarate Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO. Da circa 30 anni, questa regione è una meta
turistica. Un luogo perfetto per osservare le reazioni della popolazione locale
al turismo e al riconoscimento UNESCO, considerato che ambedue appartengono ad
un universo di
pratiche e
concetti di matrice occidentale.
Facci capire bene cosa studia l’antropologia del
turismo…
Fondamentalmente,
le dinamiche socio-culturali innescate dal turismo: dalle motivazioni, i
discorsi e i comportamenti dei turisti, all’interazione e agli effetti sulla
popolazione locale. È una disciplina che indaga nelle cerniere tra globale e
locale, a cavallo tra economie e identità. E analizza l’incontro turistico tra
culture diverse come orizzonte in cui si aprono immaginari, spesso intrappolati
in stereotipi e dicotomie insolubili: turisti e viaggiatori, contemporanei e
primitivi.
La tua esperienza più significativa di questi
anni?
Sicuramente
visitare gli Zafimaniry con mia figlia Sofia, che è venuta in Madagascar a 18
mesi. Nessun turista era mai arrivato
nei villaggi con un bimbo così piccolo. E nemmeno avevano mai visto una donna
bianca allattare al seno un bambino di quell’età, cosa per loro abbastanza
normale. La presenza di Sofia mi ha aperto alla dimensione umana della ricerca
e mi ha fatto guadagnare un ruolo nella società Zafimaniry. In Madagascar, la
nascita del primo figlio segna l’ingresso nella società adulta. Da quel
momento, si perde il proprio nome di battesimo e si diventa “il padre di…” o
“la madre di…”. E questo nome rimane anche se successivamente si hanno altri
figli. Grazie a Sofia, non ero più una
vazaha, l’appellativo generico con cui ci si rivolge ai bianchi, ma sono
diventata ny renin’Sofia, la madre di Sofia. La relazione solitamente
asimmetrica con i miei anfitrioni aveva trovato un suo punto di equilibrio. E
poi, grazie a Sofia sono entrata in intimità con le donne del villaggio, che mi
riempivano di domande sul modo di crescere i figli in Europa: mi ha dato
strumenti nuovi per vivere la mia esperienza di madre, ma anche un’ispirazione
per nuovi scenari di ricerca.
Progetti futuri?
E’ in
arrivo Maya, la mia seconda figlia. Questo ora è il mio progetto più
importante. Sarà interessante spiegarle, il giorno in cui la porterò con me in
Madagascar, che lì sono per tutti ‘la-madre-di-Sofia’…
Faccia
a faccia on line
Il
sole, il mare, le spiagge, ma soprattutto la gente
ci
ha fatto pensare che la nostra pensione(sic!) che
era
prossima, avrebbe potuto godere di tutto questo
Nosy Be
l’Isola dei Sogni
Laureato in Scienze dell'educazione, ho lavorato come
educatore
di Guido de Salvo
Dario e Valerio hanno
creato Peter Pan nella spiaggia più bella del Madagascar
49 anni romano ha inaugurato a Sainte Marie il
suo nuovo Hotel
Anita Torti, nata in Madagascar, vive a Milano si
sta facendo onore sui ring di tutto
il mondo
La
cantante malgascia che vive e fa successo in Italia
La
storia di un medico che aiuta i bambini poveri del Madagascar
Fabio
Tinti è arrivato in Madagascar
per constatare
lo stato del progetto affidato ai Frati Minori Cappuccini.
Vive in una isola deserta dove accoglie amici e clienti
È titolare di un diving a Nosy Be
Rosario Volpi, 34 anni, ha vinto il Premio
volontariato internazionale 2013.
Dal 2007 si occupa di ragazzi
Enzo Maiorca e le sue immersioni
Pino
Schintu e le sue fotografie
Dirige il lebrosario di Ambanja
È arrivato in nave e fa sentire la sua voce con radio AVEC
In Madagascar il negozio più bello con i vetri di Murano
Alberto il professionista del turismo
Ha lavorato nel turismo a Nosy Be
Un biologo arrivato da
Milano al seguito di una spedizione
di studio della foresta
del parco Nazionale di Masoala,
”Stefano, titolare della « Gelateria Italiana »
a Tulear, “si racconta” come e perchè è arrivato in
Madagascar
Manuela fornisce i migliori ristoranti con il gelato
italiano
Incontrando gli amici, al rientro dal mio primo viaggio in
Madagascar,
alla domanda cosa ti sei portato dal Madagascar, ho
risposto:
“la voglia di tornare”.
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