la storia di due amiche volontarie nel
Madagascar
In Madagascar la cultura è molto
diversa da quella occidentale: si impara a vivere alla giornata e a non
preoccuparsi di cose futili, tant'è vero che Marta e Federica hanno fatto loro
due filosofie locali: "mora
mora", che significa piano piano e "tokiki", che si traduce in sorridi!.
Stavano cercando la propria
strada e sui loro passi hanno incontrato l'Africa.
È la storia di due amiche, di due giovani ragazze che si sono incamminate sul
sentiero della vita per diventare donne, di valori e di un sogno. Marta Mariani
e Federica Cappella, di 27 e 25 anni, l'avevano sempre vagheggiata quell'idea
di saggiare in prima persona l'esperienza del volontariato nel continente
africano. Entrambe, più volte nel corso della loro esistenza, avevano solcato
quelle distanze con la mente che, in un colpo d'occhio, dal milanese le
catapultava in terre lontane. Ma per un motivo o per l'altro l'opportunità di
toccare con mano quei pensieri ricorrenti non si era mai concretizzata. Se non
altro fino a qualche tempo addietro. E solo una concatenazioni di fatti e
circostanze ha reso possibile tutto ciò.
«Mi sono laureata in medicina e chirurgia un anno e mezzo
fa e da allora non ho trovato nessun lavoro degno di essere chiamato tale -
racconta Marta -. A settembre, ho tentato il concorso per entrare nella scuola
di Medicina Generale, necessaria per diventare medico di base, ma invano. Così
- continua -, ho deciso di rivolgermi a qualche associazione per poter fare
un'esperienza di volontariato come medico in paesi in via di sviluppo».Al contempo Federica,
giunta alle battute finali del suo corso universitario e benché
professionalmente impiegata, una volta messa al corrente delle intenzioni
dell'amica, conosciuta sui campi di calcio del Metanopoli di San Donato
Milanese, non ci ha pensato su due volte e ha spolverato la valigia. «Sono laureanda in
Scienze Motorie dello Sport e tra un mesetto circa finalmente mi laureerò -
riporta Federica -. Inoltre, lavoro in diverse palestre come personal trainer o
assistente in sala pesi, dedicandomi soprattutto a persone anziane e donne». In
questo senso, considerata l'attuale congiuntura economica, la ragazza in
profumo d'alloro si è sempre considerata fortunata. Eppure, non si sentiva
completa. Incompiuta. All'appello mancava sempre qualcosa per realizzarsi, che
con lunghe riflessioni elaborò nel donarsi agli altri.
Perciò, «quando Marta mi ha detto quello
che aveva in mente non ho esitato, ho seguito il mio istinto e,
secondo la mia teoria che ognuno ha il suo posto nel mondo, sono partita
cercando di trovare il mio». La coppia di amiche, allora, dopo un'accurata
ricerca, si è appoggiata a Life for Madagascar. Nella fattispecie, si tratta di
una onlus sorta nel 2011 dalla volontà di un gruppo di professionisti operanti
nell‘area medica, che si propone di portare sostegno alle popolazioni
svantaggiate e bisognose del Madagascar, mediante interventi di carattere
sanitario e sociale. Tra gli intenti prioritari figurano la salute delle madri
e dei loro figli che sono stati fortemente perseguiti con la costruzione
di un piccolo centro sanitario polifunzionale, dotato anche di ambulatori per
visite specialistiche (odontoiatriche, oculistiche e ginecologiche), sull'isola
di Nosy Be, nel nord ovest del Madagascar.
Individuato dunque l'ente di supporto, il quale ha dato
convalida alle loro domande di partecipazione, si può dire che il più era stato
fatto. Son seguiti l'antiepatite, scartoffie burocratiche e il volo che, in
data 17 febbraio, le ha portate nella Repubblica malgascia. La loro vera
avventura è cominciata quel dì, in un frenetico tram tram quotidiano. «Prima di
tutto - spiegano - qui si vive seguendo i ritmi dettati dal sole: ci si alza
all'alba e dopo il tramonto si va a dormire. Si vive all'aria aperta».
L'abitazione è costituita di fatto da una sola stanza, adibita esclusivamente
ad area sonno. Il resto, cioè tutto, lo si trova fuori. Giorno e notte le
strade traboccano di fiumi di parole, colori e persone, le quali sono ben
consce del significato di essere parte di una comunità. Uno basta all'altro.
«Non hanno bisogno di televisori, computer, internet o aggeggi tecnologici come
noi». Tale lezione è impartita paradossalmente dai più piccoli: non è rado
imbattersi in bambini che con poco o nulla scoppiano di contentezza. Basta una
pozzanghera in cui saltare oppure un pezzo di latta legato a un filo, trainato
a mo' di automobilina per trovare il sorriso. Che abbiano compreso il reale
senso della vita?
In Madagascar la cultura è molto diversa da quella
occidentale: si impara a vivere alla giornata e a non preoccuparsi di cose
futili, tant'è vero che Marta e Federica hanno fatto loro due filosofie locali:
"mora mora", che significa piano piano e "tokiki", che si traduce in sorridi!. Nel
volgere di qualche settimana la loro esperienza è quindi divenuta totalitaria,
avvolgente, banco di prova di vita oltre che estremamente arricchente dal punto
di vista professionale. A tal proposito ogni mattina Marta, assieme ad altre
due giovani dottoresse di Trieste, Francesca Pipan e Francesca Bulfone, con cui
costituisce un equipe medico preparatissimo, esegue visite. La priorità
giornaliera è assegnata ai casi pediatrici, che la fanno da padrone, per poi
passare successivamente agli adulti. «Al centro - espone Marta - si rivolgono
pazienti che non sono in grado di pagare le visite mediche o che non si possono
permettere di comprare farmaci per curarsi». Qui, ovviamente, tutto è gratuito
e non è difficile concepire quanto possa essere d'aiuto per una realtà così
povera (uno stipendio medio si aggira intorno ai 50 euro).
Nel frattempo che le compagne svolgono le loro mansioni, Federica mette in pratica gli
insegnamenti appresi durante la sua formazione. «Tra le 9 e le
10 del mattino mi reco in una scuola e mi occupo di far giocare gli alunni
durante la ricreazione. Dopodiché torno all'ambulatorio e mi rendo utile, per
quel che posso, oppure cerco di intrattenere i bambini, semplicemente
colorando, facendo aeroplani». Lei, è lì per regalare il buonumore. Intorno
alle ore 15.00 per ambedue, a livello teorico, la giornata lavorativa può
dirsi conclusa e allora l'aspetto ludico spazia. «Gioco a calcio - dice
Federica -. Sbirciando quello che avevano messo in pratica i miei predecessori
ho capito che avrei potuto diffondere la mia grande passione, quella del
pallone, anche in un paese come questo». In effetti il linguaggio della palla è
universale.
«A proposito - aggiunge -, devo ringraziare l'Inter
Femminile e la Polisportiva di Pantigliate, più altre persone dal cuore
generoso, che hanno donato divise calcistiche e palloni da poter regalare». I
loro presenti hanno scatenato non poca felicità nei cuori dei bambini malgasci.
Ed è lì, in quella microscopica frazione di secondo, quando sui loro volti
esplodono sorrisi prorompenti, che le due ragazze trovano presumibilmente il
motivo del loro viaggio. Il 18 marzo la loro esperienza terminerà e dovranno
rientrare in patria, sebbene dalle loro parole, di pancia, traspaia in maniera
talmente lampante l'assenza di sazietà per quanto visto, udito, osservato,
provato. Quelle terre hanno già pervaso i loro animi, già segnati da quel
legame di chi ha visitato l'Africa e non ne può più fare a meno, anche se,
probabilmente, adesso Marta e Federica non se ne rendono ancora conto. O forse
sì... Perché «qui - chiosano -, è come rinascere ogni giorno, si ha
sempre la possibilità di fare di più. Rinascere con il mondo e goderselo».
MaurizioZanoni
@mauriziozanoni
@mauriziozanoni
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