martedì 13 maggio 2014

“Gesù ha dato la vita per tutti,

 noi vogliamo seguire il suo esempio”.

Intervista a mons. Vella, vescovo in Madagascar

La recente visita ad limina dei vescovi del Madagascar, l’impegno di quella Chiesa in campo sociale, l’educazione dei giovani, la difesa della famiglia, il dialogo interreligioso, i problemi del clero, i santi malgasci, la visita di Giovanni Paolo II all’isola 25 anni fa. C’è tutto questo nella lunga intervista che monsignor Rosario Vella, vescovo salesiano di Ambanja, ha rilasciato a Korazym.

Eccellenza, in aprile ha avuto luogo la visita ad limina dei vescovi del Madagascar. Lei era alla sua prima esperienza, ci può raccontare come si è svolta, le impressioni che ne ha avuto e il ricordo che conserverà?
Per me è stato tutto nuovo e ha avuto la bellezza della novità. Mi ha tanto impressionato il contatto che il Papa ha voluto avere con il Madagascar, con ogni diocesi e ognuno di noi. Papa Francesco ci ha accolti in due gruppi differenti, perché i vescovi del Madagascar siamo 22. Ciascun gruppo si è intrattenuto per un’ora e mezza di conversazione, poi abbiamo celebrato insieme a lui nella cappella di Santa Marta. Abbiamo visto come i nostri problemi vengono sentiti dalla Chiesa e dal Papa e come questi siano gli stessi problemi che noi cerchiamo di vivere in Madagascar, per esempio la Chiesa missionaria, che deve arrivare a tutte le periferie, geografiche ed esistenziali. D’altra parte la nostra è una zona di prima evangelizzazione e dobbiamo fare tanto per essere Chiesa in uscita. Il Papa ce l’ha confermato con il suo entusiasmo e anche con le sue parole e il suo incoraggiamento.

Può svelarci qualche aneddoto, qualcosa che vi ha detto il Papa?
Noi avevamo parlato di tutti i nostri problemi e difficoltà, ma anche del nostro impegno ed entusiasmo. Il Papa ci ha detto più o meno queste parole: “Cari vescovi, io vi ammiro per quello che fate, vi incoraggio e prego per voi. Anzi, sento che devo pregare di più per voi. Io dico che la Chiesa dev’essere missionaria, deve uscire, deve fare tanto per i più bisognosi, però concretamente siete voi che lo fate, e quindi io devo pregare per voi. Vi prometto la mia preghiera”. Noi eravamo commossi per quello che il Papa ci diceva e a nome di tutti uno ha subito risposto: “Santità, noi siamo contenti di lei, di quello che sta facendo, ma anche noi preghiamo per lei e per tutta la Chiesa”.

Nel discorso che il Papa vi ha consegnato, si affrontano parecchi temi, a iniziare dall’invito alla prossimità con la popolazione, soprattutto mediante le opere sociali.
La Chiesa in Madagascar svolge da sempre un ruolo sociale molto importante: in ogni parrocchia ci sono una scuola, una Charitas che accoglie i più bisognosi e dei progetti a livello agricolo, sanitario… In campo di sanità e scuola è apprezzatissimo il lavoro delle congregazioni religiose: la gente manda i figli a scuola da noi perché si accorge che l’educazione impartita dalla Chiesa è adatta alla sua situazione. I risultati sono molto buoni, di gran lunga superiori a quelli delle statali. Ci sono poi gli ospedali e gli ambulatori statali, ma purtroppo non hanno le medicine, tutto è a pagamento e allora le persone si rivolgono alla Chiesa perché sanno che il malato verrà curato sia che ha i soldi, sia che non ha la possibilità di pagare la medicina o la visita. Quindi i nostri dispensari, ambulatori e piccoli ospedali sono sempre sovraffollati, soprattutto dai poveri.

Di qualsiasi fede…
Di qualsiasi fede, perché noi, anche nelle scuole, non facciamo alcuna distinzione di fede, di religione, di razza, di cultura, di provenienza… Tutto è aperto, d’altronde Gesù ha dato la sua vita per tutti e noi vogliamo seguire il suo esempio.

Torniamo al tema dell’educazione.
La Chiesa in Madagascar ha una sensibilità particolare per l’educazione. Vorrei parlare della mia diocesi, Ambanja. Quando sono arrivato nella regione, nel 2004, mi sono accorto che solo pochi accedevano alle scuole, per tanti motivi: povertà, ignoranza da parte dei genitori che non vedevano la necessità degli studi, mancanza di strutture. Ci siamo chiesti cosa potessimo fare per questi giovani. Abbiamo iniziato con le scuole elementari, rafforzando le opere esistenti e creandone di nuove, anche nei villaggi più dispersi, dove magari lo Stato non arrivava. In dieci anni abbiamo creato più di 35 piccole scuole e rafforzato le altre. Una volta che i bambini finivano la quinta elementare, c’era la richiesta di poter continuare. Abbiamo creato più di una decina di scuole medie in diversi centri, abbastanza popolati. E abbiamo realizzato anche dei licei nei posti strategici. Ma come fare per gli universitari? Con delle borse di studio abbiamo mandato alcuni ragazzi volenterosi e capaci in una università cattolica nella città di Antsirabe. Siamo arrivati a 600 borse di studio, con investimenti importanti, ma necessari per questi ragazzi, che però andavano lontano, affrontando tante spese, distanti dalla famiglia. Allora abbiamo creato, timidamente, una sede distaccata ad Antsohihy, città al centro di tante strade nelle varie direzioni, cominciando con due facoltà: giurisprudenza e agraria.

Perché?
Agraria perché è la vita della gente, al 90% agricoltori o allevatori. Giurisprudenza perché purtroppo in Madagascar c’è stata tanta corruzione, anche ai livelli più alti. Quindi vorremmo immettere nella giustizia delle persone formate con spirito cristiano, che si facciano promotori dei diritti della gente, dei più poveri e bisognosi. Speriamo poi di poter creare altre facoltà, come economia e commercio ed ecologia e turismo, anche perché nella nostra regione ci sono zone paesaggisticamente molto belle.

Altro tema, la difesa della famiglia.
In questo momento di crisi noi in Madagascar vediamo due impegni. Il primo è la formazione a tutti i livelli: scuola cattolica, gruppi di associazioni, parrocchie. Il secondo è la famiglia, perché la tradizione malgascia dà molto peso alla grande famiglia, nella quale ci sono tanti valori: accoglienza della vita, solidarietà con tutti, reciproco rispetto, andare avanti insieme, affetto che parte dalla famiglia e arriva a tante persone. Questi valori sono insiti nel cuore del malgascio, ma purtroppo la crisi, la mondializzazione e altre forme di vita hanno generato uno schock con una cultura diversa e li stanno facendo crollare. Crolla così tanta parte della vita della gente e allora le famiglie si sfaldano, i ragazzi non ricevono un’educazione a casa loro, non c’è quel calore familiare. Noi insistiamo perché la famiglia riprenda i valori tradizionali, sani, che possa poi trasmettere agli altri.

Sfida in campo interreligioso, com’è la situazione?
In Madagascar hanno convissuto tante religioni: c’è la religione tradizionale animista, che è la più diffusa, ma è molto vicina allo spirito cristiano, perché si crede in un Dio creatore, che è buono e fa del bene e vuole che anche noi facciamo del bene, e bisogna vincere il male e gli spiriti che ci danneggiano. Tanti allora si convertono al cristianesimo, pur conservando, giustamente, le loro tradizioni ancestrali. V’è un’affinità buona. Oltre le tre principali religioni cristiane (cattolica, protestante, anglicana), ci sono la musulmana e sette varie, ma finora c’è stata una convivenza pacifica. Ciascuno è autonomo, senza molti contatti. Ultimamente si sta però cercando di costruire un dialogo tra tutte le religioni e le tradizioni religiose, in particolare con l’islam, finora minoritario, ma che sta facendo molto proselitismo e in alcune regioni sta avanzando velocemente e per questo si impone un dialogo. Le relazioni sono buone, i musulmani vengono a scuola da noi.

Quali sono i problemi del clero malgascio? Il Papa invita al discernimento delle vocazioni, richiama alla castità e all’obbedienza, a un rapporto corretto con i beni temporali, a evitare la contro-testimonianza: “La vita deve essere coerente con la fede, affinché la testimonianza sia credibile” dice Francesco. Ci sono dei problemi particolari rispetto ad altre parti del mondo?
Sì, i temi sono questi, ma le vocazioni ci sono e ce ne sono di solide. C’è sempre il problema che tanti non diventano sacerdoti per vocazione, per seguire Gesù, quanto invece per elevarsi di rango sociale. In questo senso è importantissimo il discernimento e far presenti le esigenze del sacerdote, che deve essere distaccato dai beni terreni, anche dalla famiglia, per servire il popolo di Dio, per seguire i bisogni della gente. Poi il celibato, da sentire come un dono per ognuno che lo riceve, ma anche come un dono da trasmettere e non come un peso. Cosa significa? Avere una grande disponibilità per il regno di Dio; non avere il cuore legato a qualche cosa anche di bello, come può essere la famiglia, ma donarlo al Signore e alla gente. Poi l’obbedienza, che vuol dire una grande libertà interiore, pronti a fare la volontà di Dio dove il Signore chiama. Queste sono le esigenze di un prete e il Papa ci esorta a insistere su questo nei seminari, perché bisogna far conoscere ai giovani quella che un giorno sarà la loro vita. Quando le vocazioni sono tante, c’è sempre qualche imprevisto, o la debolezza umana, a cui bisogna far fronte.

Qualche impressione sugli incontri con i capi Dicastero della Curia vaticana?
Li abbiamo incontrati quasi tutti, suddividendoci in base agli incarichi ricoperti da ciascuno di noi in seno alla Conferenza episcopale. Molto bello l’incontro con il cardinale Amato, alle Cause dei Santi: abbiamo dei beati che auspichiamo possano divenire santi e volevamo presentare la loro vita. Vivace l’incontro con il prefetto di Propaganda Fide, il cardinale Filoni, che è il nostro diretto responsabile. Abbiamo presentato con tanta sincerità i nostri problemi, ma lui è al corrente di tutto.

Proprio nel giorno della canonizzazione di Giovanni Paolo II, è ricorso anche il 25° dalla sua visita in Madagascar. Qual è il ricordo di quell’evento?
È ancora molto vivo, soprattutto per le persone che vi hanno partecipato: tutto il Madagascar ha sentito di essere un solo popolo radunato dal Papa. Era Gesù, il vicario di Cristo in terra che è riuscito a radunare tutto un grande popolo: non c’erano tribù, differenze, provenienza, ma eravamo tutti insieme per la beatificazione di Victoire Rasoamanarivo, che ci ha voluto dare un esempio di virtù cristiane, ma anche di virtù malgasce, come la pazienza, l’affetto, l’impegno costante.

Che impulso ha dato al Paese, cosa è cambiato?
Penso che abbia cambiato tanto nella gente. Giovanni Paolo II si è rivolto ai giovani dicendo: “Non abbiate paura di essere santi, di affrontare la vostra vita, preparatevi bene al vostro futuro, perché la Chiesa ha bisogno di voi e voi siete la Chiesa viva”. Ha dato un grande entusiasmo. Come pure la beatificazione di Raffaele Rafiringa, nel 2009 con il cardinale Amato.

Don Angel Fernandez Artime è il decimo rettor maggiore dei salesiani. Un pensiero e un augurio da un confratello vescovo in Madagascar.
Sono stato molto contento della sua elezione, anche se non lo conoscevo, perché fin dal primo incontro ho sentito che rappresenta don Bosco per noi, per tutti i salesiani, pronto a dare la vita per i giovani, per i più abbandonati. Il mio augurio è che sia una presenza di don Bosco tra i giovani!

Per concludere, il motto che la sostiene nel suo ministero?
Fin dall’inizio del mio ministero ho scelto “Croce, unica speranza”. Il mondo ha bisogno di speranza, i giovani ne hanno bisogno, tutti dobbiamo vivere nella speranza. Ma per noi la speranza è una persona concreta, Gesù crocifisso, che ha dato la sua vita. Questa è la nostra unica speranza. In mezzo alle difficoltà della vita, noi, guardando alla croce, raggiungiamo la serenità e la gioia.
Fonte:ww.korazym.org
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