Carlo de Franchis1 è stato il primo
ambasciatore italiano del Madagascar indipendente; vi arrivò nel 1961 dalla
vicina Rodesia accompagnato dall’archivista Giannetti, unico compagno per un
lungo periodo. Soltanto più tardi gli venne, infatti, assegnato un segretario
nella persona del dottore Guariglia.
In attesa di trovare una sistemazione rispondente alle
esigenze di ufficio e di rappresentanza dell’Ambasciata, de Franchis prese in
fitto una stanza all’Hotel Colbert e si rifornì in una delle due cartolerie di
Antananarivo del convenzionale corredo di registri, carta da intestare, moduli
per i primi rapporti e rendiconti da inviare al Ministero degli Affari Esteri,
a Roma, per assolvere così ai suoi compiti istituzionali.
Sin dai primissimi giorni, de Franchis avvertì forte il
desiderio di conoscere a fondo il paese nel quale era destinato a muoversi e
non passò molto tempo che comprese di esserne stato affascinato e conquistato
anche per alcune analogie con certi tratti tipici del suo carattere napoletano,
solo sopiti in lui.
Una domenica pomeriggio, libero da impegni di ufficio,
uscì per una passeggiata e si incamminò verso la città alta, intenzionato a
raggiungere il Rova2. Superato di poco l’incrocio detto “des
Quatre-Chemins”3, udì, provenire dalla chiesa di Ambatonakanga,
delle note che gli ricordavano, sia pur vagamente, Pianefforte ‘e notte di
Salvatore di Giacomo. Attratto, entrò nella chiesa e, avvicinatosi
all’organista, si presentò.
L’incontro con Rahamefy, questo era il nome del valente
maestro di organo, si rivelò ricco di grande umanità e fondamentale per la sua
conoscenza del mondo malgascio. Grazie, infatti, a Rahamefy egli stabilì
rapporti cordiali ed affettuosi con alcune famiglie e personalità di rilievo
del mondo scientifico ed economico del Madagascar. Molti di loro, con grande
generosità, gli misero a disposizione gli archivi familiari, condividendo con
lui avvenimenti legati alla storia del paese.
Tra coloro che de Franchis incontrò nei cinque anni di
permanenza nel Madagascar ed il cui ricordo è tuttora vivo e luminoso, perché
rinnovatosi anche negli anni successivi quando fu chiamato ad altro incarico,
figurano le famiglie: Andriamihaingo, Rabenoro, Rabetafika, Radaody-Ralarosy,
Raharinosy, Ramaholimihaso, Ramanaindrabe, Ramboa, Ratsimamanga, Razanafimbahiny,
Razanatseheno ed altre ancora.
Stabilì inoltre una consuetudine di studio con George
Raveloson, che in più occasioni, generosamente, gli fece dono di preziose
testimonianze scritte e iconografiche sulla storia del regno del Madagascar.
Altrettanto importante per il suo desiderio di conoscere e di avvicinarsi alla
cultura malgascia, si rivelò l’amicizia di Jean Valette, genero di Rahamefy e
direttore degli Archivi Nazionali Malgasci.
Giorno dopo giorno de Franchis riuscì ad allargare la sua
percezione della società malgascia, ad apprezzarne le tradizioni e a
comprendere le ragioni profonde del loro rispetto verso il mondo circostante.
Particolare interesse e curiosità destò in lui
l’imponente costruzione del palazzo reale, fermo e solitario, con il cancello
dell’ingresso del cortile antistante chiuso, il palazzo del Primo Ministro d’un
tempo, Rainilayarivony, con le abitazioni intorno degli ufficiali al servizio
della deposta monarchia. Come pure il Palazzo di Giustizia con le sue colonne,
scolpite o decorate.
Lo incuriosivano le finestre e le bifore, oramai chiuse,
degli edifici. Chi vi si era affacciato? Quali sentimenti, emozioni, fervore
aveva provato? In che cosa aveva creduto? Chi erano stati i primi, che secoli
addietro, avevano intrapreso il lungo viaggio per mare dall’Insulindia e
raggiunta la costa malgascia avevano poi proseguito per l’altopiano? Oltre
all’idioma, avevano portato con sé i penati domestici ed i riti gravitanti sul
culto degli antenati con il rinnovo delle lenzuola funebri alle salme dei
congiunti. Usi e riti religiosi ancora rispettati e oggetto di culto nelle
campagne come nelle città e sui quali il clero cristiano nazionale quanto
straniero non aveva espresso riserve.
Non erano mere fantasticherie le sue, in quel peculiare
ambiente storico-antropologico con tutte le sue componenti religiose, politiche
e sociali, de Franchis era stato chiamato a svolgere la sua missione e se ne
sentiva fortemente sollecitato.
Portato, infatti, a compimento quanto necessario per il
corretto funzionamento dell’Ambasciata con l’acquisto, tra l’altro, di uno
stabile, si adoperò al massimo perché tra i due paesi andassero sempre più
consolidandosi le relazioni politiche e s’incrementassero gli scambi
economico-commerciali. In tale senso deve intendersi la particolare cura che
prestò nella pubblicazione periodica di quaderni di interesse vario
dell’Ambasciata. Significativa a riguardo è la comunicazione “Correspondance
diplomatique italienne sur Madagascar, 1882-1887”, che presentò all’Accademia
Malgascia il 17 giugno del 1965 e che poi venne pubblicata nel Cahier n. 24.
De Franchis restò nell’Isola Rossa fino al 1966 e vi
ritornò in altre due occasioni: la prima con un viaggio organizzato
dall’Associazione dell’Amicizia Italo-Malgascia, di cui ha avuto per alcuni
anni la presidenza e successivamente nel 1977 per il 75° Anniversario
dell’Accademia Malgascia. Oggi, l’Ambasciatore de Franchis, dopo una lunga e felice
carriera di diplomatico, vive a Roma, circondato dai ricordi ma è il Madagascar
e la sua gente che hanno lasciato in lui il segno più profondo.
prof. Liliana Mosca
Docente di Storia e Istituzioni dei Paesi Afro
Asiatici Dipartimento di Scienze dello Stato
Università degli Studi di Napoli Federico II
1 L’Ambasciatore Carlo de Franchis ha cominciato la sua
carriera di diplomatico a Buenos Aires. Successivamente è stato destinato a
Newark, Locarno, Mosca, Città del Messico, Salisbury quindi Antananarivo. Dopo
il Madagascar è stato Ambasciatore nel Sudan.
2 Il Rova di Antananarivo è un grande spiazzo
situato sulla collina più alta della città. Al suo interno si trovavano le
residenze reali edificate, a partire dalla fondazione della città, opera del Re
Andrianjaka, agli inizi del 1600. Molte delle residenze erano ancora visibili
fino a pochi anni fa, quando un incendio, di natura certamente dolosa,
scoppiato la sera del 6 novembre 1995, ha ridotto tutto in cenere, fatto salvo
la struttura in pietra dell’edificio di Manjakamiadana e parte del Tempio di
Palazzo. A puro titolo esemplificativo si rinvia a: V. BELHROSE- HUYGHUES, Un
exemple de syncrétisme esthétique au XIXe: Le Rova de Tananarive d’Andrianjaka
à Madama Ier, in Omaly sy Anio, 1-2, gennaio-giugno, luglio-dicembre
1975, pp. 173-198; RAZAFY- ANDRIAMIHANGO, Le Rova de Tananarive et le palais
de la Reine, Parigi, L’Harmattan, 1989; M. DELAHAIGUE-PEUX, Manjakamiadana
(palais de la Reine), Parigi, L’Harmattan, 1996; R: ANDRIANAIVOARIVONY, Naissance de la Cité des Mille, in
La Cité des Mille. Antananarivo: histoire, architecture, urbanism e, Antananarivo,
Cite-Tsipika, 1998, pp. 11-22.
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