mercoledì 19 febbraio 2014

Salvatore: educatore e fotografo

Laureato in Scienze dell'educazione, ho lavorato come educatore in diversi settori e per diversi anni sia in Italia (Catanzaro, Torino, Brindisi, Napoli) che in Madagascar (Nord, Centro e Sud) seguendo diversi progetti.
  
Dove vivi
Vivo in Madagascar da tredici anni. Sono sposato, mia moglie è malgascia, abito a Fort Dauphin e abbiamo un bimbo. 

Come trovi il Madagascar
Trovo quest'isola affascinante, anche se  mi accorgo che la gente ha una mentalità molto diversa da quella in cui sono nato. Soprattutto nelle zone rurali. Per chi vive nella  capitale, Antananarivo, o le grandi città è già un po' diverso.

Quali sono le differenze

Ciò che per noi è scontato, qui non lo è affatto. Ci sono dei modi di pensare e di comportarsi che per gli europei sono acquisiti e che fanno parte da secoli della cultura occidentale, ma che qui risultano  estranei alla mentalità tradizionale. Chi viene in Madagascar e ci vive  prima o poi se ne rende conto.

E cioè..... 
Arrivando in Madagascar in genere si viene in contatto con uno spaccato di vita socialmente e economicamente molto diverso dal nostro. Ricordo la mia prima impressione quando uscendo dall'areoporto di Ivato e in direzione Tana, vedevo molta gente che a piedi, spesso nudi, si muoveva secondo lo stesso passo, come un'unico corpo, nell'identica direzione. Fu spontaneo per me chiedere: Ma dove va tutta questa gente?  E invece semplicemente era il loro modo di spostarsi: sembravano insieme, ma ognuno era per i fatti suoi.
Allora arrivando in Madagascar capita che subito ci si attiva per organizzare iniziative di aiuto, anche se, secondo me,  è meglio prima di agire stare ad osservare.

Come bisogna comportarsi
Osservare e cercare di capire, potrebbe  essere l'occasione per cominciare a entrare in questa nuova mentalità, che poi è anche un nuovo mondo. Un mondo fatto di prescrizioni, tradizioni ancestrali, leggi non scritte che spesso cozzano con la nostra mentalità costruttivistica, organizzatrice e razionale. 

Ma cosa c’è proprio di diverso
Quello che è diverso è proprio la mentalità, il modo di pensare.
Entrare in una nuova mentalità è difficile. Non è qualcosa che avviene in automatico.

Racconta le tue esperienze
Mi trovavo al Nord del Madagascar, zona Sakalava, e molta gente stava davanti a un grosso cancello chiuso, che aveva in un lato una porticina. - Aspettate qualcuno?, chiedo. - No, è che vorremmo uscire ma la porta è chiusa. - Ma strano perché questa porticina è sempre aperta. Avete già provato? - Sì, molti hanno cercato di aprire ma non ci sono riusciti. Allora mi accosto alla porta, giro la maniglia e la porta si apre, non era chiusa a chiave. Tutti cercavano di aprire la porta spingendo verso l'alto la maniglia, nessuno aveva provato a spingere verso il basso. 
Sembra quasi una situazione comica. 
Allo stesso modo la chiave nella toppa, in genere viene montata al contrario. Per aprire bisogna girare da sinistra verso destra. Ma poi in fondo cos'è il contrario? Forse siamo noi  al contrario rispetto a loro. Lo stesso vale per gli interruttori della luce. Però è vero che questa tendenza è anche indice di una mentalità diversa.


Cos’altro puoi raccontarci
Al Sud del Madagascar viveva un europeo. Aveva messo su un piccolo ristorante. Ogni tanto gironzolava per il villaggio e aveva notato degli anziani che mendicavano. Decise così che ciò che avanzava dal ristorante fosse dato a loro. Ma qualcuno dopo qualche tempo gli disse: “Senti io comprendo la mentalità dei vahaza (i non-malgasci o il bianco vengono chiamati così), ma qui la gente pensa in modo diverso. Il giorno che tu non potrai più dare loro del cibo, queste persone andranno in giro a dire: “Che tipo ingrato. Ci ha dato finora del cibo e ora non ce ne da più.” E' la mentalità di chi ti dice: Se vuoi farlo, fallo pure, sei tu che decidi, ma io non te l'ho chiesto e non ho alcun debito verso di te.

Altra esperienza personale 
Una ragazzina otto anni mendicava per la strada. Settembre, ottobre, novembre, dicembre. Pensai: se questa è qui da quattro mesi scolastici, allora vuol dire che veramente i genitori, pescatori, non hanno i mezzi per farla studiare. Cosi anche con difficoltà, decido di pagarle gli studi presso una scuola religiosa privata che lei stessa aveva scelto. Passa un anno e termina la scuola. La cosa che mi meraviglio' per tutto l’anno è che nessuno della famiglia mi espresse un minimo di ringraziamento, per esempio come si faceva  da noi in modo semplice: "Ecco qui un cartoccio con 3 sardine. Grazie per il vostro interessamento". Sta per iniziare il nuovo anno. Questa volta mi interesso presso un'associazione affinché si possa prendere cura della piccola. Penso che sia meglio passare attraverso qualcosa di ufficiale. L'associazione accetta e chiede alla madre di presentarsi con la carta d'idendità. Il giorno dopo incontro una intermediaria della famiglia che mi dice che non c'era più bisogno perché avevano già trovato un altro privato che pagava per la piccola. Prima la bimba mi salutava quando mi incontrava, dopo indifferenza totale: aveva ricevuto l’ordine di stare alla larga. In pratica succede, e questo mi è stato confermato da un’altro straniero, che lo stesso bambino è pagato allo stesso tempo da due o tre realtà differenti: privati, associazioni. Allora si gioca in modo che gli uni non vengano a sapere degli altri. Questa è una mentalità della convenienza e aggiungerei della povertà.


Ma come vengono giudicate
Tutte queste realtà fanno parte della vita di questa gente e non sono giudicate in modo negativo. La legge non è ancora un punto di riferimento. Qui è negativo ciò che va contro le tradizioni o i tabù (fady).
La tradizione per esempio mette in secondo piano la donna, e allora la legge recita: E’ malgascio il bambino nato da padre malgascio.

Come vivono la malattia, la morte
Ma d’altro canto a contatto con questa realtà anche noi incontriamo l’ «altro noi» dimenticato. Un’accettazione maggiore della vita in senso più naturale e meno tecnologizzato. La malattia, la morte sono realtà che fanno parte della vita e che si vivono senza l’ansia che contraddistingue la nostra civiltà. Il rapporto col dolore e la precarietà si vivono in modo più degno. Ognuno fa fronte ad essi come può e senza lamentarsi. Ricordo la mia prima visita in un dispensario: c’erano bambini con piaghe, malati, ma nessuno di loro piangeva.

 Il dolore è portato con dignità.
Ci sono scolari che nelle zone di brousse possono stare anche tre giorni senza mangiare, e non è affatto raro, ma continuano ogni giorno ad andare a scuola.
Ognuno fin da piccolo è stato educato, nelle giusta proporzione, a badare a se stesso. Se cadi, nessuno ti aiuta, ma sei tu che devi cercare di rimmetterti in piedi da solo. E’ che la vita te la devi costruire da solo e non essere un peso per gli altri. Qui ci sono persone molto avanti negli anni che continuano a lavorare per poter vivere. E quando incontro queste persone, io le saluto con molto rispetto.

Le tue foto cosa raccontano
Attraverso le foto, cerco di raccontare questo mondo, la gente che incontro, le situazioni vissute, anche particolari, come in "Un popolo unito nel pericolo" o alcuni piccoli gruppi custodi di tradizioni secolari, quali i pescatori del vecchio Porto di Fort Dauphin o i Mikea della zona Masikoro, Sud-Ovest. Sono immagini di vita. Vita semplice e ancora legata a ritmi naturali, a rituali secolari. E' anche una società in lenta trasformazione dove nuove realtà a volte entrano in dialogo e in conflitto con antiche credenze.

Come sei entrato nel mondo della fotografia
La fotografia è stata da sempre la mia passione, fin da quando ero ragazzo e ancora oggi, cerco in qualche modo di farne il mio lavoro. Ho anche ricevuto alcuni riconoscimenti:  Gran Prix del Mois de la Photo Sar'nao nel 2010, "Avec les jeunes de Madagascar" nel 2011, Laureat au Prix du Jury Ilford nel 2013.

Perché il bianco e nero
Prediligo il bianco e nero perché lo trovo più interessante per raccontare la vita della gente. Ho anche un sito web in cui è possibile vedere ciò che viene fuori dalla mia macchina fotografica: www.salvatore-avallone.com

“Dialoghi interiori”
Dal 1992 ho lavorato a un’idea che voleva realizzare una nuova forma di espressione. Da questa intuizione sono nati i «Dialoghi interiori», realizzati con una Leica M6. La mia prima vera macchina è stata un Ricoh 35EE.

Il digitale
Ho lavorato con le pellicole fino a quando nel 2008 sono passato al digitale. Sono le foto che si possono vedere nel mio sito.
Salvatore Avallone: www.salvatore-avallone.com


Avere il privilegio di possedere un’opera d’arte
Le foto di Salvatore Avallone si possono acquistare direttamente dal sito internet o contattare direttamente l'autore ("Contatto" nel menu del sito) e averle consegnate a domicilio; in Italia hanno delle quotazioni ufficiali fino a 300 euro, ma per i lettori de “Il mio Madagascar” sarà riservato un prezzo particolare per chi vive in Italia e ancora più particolare per i connazionali del Madagascar. 

Qualche commento dal libro d’oro:

23/12/2013 
grazie per le tue foto sempre così piene di umanità e di vita quotidiana. In chi le guarda e le contempla non possono che suscitare amore e compassione per ciò che è umano. Grazie.


10/10/2012 
J'ai découvert les photographies de Salvatore Avallone dans l'article que la revue Réponses Photo lui a consacré en novembre 2011. J'ai été très impressionné par l'optimisme qui rayonne de ces images et j'ai aussitôt acheté 3 photographies que je ne me lasse pas de contempler chez moi.

Gli articoli più letti





Madagascar di Salvatore Cambria

Nel complesso penso di avere fotografato più di 1000 specie diverse durante il viaggio, ma cercherò di fare una sintesi sulle specie più significative, senza dimenticare ovviamente anche qualche foto dell'altrettanto straordinaria fauna.

Tra ottobre e novembre approfittando di un periodo relativamente libero da impegni ho trascorso un mese in Madagascar, girando gran parte dell'isola con l'ausilio di un bravo autista ed un amico. Come sempre ho focalizzato la mia attenzione sulla flora, cercando di esplorare tutti gli habitat presenti nella grande isola. Nel complesso penso di avere fotografato più di 1000 specie diverse durante il viaggio, ma cercherò di fare una sintesi sulle specie più significative, senza dimenticare ovviamente anche qualche foto dell'altrettanto straordinaria fauna. L'identificazione delle specie malgasce è stato alquanto difficile, visto che si tratta di una flora totalmente diversa da quella dei paesi temperati, con famiglie e generi a me precedentemente ignoti, dunque se qualcuno più esperto di me non concordasse sull'identificazione di alcune specie sarebbe molto gradito qualche suggerimento.... Per l'identificazione ho usato alcuni libri per lo più tematici (Atlante della flora del madagascar, Palme del Madagascar, Orchidee del Madagascar, Aloe del Madagascar, ecc. ) ed inoltre l'utilissimo

sito http://www.tropicos.org/project/mada.
Come è noto il Madagascar è la quarta isola più grande del mondo e gode di un clima tropicale in tutto il suo territorio, con l'esclusione degli altopiani centrali e delle montagne sovrastanti che sperimentano temperature sottozero in inverno e talvolta anche la neve (solo sulle cime sopra i 2500 m). Il fattore più importante che influenza la vegetazione è la distribuzione delle precipitazioni che è molto irregolare sulla costa occidentale con un lungo periodo secco, mentre nella parte orientale le precipitazioni sono presenti in gran parte dell'anno e i periodi aridi sono molto brevi. Dando uno sguardo ai dati sulla flora del Madagascar si nota una grande ricchezza con circa 13,000 specie note (notevole se si pensa che isole anche più grandi come il Borneo e la Nuova Guinea si fermano a 10,000) e sopratutto una percentuale di specie endemiche intorno al 90% che rendeno il Madagascar il terzo paese del mondo per numero di endemismi dopo l'Australia e il Sud Africa, (ma la prima è circa trenta volte più grande del Madagascar). L'endemismo inoltre, grazie al lungo isolamento dell'isola, presenta un alto grado tassonomico annoverando 8 famiglie e ben 400 generi endemici (per fare un paragone nel Borneo i generi endemici sono "solamente" 60). 
Per prima cosa ecco una mappa del viaggio:


Arrivati ad Antananarivo, la capitale del Madagascar, nel primo pomeriggio dopo un lungo volo da Parigi, ci mettiamo subito in marcia verso la nostra prima meta e cioè Antsirabe, una cittadina a circa 3 ore di auto dalla capitale. Abbondonata la caotica città abbiamo un primo assaggio della zona delgi altipiani centrali. Delle originarie formazioni farostali non resta quasi niente, prevalgono invece i campi coltivati e sopratutto le risaie, inoltre la particolare composizione del suolo e la forte erosione danno alla zona degli altipiani un particolare aspetto, che è valso al Madagascar l'appellativo di "Isola rossa". L'unico aspetto di vegetazione rappresentato è quello delle praterie, dove dominano le poaceae quali Aristida, Heteropogon, Hyparrhenia,

Dopo la breve visita ai laghi continuiamo verso Morondava sulla costa occidentale e che dista ben 500 km da Antsirabe (ma fortunatamente la strada è asfaltata). Spostandosi verso ovest e abbasandosi l'altitudine il clima e sempre più caldo e il paesaggio più arido, con estese praterie dove pascolano gli zebù (una sorta di mucca) :



Messaggioda Salvatore Cambria » 08 feb 2014, 20:30
Ormai abbandonato l'altipiano, cominciamo a vedere le prime savane, frutto dei frequenti incendi applicati dai pastori che hanno totalmente eliminato l'originaria foresta decidua secca in quest'area. Nonostante ciò ci sono alcune specie interessanti, sopratutto palme endemiche come Bismarckia nobilis e Dypsis madagascariensis, ma anche alberi isolati di Poupartia caffra, Rourea orientalis, Stereospermum sp., Ziziphus mauritiana, ecc.



Messaggioda Salvatore Cambria » 08 feb 2014, 20:47
Sulla spiaggia inoltre è presente la famosa pervinca del Madagascar (Catharanthus roseus), ampiamente coltivata come pianta ornamentale anche in Europa e nota per le sue propietà antitumorali. E' ormai difficile distinguere le stazioni dove la specie è naturalizzata da quelle dell'originaria distribuzione poiche essa è nota alle popolazioni locali per le sue virtù da secoli, con una conseguente diffusione della specie in tutto il Madagascar. Noi l'abbiamo sempre vista su terreni sabbiosi costieri o nelle sponde sabbiose dei fiumi.


 Messaggioda Salvatore Cambria » 08 feb 2014, 21:03
Da Morondava ci dirigiamo verso Nord, lungo la costa. La prima tappa è uno dei luoghi più celebri del Madagascar: il viale dei Baobab. In sostanza si tratta di un gruppo di baobab (Adansonia grandidieri) monumentali che crescono ai bordi della strada principale che parte da Morondava verso nord, rappresentando gli ultimi alberi superstiti della foresta decidua che occupava l'area. La specie, A.grandidieri è endemica di una ristretta area intorno Morondava ed è quindi una delle più rare tra le sette specie di baobab del Madagascar (di cui 6 endemici).


Messaggioda Salvatore Cambria » 08 feb 2014, 21:22
Continuando verso nord l'ambiente diventa meno antropizzato e molto più interessante quando la strada attraversa la Réserve spéciale d'Andranomena, un buon esempio di foresta decidua secca su substrati sabbiosi, dove è presente una accentuata differenziazione tra tre livelli: uno strato arboreo superiore poco denso alto 12-15 m con poche specie quali baobab ( A. grandidieri e A. rubrostipa), Commiphora sp., Cedrelopsis grevei e un fitto strato costituito da alberi sotto i 12 m con un gran numero di entità appartenenti a famiglie come Bignoniaceae, Rutaceae, Malvaceae, ecc. Infine lo strato arbustivo è pure molto ricco con generi quali Bauhinia, Strychnos, Rothmannia, ecc.

http://www.actaplantarum.org/viewtopic.php?f=42&t=58732 


Articoli correlati




Investire in Madagascar

By Giorgio,
Ormai giornalmente mi arrivano mail dalla parte di persone che vorrebbero scappare dall’Italia per venire in quello che reputano un paradiso lontano come il Madagascar.
In genere tutti coll’idea di aprire un ristorante italiano o un albergo sulla spiaggia; chi con poche centinaia di euro, chi con capitali più importanti.
E tutti che mi chiedono consigli su come fare. Ok che vivo in Madagascar dal 96 e che all’attivo ho decine di società e di attività di tutti i tipi, ma non posso prendermi la responsabilità di consigliare o sconsigliare un business a una persona.
Il solo grande consiglio che posso dare é questo: non pensate che questo sia un paradiso in terra a meno che non siate dei pensionati con una buona rendita ( e ancora ci sarebbe da dire su questo tema); qui è tutto più difficile che in Italia, specialmente se non si é già nel settore dell’attività che si vuole intraprendere.
Venite qui innanzitutto non con gli occhi di uno in vacanza, ma provate a viverci almeno un po’ e magari lavorarci dando una mano a qualche organizzazione o qualche investitore locale (non pero’ il sottoscritto che da buon veneto fa tutto da solo): non sarà assolutamente tempo perso, ma prendetelo come un investimento personale per capire come funziona qui il tutto, dalla burocrazia, al rapporto con le persone, alle difficoltà quotidiane e al modo di trovare sempre una soluzione.
Se avete pochi soldi da investire dimenticate di costruire qualcosa che seppur meno dispendioso all’ apparenza che in italia, prevede tempi biblici e spese connesse che a volte superano i budget previsti.
Se avete tanti soldi occhio a come li volete investire: le truffe, specialmente sui terreni e le attività commerciali sono all’ordine del giorno (sappiate già in partenza che non potrete mai essere proprietari a titolo personale di un terreno in Madagascar).
E diffidate da chi vi dice che qui si vive con 500 euro al mese: certo c’è chi ci riesce, ma dimenticatevi il minimo di confort e sicurezza; un clochard in italia avrebbe più lussi che voi in Madagascar con questi 500 euro.
Per cui state attenti a investire in Madagascar… conoscete innanzitutto il paese vivendoci e non facendo solo una vacanza a Nosy Be e poi se volete ne parliamo.

Assistenza italiana qualificata  alla sede UIM Madagascar.
 Aldo Sunseri è in grado di darvi informazioni e assistenza per il rilascio dei visti di lungo soggiorno, costituzioni societarie ecc..
Informazioni: alsunita@email.it tel. 00261-324466648
Articoli correlati

L’“oro verde” delle carmelitane


Le monache coltivano un’alga per realizzare un integratore alimentare i cui effetti sono di grande aiuto ai malati, agli anziani e soprattutto ai bambini malnutriti


Non solo ostie e candele. Le monache contemplative carmelitane di Amborovy, vicino a Mahajanga in Madagascar, hanno intrapreso un progetto di auto-sostentamento molto più originale. Si tratta della coltura della spirulina, un’alga dalle preziose proprietà mediche ed energetiche, con la quale da ormai un paio d’anni le religiose producono un integratore alimentare.


Tutto è nato nel 2010, quando un benefattore suggerisce alle contemplative di coltivare il riso. Tuttavia le elevate temperature della zona e la mancanza d’acqua non permettono la coltivazione nelle risaie, e nasce così l’idea dell’alga preziosa, le cui proprietà erano già state sperimentate in altre diocesi malgasce.  «Conoscevamo già l’efficacia della spirulina – spiega ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (fondazione di diritto pontificio che sostiene l'azione pastorale, ndr) la madre priora, Suor Odette – i cui effetti sono di grande aiuto ai malati, agli anziani e soprattutto ai bambini malnutriti».

La microscopica alga ricchissima di proteine – già ribattezzata l’“oro verde” del Madagascar - è stata casualmente scoperta in un villaggio nel sud dell’isola, come ha raccontato ad ACS-Italia monsignor Roger Victor, vescovo di Mahajanga, durante una visita di alcuni membri della fondazione pontificia nella sua diocesi. «In questo piccolo centro il tasso di mortalità infantile era nettamente inferiore alla media nazionale. In Madagascar purtroppo tantissimi bambini muoiono perché gravemente malnutriti». Dopo alcune ricerche è stato possibile attribuire la straordinarietà del villaggio alla presenza di un bacino ricco di spirulina. Così sono nati i primi laboratori nella diocesi di Morondava guidata da monsignor Fabien Raharilamboniana. Il presule è stato il primo nel 1999 a trovare un accordo con un’associazione francese per la coltivazione dell’alga.


«Sicure degli ottimi risultati – spiega Suor Odette - ci siamo lanciate in questo progetto che va ben aldilà del nostro sostentamento». Le religiose donano infatti l’integratore anche ai bambini e alle famiglie più povere. Molti medici consigliano “l’oro verde” a chi non può permettersi di acquistare medicine. «Grazie alla spirulina – aggiunge la religiosa – i bambini aumentano di peso pur non mangiando abbastanza riso».

In Madagascar l’80% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e solo il 15% della popolazione ha accesso alle cure mediche di base. Nei villaggi i bambini muoiono ancora per malattie perfettamente curabili e l’isola è al 6° posto nel mondo per malnutrizione infantile. Molte famiglie non possono curare i propri figli per mancanza di denaro o per l’assenza di un ospedale nelle vicinanze e la Chiesa locale è tra le poche realtà al fianco della popolazione. La presenza dei dispensari cattolici è davvero essenziale per sopperire alle gravi mancanze della sanità pubblica.

«Attraverso i dispensari – spiega ad ACS padre Bruno Dall’Acqua, missionario carmelitano ed economo della diocesi di Mahajanga - la Chiesa salva delle vite e fa sentire ai malgasci che c’è chi si preoccupa per loro». Tuttavia in ambito sanitario le mancanze rimangono moltissime e nel 2011 la diocesi di Mahajanga ha avviato i lavori dell’ospedale Giovanni Paolo II. Un progetto ambizioso, di cui è responsabile padre Bruno. «La popolazione attende con trepidazione il completamento dell’ospedale – racconta – Qui tutti confidano nell’impegno della Chiesa Cattolica, che si fa carico di tante necessità ed è spesso la sola ad occuparsene».

Articoli correlati

All’ospedale di Henintsoa

Abbiamo lavorato molto: in tre settimane abbiamo trattato un centinaio di persone, tra cui molti bambini. Malattie infettive, parassitarie, malaria Comunque era pesante essere sempre di servizio, giorno e notte, e lavorare a temperature infernali.
Abbiamo anche operato più di quaranta persone, tra cui dodici cesarei d’urgenza: a volte anche due in una sola notte!!
L’ospedale di Henintsoa si trova a Vohipeno, nel sud est dell’isola, nella provincia di Fianarantsoa. Serve una popolazione di 500.000 abitanti in una zona rurale di 50 kmq priva di assistenza sanitaria.
L’ospedale è una piccola struttura di 50 posti letto con chirurgia, maternità, pediatria, radiologia ed ecografia e ambulatorio di primo intervento.
Il personale è malgascio, le équipe chirurgiche tutte composte di volontari italiani, sono inviate dall’ONLUS torinese “ANEMON”.
Abbiamo lavorato molto: in tre settimane abbiamo trattato un centinaio di persone, tra cui molti bambini. Malattie infettive, parassitarie, malaria Comunque era pesante essere sempre di servizio, giorno e notte, e lavorare a temperature infernali.
Abbiamo anche operato più di quaranta persone, tra cui dodici cesarei d’urgenza: a volte anche due in una sola notte!!
PROLOGO: IL VIAGGIO
Siamo tornati in Madagascar! Una equipe non è riuscita a partire per problemi personali e noi ( io, Vittorio Militi urologo, Ermanno Di Meo chirurgo e Daniele Fiducioso anestesista) riempiamo il buco.
Come ricordavo, il viaggio è eterno!
Oltre 12 ore di aereo, coda biblica per il visto, sosta notturna a Tanà (Antananarivo, la capitale) presso la casa delle Piccole Sorelle della Misericordia, dove si arriva a tarda notte. Sveglia dopo 4 ore di sonno e si riparte per due giorni di auto!!
Il panorama degli altopiani è strano: colline con prati e conifere tipo Svizzera e il verde tenero delle risaie che occupano tutti i fondo valle, con terrazze dall’aspetto decisamente asiatico!
Al termine del primo giorno, quando eravamo ancora sugli altopiani, si scatena un nubifragio che ci costringe a fermarci lungo la strada, squassati dal vento e flagellati da una poggia battente. Dopo un bel po’ ci rimettiamo in cammino, ma ,scendendo verso la foresta pluviale di Ranomafana, ci accoglie una fitta nebbia causata dall’abbassarsi della temperatura. Fortunatamente arriviamo ad un alberghetto, dove facciamo sosta e ceniamo.
Il giorno seguente è tutta un’altra faccenda: sole scintillante,fiume gonfio di pioggia,temperatura mite…L’ideale per un giro nella foresta alla ricerca dei lemuri,scivolando sulle foglie bagnate e schivando sanguisughe e ragni giganti…
Il viaggio prosegue fino a Manakara: a una quarantina di chilometri dalla cittadina, la conifera di guardia  lungo la strada ci segnala la pista per l’ospedale e finalmente, nel tardo pomeriggio, arriviamo ad Henintsoa.

Siamo un po’ sfatti: dopo i saluti di rito, scarichiamo i bagagli, rapida doccia, cena con padre Cento e alle nove di sera crolliamo a letto a dormire.

VITA IN WILDERNESS
Tutto, qui in Madagascar, diventa un cimento di coraggio, anche le cose più banali.
Già andare in bagno crea qualche ansia: a parte i rumori degli uccelli della vicina foresta e dei pennuti domestici che circondano la casa e che ti assordano con schiamazzi, devi superare l’inquietudine causata da sinistri ronzii, più vicino ad un rumore di scooter che ad un suono animale, emessi da vespe e calabroni. Questi sono invisibili, ma hai la sensazione che il ronzio sia emesso all’interno del bagno! A ciò si associa, in sottofondo, il rumore di potenti mandibole che rosicchiano le travi del tetto! In realtà grossi insetti non se ne vedono, ma la tranquillità è un’altra cosa! Anche perché spesso non c’è luce e si fa la doccia in penombra o a lume di candela..
Il bagno, a parte l’illuminazione, è decente: doccia e servizi di tipo occidentale, che teniamo rigorosamente puliti. In più, alla sera, se c’è stato il sole, abbiamo anche la doccia calda!!
Anche le cene con padre Cento si trasformano in imprese mitiche: lui soffre il caldo e spalanca la porta per fare corrente.
Le finestre hanno le zanzariere molto rotte e  permettono l’ingresso a grossi coleotteri volanti, che non sono intimiditi né dalla luce, né dai gechi sul muro, e neppure dal gatto che si introduce furtivo dalla porta. Non ci resta che abbattere i più fastidiosi a zoccolate, subendo l’ironia di padre Cento, che in quarant’anni ci ha fatto l’abitudine!
Inoltre ci fa notare come questi grossi scarafaggi facciano parte della farmacopea tradizionale e che si utilizza un decotto di otto animaletti come rimedio contro il tetano!! Anche se ci sembra strano, tale usanza ci viene confermata anche da suor Lea, che ne garantisce il buon risultato!

Alla sera, dopo il lavoro, andiamo spesso a camminare. Per fortuna in Madagascar non ci sono animali velenosi ….Anche se una inserviente dell’ospedale è stata azzannata da un coccodrillo, mentre si lavava nel fiume di Vohipeno!!!
Se stai lontano dal fiume si può camminare senza preoccupazioni, tranne quelle relative ai guidatori temerari, se cammini sulla  strada. I guidatori malgasci infatti credono che basti suonare per sgomberare magicamente la strada da passanti, polli, veicoli vari, ecc..
La distanza dall’ospedale al paese di Vohipeno è di circa tre kilometri, un po’ meno se si passa dal sentiero tra le risaie, quindi preferiamo questa via, anche se ti espone al rischio delle zanzare e a quello di scivolare dai ponticelli delle risaie .
Qualcuno di noi, non fidandosi dei tronchi a disposizione, preferisce fare lunghi giri sui bordi di terra…sprofondando comunque nella risaia! 

TIPI MALGASCI
Gli abitanti del Madagascar non sembrano del tutto africani: infatti sono un misto fra asiatici (malesi e cinesi), indiani, e africani. Molti hanno gli zigomi sporgenti e gli occhi a mandorla degli antenati asiatici.
Molti hanno i capelli crespi, che le donne raccolgono in treccine all’uso africano: tuttavia qui le treccine vengono poi raccolte in due trecce più grosse ai lati della testa, su cui si appoggia il cappello di paglia. Le bambine invece le raccolgono in una unica treccia posteriore e la maggioranza  non portano cappello.
Alcuni però, hanno i capelli lisci e neri, di cui le donne vanno fiere, curano molto e raccolgono un spesse trecce che vengono orgogliosamente esibite sulla schiena.
La maggioranza degli uomini veste all’occidentale con magliette e pantaloncini, mentre le donne spesso portano magliette o camicie indossate su ampie gonne tradizionali fatte annodando stoffe colorate.
Purtroppo la maggior parte della popolazione è molto povera ed ha pochi abiti, per cui spesso i colori dei vestiti si riducono ad un monotono e triste grigio polvere.
Per sposarti devi pagare la moglie in zebù, da dare alla famiglia paterna. Pertanto il futuro sposo deve lavorare come un mulo per guadagnare i soldi da sperperare in zebù. Pagato il prezzo ti porti via la sposa, che viene accolta nella nuova famiglia.  Se il marito muore, la famiglia, se vuole, si tiene i figli e rispedisce la moglie alla sua vecchia casa, dove farà la serva di tutti…
Anche le usanze funebri sono diverse da quelle africane: seppelliscono i morti in tombe nei campi. Dopo tre o cinque anni tirano fuori il defunto, ricompongono i resti,  gli fan fare un bel giro per il paese, e lo rimettono al suo posto con una grande festa.
Tutto questo costa alla famiglia un certo numero di zebù, che vengono immolati e mangiati da tutto il paese. A volte i familiari devono lavorare un bel po’, per racimolare gli zebù necessari!

IL LAVORO
In effetti i malgasci lavorano molto, anche perché qui al sud l’unica forza lavoro conosciuta è la loro: la gente tira i carretti, trasporta pesi enormi sulla schiena, percorrono lunghe distanze a piedi…gli zebù non fanno nulla!
In genere le donne coltivano un po’ di terra, i bambini badano agli zebù, mentre gli uomini pensano alle risaie, che rappresentano il centro della loro vita: la loro alimentazione infatti, si basa sul riso, che viene consumato in grandi quantità. Poiché ad esso non associano proteine (vendono le uova per procurarsi altro riso!) spesso la popolazione, in particolare i bimbi, soffre di malnutrizione…

Anche noi abbiamo lavorato molto: in tre settimane abbiamo trattato un centinaio di persone, tra cui molti bambini. Malattie infettive, parassitarie, malaria imperversavano. Ma anche cose strane: abbiamo salvato a stento una bimba di due anni che aveva mangiato mezzo pacchetto di topicida! Oppure un bimbo che ci è arrivato in coma , per una malaria cerebrale, per cui abbiamo penato per una settimana…
Abbiamo anche operato più di quaranta persone, tra cui dodici cesarei d’urgenza: a volte anche due in una sola notte!! Mi ha impressionato la giovane età di molte mamme: dodici-quattordici anni!
I medici locali, un internista-anestesista ed una ostetrica, non si stupivano molto: sorridevano piuttosto del nostro stupore!
Alcuni interventi, non pochi, sono stati fatti per patologie neoplastiche, che qui , al sud del Madagascar, sono insolitamente alte! Molto di più che nell’Africa continentale. Chissà come mai? Ereditarietà, inquinamento?
Comunque era pesante essere sempre di servizio, giorno e notte, e lavorare a temperature infernali. Però noi, alla domenica, ci siamo presi due mezze giornate di festa, i due Colleghi malgasci non staccavano mai! Trecentosessantacinque giorni all’anno!...Sono ammirato della loro resistenza


IL SORRISO DI ANITA
Quando siamo arrivati all’ospedale di Henintsoa, in Madagascar, vi abbiamo trovato alcuni pazienti operati dall’equipe precedente. Fra questi vi era anche Anita, una ragazza di 18 anni, operata per una peritonite da perforazione uterina.
Era malnutrita e depressa e non si muoveva più dal letto e dovevamo farle delle medicazioni dolorose.  Le prime le facevamo in anestesia generale a causa del dolore, e abbiamo cercato di convincerla a mangiare e a muoversi.
Aveva paura delle medicazioni, che le provocavano dolore, ma presto ha capito che medicarla faceva star male anche noi, che partecipavamo al suo dolore,  ma che lo facevamo per il suo bene. Così, con grande coraggio, ha iniziato a reagire e a mangiare, ed ha cominciato a sorridere.
Si avvicinava la nostra partenza ed avevo lasciato  fare le medicazioni al medico locale che era bravo e delicato ed avrebbe poi proseguito: io, negli ultimi giorni, mi limitavo a tenerle la mano.
La mattina del giorno di partenza, mentre stavamo ammucchiando i bagagli davanti alla porta della nostra abitazione, vedo arrivare Anita al braccio della madre, che lentamente saliva la strada che ci separava dall’ospedale. Nonostante il male era venuta a salutarci e a regalarci un ultimo sorriso.
Un sorriso che ci ha accompagnato durante tutto il lungo viaggio di ritorno ed oltre… Grazie Anita.
Fonte: mediciinafrica.it
Articoli correlati
Sandro Passotto e sua moglie in Madagascar

La storia di un medico che aiuta i bambini poveri del Madagascar

Eravamo in 12 Volontari alcuni alla prima esperienza, altri con tante altre volte alle spalle.