lunedì 23 marzo 2015

Una strana storia coloniale

POLONIA: L’isola di Kunta Kinte e l’operazione Madagascar.
Era un isolotto disabitato quando i primi coloni vi giunsero nel 1651. Un piccolo isolotto alla foce del fiume Gambia. Un angolo sperduto di Africa, senza nome né padrone. Ma i padroni si trovano in fretta. Così il duca di CurlandiaGiacomo Kettler, comprò dagli inglesi i diritti di commercio al largo delle coste del Gambia. Era un tipo intraprendente il duca Kettler, sostenitore delle idee mercantiliste, amante dei planisferi e delle mappe geografiche che aprivano le rotte verso nuovi mondi.
Fu così che decise di spedire dei coloni laggiù, su quell’isolotto sperduto. E il viaggio dal Baltico non deve essere stato agevole. Vale forse la pena ricordare che la Curlandia corrispondeva a parte dell’attuale Lettonia, e il duca era vassallo del Granducato di Polonia e Lituania. Era quello uno stato enorme, che andava dai confini occidentali della Polonia all’Ucraina e – grazie al duca Kettler – fino all’Africa. La piccola isola fu infatti la prima colonia formalmente “polacca” nel continente africano.
Giunti sull’isolotto i coloni costruirono un forte e ribattezzarono l’isola con il nome di Sant’Andrea. Non ci rimasero molto: coinvolto in una guerra con gli svedesi e fatto prigioniero, il duca Kettler vide la sua isola africana conquistata dagli olandesi. Una volta liberato, ricostruì la flotta e si riprese l’isola tenendola fino al 1661 quando gli inglesi la presero senza nemmeno combattere facendone un caposaldo della tratta degli schiavi. Non a caso oggi l’isola, che appartiene al Gambia, è stata ribattezzata Kunta Kinte dal nome del famoso personaggio del romanzo Radici di Alex Haley.
Quelli della colonizzazione dell’Africa fu un’avventura breve per il Commonwealth polacco-lituano. Dieci anni appena che devono però essere rimasti impressi ai polacchi poiché, secoli dopo, a Varsavia pensarono che in Africa non si stava poi tanto male, e progettarono di spedirci gli ebrei residenti in Polonia. Una storia meno allegra ma altrettanto singolare, che si svolge negli anni Trenta del secolo scorso.
Al turbolento rapporto tra ebrei e polacchi avevamo già dedicato un articolo, ma in quell’occasione non vi era stato modo di approfondire l’ipotesi di emigrazione forzata che il governo polacco formulò per tentare di risolvere definitivamente la questione ebraica. Alla crisi economica degli anni ’30 che aveva già inasprito le relazioni ebraico-polacche si accompagnava un importante evento oltreconfine, l’ascesa del Nazismo. Benché i nazionalisti polacchi avessero molto da temere da una rinascita tedesca, il ruolo di punta che l’antisemitismo ricopriva nell’ideologia nazista suscitava in loro profonda impressione. Il Governo stesso da una parte professava di continuare la tradizione di Piłsduski ma dall’altra se ne allontanava facendosi trascinare da una corrente antisemita funzionale ad un obiettivo politico: indurre gli ebrei superflui ad emigrare.
Proprio l’emigrazione apparve negli ultimi anni l’unica definitiva scappatoia per risolvere la questione ebraica, risollevare la bilancia dei pagamenti e diminuire il tasso di disoccupazione. Obiettivi per cui sarebbe stato necessario “liberarsi” anche del “surplus” di contadini e indigenti polacchi. Tuttavia, il governo non poteva ammetterlo – per evitare di offendere l’orgoglio nazionale – e la questione fu presentata come una necessità confinata alla sfera ebraica. Una volta individuato il luogo in cui collocare gli ebrei, i poveri polacchi – si diceva – avrebbero immediatamente trovato lavoro ed agiatezza. Nel settembre del 1937, in seno alla Società delle Nazioni, il Ministero degli Esteri Beck richiese formalmente dei possessi coloniali “in comune con le altre grandi potenze europee”, così recitava il documento noto come “Le Tesi Coloniali della Polonia”, preparato qualche mese prima. La Lega fu sorda alla richiesta e anche il Ministero lasciò cadere la proposta per l’evidente impossibilità di metterla in pratica. Nessuna minaccia di forzata espulsione fu avanzata dal governo e nessun piano concretizzabile fu effettivamente ideato. Questo portò a concludere che l’intera campagna fosse un diversivo per distrarre la popolazione dai reali problemi che andavano affrontati.
L’idea che si trattasse soltanto di una montatura guadagnò credito una volta reso pubblico il “Piano Madagascar”. Esistono pareri contrastanti riguardo l’origine di questo piano: fonti polacche hanno suggerito che l’isola, allora colonia francese, fu resa disponibile per un insediamento polacco, ma è molto più probabile che la proposta sia stata avanzata dal Colonnello Beck e i francesi risposero con cortesia ma senza impegno. Qualunque sia la vera versione dei fatti, il governo polacco, nella primavera del 1937, mandò una commissione in Madagascar per accertarsi sulle possibilità di insediamento. Il rapporto riferiva che l’isola avrebbe potuto assorbire tra le 15.000 e le 22.000 famiglie come coloni agricoli al costo di 1000$ a famiglia. Alla fine di quell’anno, un comunicato ufficiale diffuse la notizia che il piano di emigrazione sarebbe entrato nella fase di realizzazione con l’attivo supporto francese una volta trovati i fondi e completati i lavori organizzativi. La questione cadde nel dimenticatoio anche perché economicamente insostenibile, ma la malvagità con cui la Seconda Repubblica Polacca tentò di assurgere a grande potenza per sbarazzarsi di un presunto nemico interno andrebbe ricordata ancora oggi. Soprattutto quando si ama crogiolarsi nella rassicurante immagine di una Polonia eterna vittima dei propri vicini.
Fonte :http://fai.informazione.it/

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Fonte : (askanews) Il sole 24 ore
Piogge sparse hanno permesso ai contadini di riseminare i campi ma ci vorranno mesi prima che producano un raccolto
Le regioni meridionali del Madagascar, la quarta isola più grande del pianeta, sono state colpite da un’insolita ma devastante siccità che ha ridotto in polvere i raccolti.
Il villaggio di Berano sembra oggi un campo di rifugiati mentre nella regione di Androy 200mila persone sono alla fame.
“Questo bambino pesa 9 chili, non è normale perché ha tre anni, spiega un’infermiera locale. Di solito sono i bambini di un anno che hanno questo peso. Non è malato, lo stiamo nutrendo in maniera corretta eppure continua a non aumentare di peso”.
A causa della siccità, 40mila bambini stanno soffrendo di malnutrizione e una ventina di persone sono morte di stenti.
“La mia bambina è morta di notte, ricorda una contadina.
L’abbiamo trovata morta al mattino nel suo letto. Non ce n’eravamo accorti. Eravamo tutti impegnati a cercare cibo.


Stavamo per uscire per trovare qualcosa da mangiare e abbiamo sentito il suo corpo ormai freddo. Questo è tutto, è morta di fame”.
Piogge sparse hanno permesso ai contadini di riseminare i campi ma ci vorranno mesi prima che producano un raccolto. Sino ad allora, solo i frutti di cactus e gli aiuti del World Food Program offrono una speranza di sopravvivenza.
“Se non si interverrà, la situazione rischia di evolversi in maniera ancora più drammatica, spiega Fatimata Sow Sidibe, funzionaria dell’Onu. Servono tre milioni di dollari per le prime esigenze e tornare a livelli accettabili”.
Il governo ha inviato 400 tonnellate di scorte alimentari per le regioni più colpite ma non basta. Il World Food Program ha fatto appello ai donatori internazionali per aggiornare le riserve necessarie a mantenere in vita le 120mila persone che stanno aiutando.

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Una distesa di risaie allagate dove c’era la foresta primaria. Volare sopra al Madagascar, l’Isola verde diventata in qualche lustro da sogno a incubo dei naturalisti del pianeta, fa sorgere nel viaggiatore tutta una serie di quesiti. Il primo: perché uno dei Paesi più poveri e affamati del mondo è anche uno dei principali produttori di riso?  
Il riso tra le commodities alimentari è un po’ particolare. È l’alimento principale per circa la metà della popolazione mondiale, perlopiù in Paesi poveri o in via di sviluppo. Ma i principali produttori - Cina e India in testa, che valgono insieme più del 50% della produzione mondiale - sono anche i principali consumatori. Nel 2014 ne sono state prodotte 744,7 milioni di tonnellate (dati Fao), che danno poco meno di 500 milioni di tonnellate di prodotto raffinato. Ma di queste solo una piccola parte - nel 2014 poco più di 40 milioni di tonnellate - entra nel commercio globale. Meno del 10% contro il 20% circa del grano. Il prezzo internazionale viene fissato alla Borsa di Chicago - gli Usa sono un modesto consumatore ma il terzo esportatore globale, con una quota del 12% del volume scambiato -. Ma in molti Paesi il commercio di riso è sotto il controllo più o meno stretto dello Stato, col risultato di falsare il prezzo. L’India, ad esempio, durante la corsa dei prezzi del 2008 chiuse le frontiere bloccando l’export del proprio riso, per riaprirle solo nel 2011.  
Ciclicamente torna l’idea di una «Opec del riso», un cartello dei Paesi produttori per stabilizzare i prezzi. Ma «questi schemi hanno generato finora più che altro corruzione e scorte in eccesso», dice Carlo Filippini, direttore dell’Istituto di studi economico-sociali per l’Asia Orientale dell’Università Bocconi. Che cita il caso della Thailandia, dove l’ex premier Thaksin, destituito nel 2006 da un golpe militare, cercò di realizzare un programma di sostegno dei prezzi del riso. «Purtroppo l’idea era buona ma la realizzazione aveva molti difetti», ricorda Filippini. Con il risultato di favorire i grandi commercianti, che compravano dai piccoli produttori a prezzi irrisori e rivendevano al prezzo fissato dal governo, molto superiore a quello di mercato. Proprio la Thailandia, tra l’altro, è uno dei principali esportatori mondiali.  
Intanto, segnala ancora la Fao, nel 2014/2015 per la prima volta in un decennio il consumo è destinato a superare la produzione. Nessun allarme, spiega l’agenzia delle Nazioni Unite nel suo «Rice market monitor»: le scorte mondiali sono sufficienti per garantire il fabbisogno dei prossimi quattro mesi, un tempo che mette al riparo da eventuali shock della domanda.  
Ma a questo punto possiamo tornare alle risaie del Madagascar che hanno preso il posto delle foreste. Il consumo mondiale di riso è aumentato del 40% negli ultimi 30 anni. La popolazione del Madagascar cresce al ritmo del 3% all’anno, uno dei maggiori tassi di crescita del continente africano. La risposta alla domanda iniziale è allora il «taglia e brucia»: taglia la foresta e metti una risaia. Piccolo inciso per parlare di quel fenomeno che va sotto il nome di «land grabbing», sul quale ci soffermeremo diffusamente nelle pagine successive. I suoi effetti applicati alle materie prime alimentari come il riso li spiega Giovanni Ferri, docente di emerging markets Luiss-Lumsa: per il Paese che investe, significa garantire la propria sicurezza alimentare. Per il Madagascar però il land grabbing significa che l’8% della superficie del Paese è in mano ad investitori stranieri. Tra questi, la Cina è in prima fila e parte degli investimenti di Pechino sono destinati proprio alla coltura di riso. 
«Taglia e brucia» la foresta, metti la risaia. Poi magari, se dovesse servire, il riso prenderà altre vie e garantirà la «sicurezza alimentare» altrove. Ma come recita un detto malgascio, «meglio morire domani che morire oggi». 
GIANLUCA PAOLUCCI

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aiutare a comprendere e gestire i problemi
legati all'uso del territorio e dell'economia

Salsa rougaille e aperitivo Ginger roger con zenzero
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Edith dell'Atelier Madagascar ci racconta i segreti di un particolare
e bizzarro agrume. Quale? Leggete qui.

Il piatto nazionale è il romazava: uno stufato di carne,
per tradizione di zebù, servita con riso e brodo.

ecco i cibi e le bevande tipiche del Madagascar
Solitamente si mangia carne di zebù, di pollo, di maiale, crostacei e pesce,
quest’ultimo ottimo affumicato.

Si vola in Madagascar con un pollo all’aglio
e zenzero e gnocchi alla vaniglia

E' il clima tropicale del Madagascar a rendere la sua vaniglia così buona.

Si tratta di una nuova birra “Old Chocolate Strong Ale”, 
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della birra quello più dolce del cacao e della vaniglia

proveniente dal Madagascar, da abbinare al dessert ovviamente.

domenica 22 marzo 2015

Il riso sfama mezzo mondo e fa litigare l’altra metà

La biodiversità minacciata dall’import selvaggio dalle monocolture e dalle varietà transgeniche
Versatile e nutriente, il riso è stato uno dei primi cereali coltivati dall’uomo oltre diecimila anni fa, partendo da una specie spontanea cinese. Dalle valli della Cina il riso si è diffuso in tutto il mondo fino a diventare l’alimento base per quasi tre miliardi di persone, circa la metà della popolazione mondiale. Essiccato, può essere conservato a lungo ed è una sicurezza perché protegge in caso di carestie. Nelle culture orientali è sinonimo di ricchezza, al pari del denaro e dell’oro ed è indispensabile per centinaia di milioni di asiatici, africani e latinoamericani che vivono nelle aree tropicali e subtropicali. le tappe della storia del riso si intrecciano con i racconti e le ricette che provengono dai diversi Paesi del mondo. Conoscerne il passato e la miriade di varietà è fondamentale per apprezzarne il contributo all’arricchimento della biodiversità,  ma in epoca di globalizzazione è anche al centro di una guerra tra i diversi mondi. I risicoltori italiani sono in prima fila nella richiesta di tutelare la nostra biodiversità messa in crisi, secondo loro, dall’importazione «selvaggia» a basso prezzo dalla Cambogia e dal Myanmar.  

A luglio sono scesi in piazza e nei giorni scorsi il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha indicato quella che potrebbe essere una valida alternativa alla richiesta di imporre dei dazi alla produzione: «Rendere obbligatoria per legge la tracciabilità del prodotto direttamente sull’etichetta, come già avviene per le carni e l’olio di oliva, per tutelare e promuovere il riso italiano, costituisce un’innovazione strutturale ed è una strada assolutamente percorribile». L’Italia porrà la questione il 13 dicembre quando la Commissione presenterà la sua relazione sull’etichettatura dei prodotti intanto, però, prima al Salone del Gusto e poi anche ad Expo si gettano le basi per evitare guerre anche perché il nemico da battere sembra un altro. Oggi si contano circa 140 mila varietà diverse di riso ma le antiche scritture Veda indiane ne annoveravano più di mezzo milione. Secondo Slow Food si tratta di «un’incredibile fonte di biodiversità e di ricchezza naturale per il Pianeta, che l’imporsi delle monocolture e delle varietà transgeniche selezionate, brevettate e immesse sul mercato dalle grandi multinazionali occidentali sta drasticamente riducendo». 

Insomma, sembra prospettarsi uno scontro a tutto campo soprattutto perché la domanda è potenzialmente illimitata visto che per la popolazione mondiale, in continua crescita, il riso rappresenta la fonte primaria di nutrimento. Senza dimenticare che grazie alla sua adattabilità il riso può essere in grado di crescere praticamente ovunque e può essere trasportato in diverse parti del mondo. Il Salone del Gusto prima ed Expo poi, possono invece essere l’occasione per uno scambio proficuo. Sentite che cosa ha detto J.P. Siaka Stevens, ambasciatore in Italia della Sierra Leone in occasione di un meeting in preparazione dell’esposizione internazionale: «Per la nostra economia e la nostra alimentazione il riso è molto importante. Una volta ne producevano abbastanza da soddisfare tutto il fabbisogno nazionale mentre adesso siamo costretti a importarlo dal Bangladesh. Ma noi vogliamo tornare a coltivarne abbastanza da sfamare tutta la nostra gente». 

E così dal Sud del mondo vengono a lezione nel Nord Italia. Resta una certezza: la Fao ricalcola in aumento l’ammontare delle scorte mondiali di risone sulla base della considerazione di aspettative di crescita in India, ma anche in Egitto, Tailandia e Vietnam. E questo nonostante le scorte in Indonesia, Mali, Birmania e Filippine siano state tagliate. Su scala globale le scorte di riso sono ora previste in aumento di 7,2 milioni di tonnellate, raggiungendo così la cifra di 181,2 milioni di tonnellate, dato che segnerebbe il nono anno consecutivo di accumulo mondiale di scorte. E così nel 2014 il rapporto scorte/uso su scala globale di risone salirebbe dal 35,5% nel 2013 a 36,2%. 
MAURIZIO TROPEANO http://www.lastampa.it/

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deforestazione per impiantare sempre nuove coltivazioni di palma
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In Madagascar, un progetto per salvare il prezioso invertebrato
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Volontari in Madagascar


Mora Mora (piano piano) è il motto per indicare lo stile di vita dei malgasci, ovvero gli abitanti del Madagascar, la più grande isola del continente africano. Quattro ragazzi del villafranchese di 25 anni, Erika Pasqualetto, Luca Salaorni, Alfredo Angelillo e Matteo Cadeddu l'estate scorsa hanno deciso di fare un'esperienza di volontariato proprio in quella terra, completamente circondata dall'Oceano Indiano. «Mora Mora», spiega Erika Pasqualetto «significa vivere la vita in maniera tranquilla, non esasperando la giornata e non scandendola con orari e impegni perentori, quindi senza la frenesia del mondo occidentale».
I quattro ragazzi hanno intrapreso questa avventura per incontrare Diana Guidorizzi, anche lei di Villafranca, volontaria del Centro Missionario Diocesano di Reggio Emilia. Guidorizzi, oltre che coordinare le varie attività di volontariato del centro in Madagascar presta il proprio servizio in un ospedale psichiatrico a Manakara, sulla costa est.
Dopo aver svolto, insieme ad altri otto giovani di Reggio Emilia, la preparazione imparando le basi della cultura malgascia ed alcune parole della lingua di quel Paese, all'alba dell'otto agosto scorso hanno preso l'aereo per giungere ad Antananarivo, la capitale. La motivazione, raccontano, era quella di scoprire nuove realtà e di aiutare la popolazione locale.
«L'impatto è stato da subito forte», racconta Salaorni, «ti accorgi immediatamente di essere in un luogo con cultura e tradizioni differenti. Avevo visto questi ambienti solo in televisione o nelle foto, ma viverlo sulla propria pelle è completamente diverso. « Lascia senza parole».
I volontari, hanno messo a disposizione la loro voglia di essere utili in un carcere e in un ospedale psichiatrico. Le condizioni, raccontano, non sono buone in questi centri. Alfredo Angelillo spiega come per dormire i detenuti facciano a turno per potersi sdraiare.
«L'aspetto che più mi ha colpito», dice Erika Pasqualetto, «è il fatto che sia nell’ ospedale che nel carcere non ci sia una vera e propria assistenza. Addirittura il cibo viene portato ai pazienti e ai detenuti ogni giorno dai loro stessi parenti. Chi non ha questa possibilità deve accontentarsi di mangiare sempre manioca, un tubero tipico di quelle zone».
«La tua vita», ci tiene a precisare Angelillo, «non cambia radicalmente dopo una esperienza del genere. Tuttavia, fa apprezzare aspetti della vita quotidiana che non avrei mai notato rimanendo qui. Capisci che l'acqua corrente e la luce elettrica non sono per niente scontate quando passi giornate intere non potendo usufruirne». Raccontano come prima di farsi la doccia dovevano attingere l'acqua da un pozzo e riscaldarla sulle braci.
«Mi sono portato a casa un bagaglio di emozioni e conoscenze straordinarie anche dal punto di vista lavorativo», conclude Salaorni, «facendo l'educatore la relazione con le persone è alla base. Vedendo la semplicità con cui si creano questi rapporti, il loro modo di vivere senza dare troppo peso a tutti gli impegni tipici di una vita frenetica, che necessariamente portano a non cogliere tanti aspetti belli della vita, mi ha fatto molto riflettere».
L'isola negli ultimi mesi è stata colpita da violente alluvioni, provocando anche diversi morti. Proprio per questo motivo, altre donazioni verranno presto raccolte. Un gruppo di giovani della parrocchia di Villafranca, inoltre, raccoglie ogni sei mesi una somma di denaro da inviare in Madagascar.N.V.

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hanno proprio scelto di raccontarci i 30 giorni di un luglio
malgascio caldissimo.

la storia di due amiche volontarie nel Madagascar

Guidati da Don Mario Bonura, direttore del Ufficio Missionario


Tre ragazzi di venticinque anni di Torino, un ingegnere e due architetti, uniscono le loro competenze ed elaborano un progetto di Water & Sanitation che si realizzerà nell’isola di Nosy Komba

domenica 8 marzo 2015

Franco Andreone

       Il ricercatore degli anfibi e rettili del Madagascar 


 Dopo aver conseguito nel 1985 la Laurea in Scienze Biologiche presso l'Università degli Studi di Torino ha ottenuto il Dottorato di Ricerca in Biologia Animale presso l'Università degli Studi di Bologna (1990).

Dal maggio 1991 è Conservatore della Sezione di Zoologia al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Attualmente è anche Responsabile delle pubblicazioni del Muse. È anche editor di ZooKeys (Anfibi) e di Phyllomedusa. Dal 2011 è Presidente dell'International Society for the Study and Conservation of the Amphibians (ISSCA).
Conduce attività di ricerca sugli anfibi e sui rettili del Madagascar, area geografica ove ha effettuato molte missioni, visitando aree a foresta pluviale e decidua e promuovendo azioni di conservazione. È co-chair dell'IUCN SSC Amphibian Specialist Group per il Madagascar.
Ha organizzato il convegno "A Conservation Strategy for the Amphibians of Madagascar", svoltosi ad Antananarivo nel 2006. In tale incontro ha lanciato e coordinato l'omonimo progetto ACSAM, che ha portato alla redazione del Piano d'Azione per gli Anfibi del Madagascar, denominato Sahonagasy Action Plan, nonché alla redazione del volume ACSAM nell'ambito delle Monografie del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Nel 2014 ha coordinato l'ACSAM2 al Centro Valbio, Ranomafana. Conduce diverse iniziative di studio e di conservazione sull'erpetofauna italiana. Ha operato come editor per l'Atlante degli anfibi e dei rettili del Piemonte e della Valle d'Aosta, ha collaborato all'Atlante erpetologico italiano e, ha pubblicato, in qualità di co-editor, il volume della Fauna d'Italia dedicato agli Anfibi.
Si è anche interessato di aspetti riguardanti la comunicazione della scienza, promuovendo diverse iniziative di avvicinamento del grande pubblico ad aspetti di conservazione della biodiversità, con particolare riferimento agli anfibi e ai rettili. Nel 2011 e nel 2013 ha ideato e organizzato l'iniziativa HerpeThon, una serie di conferenze divulgative a tema erpetologico con finalità di educazione e di conservazione. Nel 2011 e nel 2012 ha organizzato la Giornata del Madagascar 2011  e la Giornata del Madagascar 2012, svoltesi a Torino al Museo Regionale di Scienze Naturali, mentre nel 2013 ha organizzato a Roma le Giornate del Madagascar 2013, svoltesi al Museo civico di Zoologia. Nel 2014 la Giornata del Madagascar si svolge a Trento, presso il MUSE, Museo delle Scienze. E nel 2015 sta organizzando la Giornata del Madagascar presso il Museo di Storia Naturale di Venezia.
Per conto del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino ha collaborato alla realizzazione del percorso espositivo Lo spettacolo della natura, con particolare riferimento alla sezione dedicata alle foreste del Madagascar.
Franco Andreone
Museo Regionale di Scienze Naturali
Via G. Giolitti, 36
I-10123 TORINO – ITALY
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La cantante malgascia, moglie di Franco Andreone, che vive e fa successo in Italia

Con il tema "A la découverte de la biodiversité: se nourrir sainement et durablement", il Paese mette al centro la biodiversità perché è una terra che ospita il 5% delle specie vegetali e animali del mondo, ha un'economia in gran parte basata sull'agricoltura e l'allevamento ed è il primo produttore di vaniglia del mondo

Si tratta di un " museo vivente ", un " santuario della natura ",
un piccolo continente  che concentra 12.000 specie di piante e
specie di vertebrati , mammiferi , rettili, anfibi e uccelli che sono endemiche. 

La sopravvivenza di questa straordinaria fauna è a rischio causa l’alterazione degli habitat

ancora oggi  tanti organismi ancora da recensire
e proteggere nelle foreste dei tropici.

Gli anfibi “megadiversi” del Madagascar

a rischio per la scoperta di un fungo killer
Un articolo pubblicato sulla rivista “Scientific Reports”riporta i risultati di una ricerca coordinata dal Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino e il rinvenimento del pericoloso chitridio anche in Madagascar

Gli anfibi sono la classe di Vertebrati maggiormente minacciata di estinzione: si stima che un terzo delle circa 7000 specie note stia subendo un decremento significativo dovuto all’azione dell’uomo. Oltre ad una generalizzata perdita di habitat molte specie sono affette da “malattie emergenti” che stanno decimando molte popololazioni. Una di queste è il letale fungo microscopico Batrachochytrium dendrobatidis (Bd), che ha portato all’estinzione diverse popolazioni di anfibi in America centrale, Australia, Stati Uniti occidentali, Europa e Africa orientale.
Mantella aurantiaca, fotografata da F. Andreone a Torotorofotsy

Fino a tempi recenti si riteneva che il Bd fosse assente dall’isola continente del Madagascar, uno degli hot-spot della biodiversità mondiale, con oltre 300 specie di anfibi note e altre 200 in attesa di descrizione. In seguito ad uno studio multidisciplinare coordinato dal Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino un team internazionale ha identificato il Bd anche in Madagascar. È quanto emerge in un articolo pubblicato il 26 febbraio sulla prestigiosa rivista Scientific Reports.
“L’estinzione degli anfibi del Madagascar non è solo importante per i zoologi e per i ricercatori”, afferma Franco Andreone, Conservatore e Zoologo al Museo di Scienze Naturali di Torino, Co-chair dell’Amphibian Specialist Group-Madagascar dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (UICN) e, leader della ricerca e coautore dell’articolo. “Sarebbe una grave perdita per tutta la biodiversità della Terra”. Il team di esperti ha finora analizzato più di 4100 esemplari di anfibi provenienti da tutto il Madagascar, confermando la presenza del fungo in individui di diverse specie provenienti da 5 località. Gli autori dell’articolo stanno attualmente lavorando per determinare se il fungo che loro hanno trovato appartiene allo stesso ceppo letale che sta minacciando gli anfibi del Pianeta. “Il novantanove per cento delle rane del Madagascar sono endemiche di questo territorio”, spiega Andreone. “Ciò significa che se la presenza del Bd è per gli anfibi, potremmo perdere una significante porzione della diversità mondiale di questi vertebrati”.

Nel novembre 2014, il Museo di Torino ha organizzato insieme all’Amphibian Survival Alliance e ad altre organizzazioni il workshop A Conservation Strategy for the Amphibians of Madagascar, finalizzato a definire il piano d’azione per fronteggiare i pericoli che interessano gli anfibi del Madagascar. “Sapevamo che era solo una questione di tempo l’identificazione di Bd anche in Madagascar” commentano Angelica Crottini e Gonçalo M. Rosa, co-autori dell’articolo e ricercatori presso il CIBIO/InBIO (Portogallo) e la Zoological Society di Londra, nonché precedenti studenti al Museo di Torino. “E’ per questo che negli anni ci siamo battuti per la realizzazione di un piano di monitoraggio nazionale per la pronta identificazione del patogeno e più in generale per creare un network di collaborazioni che possa facilitare la ricerca su questo patogeno In Madagascar”.
Le ricerche in Madagascar continueranno con l’intento di definire il ceppo del Bd (al fine di capire la sua virulenza) e per definire strategie di conservazione che dovranno coinvolgere i gestori delle aree protette del Madagascar e l’ecoturismo, attualmente la maggiore risorsa economica per il paese.

Ricerca in Madagascar
Il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino conduce da oltre 25 anni spedizioni di ricerca in Madagascar grazie all’attività del Conservatore della Sezione di Zoologia, Franco Andreone. Questa azione di esplorazione e di valorizzazione della biodiversità di uno dei paesi più ricchi di animali e di piante  del mondo ha consentito di costituire una delle più importanti collezioni zoologiche d’Europa, nonché di scoprire e di descrivere molte nuove specie di anfibi e di rettili. Nell’ambito di questa attività sono stati definiti programmi di conservazione nonchè un piano d’azione preso a modello in tutto il mondo. La raccolta di materiale scientifico e l’impegno in campo conservazionistico ha anche consentito al Museo di Torino di sviluppare programmi di divulgazione scientifica, quale la Giornata del Madagascar, giunta alla quinta edizione che si svolgerà quest’anno a Venezia (13 giugno), nonché di proporre il percorso espositivo dedicato al Madagascar all’interno dell’esposizione Lo Spettacolo della Natura.
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