mercoledì 19 febbraio 2014

Salvatore: educatore e fotografo

Laureato in Scienze dell'educazione, ho lavorato come educatore in diversi settori e per diversi anni sia in Italia (Catanzaro, Torino, Brindisi, Napoli) che in Madagascar (Nord, Centro e Sud) seguendo diversi progetti.
  
Dove vivi
Vivo in Madagascar da tredici anni. Sono sposato, mia moglie è malgascia, abito a Fort Dauphin e abbiamo un bimbo. 

Come trovi il Madagascar
Trovo quest'isola affascinante, anche se  mi accorgo che la gente ha una mentalità molto diversa da quella in cui sono nato. Soprattutto nelle zone rurali. Per chi vive nella  capitale, Antananarivo, o le grandi città è già un po' diverso.

Quali sono le differenze

Ciò che per noi è scontato, qui non lo è affatto. Ci sono dei modi di pensare e di comportarsi che per gli europei sono acquisiti e che fanno parte da secoli della cultura occidentale, ma che qui risultano  estranei alla mentalità tradizionale. Chi viene in Madagascar e ci vive  prima o poi se ne rende conto.

E cioè..... 
Arrivando in Madagascar in genere si viene in contatto con uno spaccato di vita socialmente e economicamente molto diverso dal nostro. Ricordo la mia prima impressione quando uscendo dall'areoporto di Ivato e in direzione Tana, vedevo molta gente che a piedi, spesso nudi, si muoveva secondo lo stesso passo, come un'unico corpo, nell'identica direzione. Fu spontaneo per me chiedere: Ma dove va tutta questa gente?  E invece semplicemente era il loro modo di spostarsi: sembravano insieme, ma ognuno era per i fatti suoi.
Allora arrivando in Madagascar capita che subito ci si attiva per organizzare iniziative di aiuto, anche se, secondo me,  è meglio prima di agire stare ad osservare.

Come bisogna comportarsi
Osservare e cercare di capire, potrebbe  essere l'occasione per cominciare a entrare in questa nuova mentalità, che poi è anche un nuovo mondo. Un mondo fatto di prescrizioni, tradizioni ancestrali, leggi non scritte che spesso cozzano con la nostra mentalità costruttivistica, organizzatrice e razionale. 

Ma cosa c’è proprio di diverso
Quello che è diverso è proprio la mentalità, il modo di pensare.
Entrare in una nuova mentalità è difficile. Non è qualcosa che avviene in automatico.

Racconta le tue esperienze
Mi trovavo al Nord del Madagascar, zona Sakalava, e molta gente stava davanti a un grosso cancello chiuso, che aveva in un lato una porticina. - Aspettate qualcuno?, chiedo. - No, è che vorremmo uscire ma la porta è chiusa. - Ma strano perché questa porticina è sempre aperta. Avete già provato? - Sì, molti hanno cercato di aprire ma non ci sono riusciti. Allora mi accosto alla porta, giro la maniglia e la porta si apre, non era chiusa a chiave. Tutti cercavano di aprire la porta spingendo verso l'alto la maniglia, nessuno aveva provato a spingere verso il basso. 
Sembra quasi una situazione comica. 
Allo stesso modo la chiave nella toppa, in genere viene montata al contrario. Per aprire bisogna girare da sinistra verso destra. Ma poi in fondo cos'è il contrario? Forse siamo noi  al contrario rispetto a loro. Lo stesso vale per gli interruttori della luce. Però è vero che questa tendenza è anche indice di una mentalità diversa.


Cos’altro puoi raccontarci
Al Sud del Madagascar viveva un europeo. Aveva messo su un piccolo ristorante. Ogni tanto gironzolava per il villaggio e aveva notato degli anziani che mendicavano. Decise così che ciò che avanzava dal ristorante fosse dato a loro. Ma qualcuno dopo qualche tempo gli disse: “Senti io comprendo la mentalità dei vahaza (i non-malgasci o il bianco vengono chiamati così), ma qui la gente pensa in modo diverso. Il giorno che tu non potrai più dare loro del cibo, queste persone andranno in giro a dire: “Che tipo ingrato. Ci ha dato finora del cibo e ora non ce ne da più.” E' la mentalità di chi ti dice: Se vuoi farlo, fallo pure, sei tu che decidi, ma io non te l'ho chiesto e non ho alcun debito verso di te.

Altra esperienza personale 
Una ragazzina otto anni mendicava per la strada. Settembre, ottobre, novembre, dicembre. Pensai: se questa è qui da quattro mesi scolastici, allora vuol dire che veramente i genitori, pescatori, non hanno i mezzi per farla studiare. Cosi anche con difficoltà, decido di pagarle gli studi presso una scuola religiosa privata che lei stessa aveva scelto. Passa un anno e termina la scuola. La cosa che mi meraviglio' per tutto l’anno è che nessuno della famiglia mi espresse un minimo di ringraziamento, per esempio come si faceva  da noi in modo semplice: "Ecco qui un cartoccio con 3 sardine. Grazie per il vostro interessamento". Sta per iniziare il nuovo anno. Questa volta mi interesso presso un'associazione affinché si possa prendere cura della piccola. Penso che sia meglio passare attraverso qualcosa di ufficiale. L'associazione accetta e chiede alla madre di presentarsi con la carta d'idendità. Il giorno dopo incontro una intermediaria della famiglia che mi dice che non c'era più bisogno perché avevano già trovato un altro privato che pagava per la piccola. Prima la bimba mi salutava quando mi incontrava, dopo indifferenza totale: aveva ricevuto l’ordine di stare alla larga. In pratica succede, e questo mi è stato confermato da un’altro straniero, che lo stesso bambino è pagato allo stesso tempo da due o tre realtà differenti: privati, associazioni. Allora si gioca in modo che gli uni non vengano a sapere degli altri. Questa è una mentalità della convenienza e aggiungerei della povertà.


Ma come vengono giudicate
Tutte queste realtà fanno parte della vita di questa gente e non sono giudicate in modo negativo. La legge non è ancora un punto di riferimento. Qui è negativo ciò che va contro le tradizioni o i tabù (fady).
La tradizione per esempio mette in secondo piano la donna, e allora la legge recita: E’ malgascio il bambino nato da padre malgascio.

Come vivono la malattia, la morte
Ma d’altro canto a contatto con questa realtà anche noi incontriamo l’ «altro noi» dimenticato. Un’accettazione maggiore della vita in senso più naturale e meno tecnologizzato. La malattia, la morte sono realtà che fanno parte della vita e che si vivono senza l’ansia che contraddistingue la nostra civiltà. Il rapporto col dolore e la precarietà si vivono in modo più degno. Ognuno fa fronte ad essi come può e senza lamentarsi. Ricordo la mia prima visita in un dispensario: c’erano bambini con piaghe, malati, ma nessuno di loro piangeva.

 Il dolore è portato con dignità.
Ci sono scolari che nelle zone di brousse possono stare anche tre giorni senza mangiare, e non è affatto raro, ma continuano ogni giorno ad andare a scuola.
Ognuno fin da piccolo è stato educato, nelle giusta proporzione, a badare a se stesso. Se cadi, nessuno ti aiuta, ma sei tu che devi cercare di rimmetterti in piedi da solo. E’ che la vita te la devi costruire da solo e non essere un peso per gli altri. Qui ci sono persone molto avanti negli anni che continuano a lavorare per poter vivere. E quando incontro queste persone, io le saluto con molto rispetto.

Le tue foto cosa raccontano
Attraverso le foto, cerco di raccontare questo mondo, la gente che incontro, le situazioni vissute, anche particolari, come in "Un popolo unito nel pericolo" o alcuni piccoli gruppi custodi di tradizioni secolari, quali i pescatori del vecchio Porto di Fort Dauphin o i Mikea della zona Masikoro, Sud-Ovest. Sono immagini di vita. Vita semplice e ancora legata a ritmi naturali, a rituali secolari. E' anche una società in lenta trasformazione dove nuove realtà a volte entrano in dialogo e in conflitto con antiche credenze.

Come sei entrato nel mondo della fotografia
La fotografia è stata da sempre la mia passione, fin da quando ero ragazzo e ancora oggi, cerco in qualche modo di farne il mio lavoro. Ho anche ricevuto alcuni riconoscimenti:  Gran Prix del Mois de la Photo Sar'nao nel 2010, "Avec les jeunes de Madagascar" nel 2011, Laureat au Prix du Jury Ilford nel 2013.

Perché il bianco e nero
Prediligo il bianco e nero perché lo trovo più interessante per raccontare la vita della gente. Ho anche un sito web in cui è possibile vedere ciò che viene fuori dalla mia macchina fotografica: www.salvatore-avallone.com

“Dialoghi interiori”
Dal 1992 ho lavorato a un’idea che voleva realizzare una nuova forma di espressione. Da questa intuizione sono nati i «Dialoghi interiori», realizzati con una Leica M6. La mia prima vera macchina è stata un Ricoh 35EE.

Il digitale
Ho lavorato con le pellicole fino a quando nel 2008 sono passato al digitale. Sono le foto che si possono vedere nel mio sito.
Salvatore Avallone: www.salvatore-avallone.com


Avere il privilegio di possedere un’opera d’arte
Le foto di Salvatore Avallone si possono acquistare direttamente dal sito internet o contattare direttamente l'autore ("Contatto" nel menu del sito) e averle consegnate a domicilio; in Italia hanno delle quotazioni ufficiali fino a 300 euro, ma per i lettori de “Il mio Madagascar” sarà riservato un prezzo particolare per chi vive in Italia e ancora più particolare per i connazionali del Madagascar. 

Qualche commento dal libro d’oro:

23/12/2013 
grazie per le tue foto sempre così piene di umanità e di vita quotidiana. In chi le guarda e le contempla non possono che suscitare amore e compassione per ciò che è umano. Grazie.


10/10/2012 
J'ai découvert les photographies de Salvatore Avallone dans l'article que la revue Réponses Photo lui a consacré en novembre 2011. J'ai été très impressionné par l'optimisme qui rayonne de ces images et j'ai aussitôt acheté 3 photographies que je ne me lasse pas de contempler chez moi.

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