noi vogliamo seguire il suo esempio”.
Intervista a mons. Vella, vescovo in Madagascar
La
recente visita ad limina dei vescovi del Madagascar, l’impegno
di quella Chiesa in campo sociale, l’educazione dei giovani, la difesa della
famiglia, il dialogo interreligioso, i problemi del clero, i santi malgasci, la
visita di Giovanni Paolo II all’isola 25 anni fa. C’è tutto questo nella lunga
intervista che monsignor Rosario Vella, vescovo salesiano di Ambanja, ha
rilasciato a Korazym.
Eccellenza, in aprile ha avuto luogo la visita ad limina dei
vescovi del Madagascar. Lei era alla sua prima esperienza, ci può raccontare
come si è svolta, le impressioni che ne ha avuto e il ricordo che conserverà?
Per me è
stato tutto nuovo e ha avuto la bellezza della novità. Mi ha tanto
impressionato il contatto che il Papa ha voluto avere con il Madagascar, con
ogni diocesi e ognuno di noi. Papa Francesco ci ha accolti in due gruppi
differenti, perché i vescovi del Madagascar siamo 22. Ciascun gruppo si è
intrattenuto per un’ora e mezza di conversazione, poi abbiamo celebrato insieme
a lui nella cappella di Santa Marta. Abbiamo visto come i nostri problemi
vengono sentiti dalla Chiesa e dal Papa e come questi siano gli stessi problemi
che noi cerchiamo di vivere in Madagascar, per esempio la Chiesa missionaria,
che deve arrivare a tutte le periferie, geografiche ed esistenziali. D’altra
parte la nostra è una zona di prima evangelizzazione e dobbiamo fare tanto per
essere Chiesa in uscita. Il Papa ce l’ha confermato con il suo entusiasmo e
anche con le sue parole e il suo incoraggiamento.
Può svelarci qualche aneddoto, qualcosa che vi ha detto il Papa?
Noi
avevamo parlato di tutti i nostri problemi e difficoltà, ma anche del nostro
impegno ed entusiasmo. Il Papa ci ha detto più o meno queste parole: “Cari
vescovi, io vi ammiro per quello che fate, vi incoraggio e prego per voi. Anzi,
sento che devo pregare di più per voi. Io dico che la Chiesa dev’essere
missionaria, deve uscire, deve fare tanto per i più bisognosi, però
concretamente siete voi che lo fate, e quindi io devo pregare per voi. Vi
prometto la mia preghiera”. Noi eravamo commossi per quello che il Papa ci diceva
e a nome di tutti uno ha subito risposto: “Santità, noi siamo contenti di lei,
di quello che sta facendo, ma anche noi preghiamo per lei e per tutta la
Chiesa”.
Nel discorso che il Papa vi ha consegnato, si affrontano parecchi
temi, a iniziare dall’invito alla prossimità con la popolazione, soprattutto
mediante le opere sociali.
La Chiesa
in Madagascar svolge da sempre un ruolo sociale molto importante: in ogni
parrocchia ci sono una scuola, una Charitas che accoglie i più bisognosi e dei
progetti a livello agricolo, sanitario… In campo di sanità e scuola è
apprezzatissimo il lavoro delle congregazioni religiose: la gente manda i figli
a scuola da noi perché si accorge che l’educazione impartita dalla Chiesa è
adatta alla sua situazione. I risultati sono molto buoni, di gran lunga
superiori a quelli delle statali. Ci sono poi gli ospedali e gli ambulatori
statali, ma purtroppo non hanno le medicine, tutto è a pagamento e allora le
persone si rivolgono alla Chiesa perché sanno che il malato verrà curato sia
che ha i soldi, sia che non ha la possibilità di pagare la medicina o la
visita. Quindi i nostri dispensari, ambulatori e piccoli ospedali sono sempre
sovraffollati, soprattutto dai poveri.
Di qualsiasi fede…
Di
qualsiasi fede, perché noi, anche nelle scuole, non facciamo alcuna distinzione
di fede, di religione, di razza, di cultura, di provenienza… Tutto è aperto,
d’altronde Gesù ha dato la sua vita per tutti e noi vogliamo seguire il suo
esempio.
Torniamo al tema dell’educazione.
La Chiesa
in Madagascar ha una sensibilità particolare per l’educazione. Vorrei parlare
della mia diocesi, Ambanja. Quando sono arrivato nella regione, nel 2004, mi
sono accorto che solo pochi accedevano alle scuole, per tanti motivi: povertà,
ignoranza da parte dei genitori che non vedevano la necessità degli studi,
mancanza di strutture. Ci siamo chiesti cosa potessimo fare per questi giovani.
Abbiamo iniziato con le scuole elementari, rafforzando le opere esistenti e
creandone di nuove, anche nei villaggi più dispersi, dove magari lo Stato non
arrivava. In dieci anni abbiamo creato più di 35 piccole scuole e rafforzato le
altre. Una volta che i bambini finivano la quinta elementare, c’era la
richiesta di poter continuare. Abbiamo creato più di una decina di scuole medie
in diversi centri, abbastanza popolati. E abbiamo realizzato anche dei licei
nei posti strategici. Ma come fare per gli universitari? Con delle borse di
studio abbiamo mandato alcuni ragazzi volenterosi e capaci in una università
cattolica nella città di Antsirabe. Siamo arrivati a 600 borse di studio, con
investimenti importanti, ma necessari per questi ragazzi, che però andavano
lontano, affrontando tante spese, distanti dalla famiglia. Allora abbiamo
creato, timidamente, una sede distaccata ad Antsohihy, città al centro di tante
strade nelle varie direzioni, cominciando con due facoltà: giurisprudenza e
agraria.
Perché?
Agraria
perché è la vita della gente, al 90% agricoltori o allevatori. Giurisprudenza
perché purtroppo in Madagascar c’è stata tanta corruzione, anche ai livelli più
alti. Quindi vorremmo immettere nella giustizia delle persone formate con
spirito cristiano, che si facciano promotori dei diritti della gente, dei più
poveri e bisognosi. Speriamo poi di poter creare altre facoltà, come economia e
commercio ed ecologia e turismo, anche perché nella nostra regione ci sono zone
paesaggisticamente molto belle.
Altro tema, la difesa della famiglia.
In questo
momento di crisi noi in Madagascar vediamo due impegni. Il primo è la
formazione a tutti i livelli: scuola cattolica, gruppi di associazioni,
parrocchie. Il secondo è la famiglia, perché la tradizione malgascia dà molto
peso alla grande famiglia, nella quale ci sono tanti valori: accoglienza della
vita, solidarietà con tutti, reciproco rispetto, andare avanti insieme, affetto
che parte dalla famiglia e arriva a tante persone. Questi valori sono insiti
nel cuore del malgascio, ma purtroppo la crisi, la mondializzazione e altre
forme di vita hanno generato uno schock con una cultura
diversa e li stanno facendo crollare. Crolla così tanta parte della vita della
gente e allora le famiglie si sfaldano, i ragazzi non ricevono un’educazione a
casa loro, non c’è quel calore familiare. Noi insistiamo perché la famiglia
riprenda i valori tradizionali, sani, che possa poi trasmettere agli altri.
Sfida in campo interreligioso, com’è la situazione?
In
Madagascar hanno convissuto tante religioni: c’è la religione tradizionale
animista, che è la più diffusa, ma è molto vicina allo spirito cristiano,
perché si crede in un Dio creatore, che è buono e fa del bene e vuole che anche
noi facciamo del bene, e bisogna vincere il male e gli spiriti che ci
danneggiano. Tanti allora si convertono al cristianesimo, pur conservando,
giustamente, le loro tradizioni ancestrali. V’è un’affinità buona. Oltre le tre
principali religioni cristiane (cattolica, protestante, anglicana), ci sono la
musulmana e sette varie, ma finora c’è stata una convivenza pacifica. Ciascuno
è autonomo, senza molti contatti. Ultimamente si sta però cercando di costruire
un dialogo tra tutte le religioni e le tradizioni religiose, in particolare con
l’islam, finora minoritario, ma che sta facendo molto proselitismo e in alcune
regioni sta avanzando velocemente e per questo si impone un dialogo. Le relazioni
sono buone, i musulmani vengono a scuola da noi.
Quali sono i problemi del clero malgascio? Il Papa invita al
discernimento delle vocazioni, richiama alla castità e all’obbedienza, a un
rapporto corretto con i beni temporali, a evitare la contro-testimonianza: “La
vita deve essere coerente con la fede, affinché la testimonianza sia credibile”
dice Francesco. Ci sono dei problemi particolari rispetto ad altre parti del
mondo?
Sì, i
temi sono questi, ma le vocazioni ci sono e ce ne sono di solide. C’è sempre il
problema che tanti non diventano sacerdoti per vocazione, per seguire Gesù,
quanto invece per elevarsi di rango sociale. In questo senso è importantissimo
il discernimento e far presenti le esigenze del sacerdote, che deve essere
distaccato dai beni terreni, anche dalla famiglia, per servire il popolo di
Dio, per seguire i bisogni della gente. Poi il celibato, da sentire come un
dono per ognuno che lo riceve, ma anche come un dono da trasmettere e non come
un peso. Cosa significa? Avere una grande disponibilità per il regno di Dio;
non avere il cuore legato a qualche cosa anche di bello, come può essere la
famiglia, ma donarlo al Signore e alla gente. Poi l’obbedienza, che vuol dire
una grande libertà interiore, pronti a fare la volontà di Dio dove il Signore
chiama. Queste sono le esigenze di un prete e il Papa ci esorta a insistere su
questo nei seminari, perché bisogna far conoscere ai giovani quella che un
giorno sarà la loro vita. Quando le vocazioni sono tante, c’è sempre qualche
imprevisto, o la debolezza umana, a cui bisogna far fronte.
Qualche impressione sugli incontri con i capi Dicastero della Curia
vaticana?
Li
abbiamo incontrati quasi tutti, suddividendoci in base agli incarichi ricoperti
da ciascuno di noi in seno alla Conferenza episcopale. Molto bello l’incontro
con il cardinale Amato, alle Cause dei Santi: abbiamo dei beati che auspichiamo
possano divenire santi e volevamo presentare la loro vita. Vivace l’incontro
con il prefetto di Propaganda Fide, il cardinale Filoni, che è il nostro
diretto responsabile. Abbiamo presentato con tanta sincerità i nostri problemi,
ma lui è al corrente di tutto.
Proprio nel giorno della canonizzazione di Giovanni Paolo II, è
ricorso anche il 25° dalla sua visita in Madagascar. Qual è il ricordo di quell’evento?
È ancora
molto vivo, soprattutto per le persone che vi hanno partecipato: tutto il
Madagascar ha sentito di essere un solo popolo radunato dal Papa. Era Gesù, il
vicario di Cristo in terra che è riuscito a radunare tutto un grande popolo:
non c’erano tribù, differenze, provenienza, ma eravamo tutti insieme per la
beatificazione di Victoire Rasoamanarivo, che ci ha voluto dare un esempio di
virtù cristiane, ma anche di virtù malgasce, come la pazienza, l’affetto,
l’impegno costante.
Che impulso ha dato al Paese, cosa è cambiato?
Penso che
abbia cambiato tanto nella gente. Giovanni Paolo II si è rivolto ai giovani
dicendo: “Non abbiate paura di essere santi, di affrontare la vostra vita,
preparatevi bene al vostro futuro, perché la Chiesa ha bisogno di voi e voi
siete la Chiesa viva”. Ha dato un grande entusiasmo. Come pure la
beatificazione di Raffaele Rafiringa, nel 2009 con il cardinale Amato.
Don Angel Fernandez Artime è il decimo rettor maggiore dei
salesiani. Un pensiero e un augurio da un confratello vescovo in Madagascar.
Sono
stato molto contento della sua elezione, anche se non lo conoscevo, perché fin
dal primo incontro ho sentito che rappresenta don Bosco per noi, per tutti i
salesiani, pronto a dare la vita per i giovani, per i più abbandonati. Il mio
augurio è che sia una presenza di don Bosco tra i giovani!
Per concludere, il motto che la sostiene nel suo ministero?
Fin
dall’inizio del mio ministero ho scelto “Croce, unica speranza”. Il mondo ha
bisogno di speranza, i giovani ne hanno bisogno, tutti dobbiamo vivere nella
speranza. Ma per noi la speranza è una persona concreta, Gesù crocifisso, che
ha dato la sua vita. Questa è la nostra unica speranza. In mezzo alle
difficoltà della vita, noi, guardando alla croce, raggiungiamo la serenità e la
gioia.
Fonte:ww.korazym.org
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