Un viaggio in jeep da
Antananarivo a Tulear e riserva Andasibe, alla scoperta della cultura malgascia
e di un mondo veramente primitivo
Questo
viaggio è stato “concepito” nel vero senso della parola. A fine dicembre 2012
io e mio marito abbiamo deciso di “volerlo” e a settembre 2013 è “arrivato”.
Non
abbiamo usufruito di agenzie italiane in quanto poco “adattabili” alle nostre
esigenze e con preventivi troppo cari per una famiglia di cinque persone come
la nostra. La ricerca via web, ci ha permesso di trovare la soluzione ideale:
un ragazzo italiano che vive da anni in Madagascar e che organizza viaggi con
la possibilità di tour individuali con jeep. Fa proprio per noi! Per ovvi
motivi lo chiamerò G.
Il
nostro lungo viaggio comincia molto presto la mattina del primo settembre con
il volo Bologna - Parigi e poi Parigi – Antananarivo che ci fa atterrare
all’aeroporto della capitale malgascia alle 22 e 10.
Lo
scenario che si presenta è demenziale: veniamo disposti su più “file” davanti
ai front office al cui interno vi sono diversi funzionari. Il controllo ha
inizio con il ritiro del passaporto e del visto da parte di un addetto, poi si
ruota tutti attorno allo stesso front office, sempre in “fila” chilometrica a
serpentina (lo spazio è ristretto), dove un altro funzionario controlla e
timbra i documenti che nel frattempo si sono accatastati in pile alte quasi un
metro e che verranno poi passati ad un altro addetto, il quale, prima di
riconsegnare il passaporto, vuole assicurarsi che fotografia e dati combacino
con la persona giusta. Risultato: caos totale, in quanto dopo la consegna del
documento si perde di vista la propria posizione nella pila di documenti
accatastati e nel frattempo arrivano i bagagli proprio dietro ai front office.
Tra l’altro chi arriva tra i primi si ritrova fra gli ultimi e dopo gli
iniziali minuti la “fila” si dissolve trasformandosi in folla, dove ognuno urla
il proprio nome quando vede il funzionario aprire un passaporto.
La
tranquillità degli addetti regna sovrana; non è lo stesso per le centinaia di
persone, tra l’altro stanche, che ruotano intorno.
Abbiamo
notato alcuni turisti che in pochissimo tempo erano già al di fuori
dell’aeroporto: il “percorso privilegiato”, ci è stato poi spiegato, è
correlato alla particolare attenzione da parte dei malgasci verso il denaro.
Riusciamo
finalmente a riappropriarci dei documenti e di tutti i bagagli e ci dirigiamo
verso l’uscita costituita da un muro di persone che cercano di prenderti i
bagagli e di trascinarti verso i loro pulmini. Eravamo preparati a ciò e
sicuri, senza guardare nessun’altro, ci dirigiamo verso un uomo con un cartello
dove è scritto il nome della struttura che ci ospiterà per la prima notte e che
si occupa del nostro transfert. Il pulmino, con la metà dei vetri sporchi e
l’altra metà dei finestrini mancanti, ha un sistema di eliminazione dei gas di
scarico che sicuramente non inquina l’ambiente in quanto questi entrano
direttamente nell’abitacolo … per fortuna i chilometri che ci separano
dall’hotel sono pochi.
Arrivati,
ci accorgiamo di seguito che saremo allocati nella “dependance”, poichè la
struttura principale non ha più posto. In effetti le recensioni lette non erano
quelle della dependance. Tra le lenzuola c’erano dei capelli e peli di varia
natura che mi hanno convinta a dormire vestita, mentre il “bagno” non ha
convinto nessuno di noi a fare la doccia. Il colore dell’acqua che fuoriusciva
dal lavandino ci ha invece convinti tutti a lavarci con l’acqua delle
bottiglie.
La
mattina seguente la guest house ci propone la colazione tipica che ci
accompagnerà per quasi tutto il viaggio: megabaguette, burro, marmellate e
succo di frutta. Dopo aver fatto il vantaggioso cambio moneta direttamente
dalla proprietaria dell’hotel, arriva finalmente la nostra guida. Devo
ammettere che eravamo un po’ apprensivi perchè organizzare un viaggio via
internet non dà la sicurezza che tutto fili liscio e la materializzazione del
nostro unico punto di riferimento ci ha alquanto sollevati G. ha un po’ fretta,
quindi carichiamo i nostri borsoni sulla jeep e partiamo verso il sud per
allacciarci alla strada n°7, direzione Antsirabe. In effetti impieghiamo circa
due ore ad uscire dal caos della capitale, nelle cui strade transita di tutto,
dagli onnipresenti zebù che trainano merci, ai numerosi carrettini spinti a
mano che sbucano ovunque.
Ci
siamo subito resi conto delle condizioni di estrema povertà in cui vivono gli
abitanti.
I
sobborghi di Antananarivo (Tana) sono costituiti da migliaia di fornaci. Per
diversi chilometri si vedono delle specie di paludi abitate, i cui argini sono
ricoperti da mattoni accatastati ed alternati a vestiti e lenzuoli stesi
sull’erba: in mezzo al paesaggio il vestiario forma una serie di chiazze
colorate, che, oltre ad asciugarsi per essere utilizzato, può anche essere
venduto al momento.
Durante
il tragitto attraversiamo diversi villaggi caratterizzati tutti da una
specialità artigianale: c’è il paese che lavora e vende la raffia, quello del
legno, quello che produce piante, quello dell’ananas, ecc… con le bancarelle
che si estendono lungo la strada principale. Molto bello e colorato quello che
lavora la raffia, i cui prodotti sono anche presenti nei principali mercati
delle grandi città.
Dopo
circa 3 ore giungiamo nei paraggi di Antsirabe, per incontrarci con una persona
che ci porterà in una delle principali mete del viaggio: assistere ad una
cerimonia "famadihana". Essa è caratterizzata da un rituale che si
svolge di solito negli altopiani tra Tana ed Ambositra da giugno a settembre,
in cui vi è l’esumazione e la risepoltura dei cadaveri dei propri defunti.
Viene celebrata all’incirca ogni sette anni da ogni famiglia.
Mentre
G. prende accordi con un conducente di pousse-pousse (assomiglia al risciò, ma
molto più colorato), che ci porterà alla"famadihana", noi “pranziamo”
in una specie di pasticceria. Ci incamminiamo in mezzo agli altopiani per
raggiungere il luogo della cerimonia e da lontano vediamo, su un cucuzzulo,
quella che sembra una chiesetta, con intorno diverse persone. Arrivati sul
luogo sembra di essere in una tipica sagra paesana: persone vestite a festa che
banchettano tra rurali tavolini su cui viene disposto cibo e bevande, mentre a
terra sono disseminate delle piccole botti termiche al cui interno vi sono
delle specie di ghiaccioli. Notiamo che regna un clima gioioso e che la maggior
parte dei maschi presenti è alquanto “alticcia”.
Alcune
persone iniziano a scavare alla base di una collinetta vicino a quella che
sembrava una chiesetta e che in realtà era la tomba di famiglia: altro
abbaglio, la collinetta era l’antica tomba di famiglia ricoperta ormai di terra
ed erba. I più anziani del gruppo dettano le coordinate e le modalità di scavo
e dopo circa un’ora viene raggiunta la pietra che funge da porta. E’ giunto il
momento di far partire la cerimonia e da una collina vicina arrivano numerose
persone capeggiate da una banda che suona una musica festosa.
Nel
frattempo vengono abbattute sia la pietra che chiude l’antica tomba che la
porta murata dell’attuale tomba di famiglia. Possiamo fare le foto da fuori, ma
non possiamo entrare. La gente ora è tutta riunita: il capofamiglia ed il “capo
del villaggio” fanno un discorso che ci fa capire l’importanza di questo
rituale per la popolazione malgascia. Vediamo numerose stuoie di colore chiaro
che vengono portate all’interno delle tombe … dopo pochi minuti escono
arrotolate intorno ai cadaveri, quest’ultimi avvolti in diversi teli e
lenzuoli. La musica ricomincia a sentirsi per tutta la vallata, i corpi dei
defunti vengono ripetutamente toccati, tenuti in alto e fatti passare tra le
braccia di parenti ed amici, tra la folla, per poi essere posati a terra. Nella
concitazione generale, Giannetto, mio marito, viene “schiaffeggiato” da un
cadavere. Tra balli e canti c’è però anche chi piange. Due delle stuoie
arrotolate sono molto piccole
L’alitosi
alcolica e l’enfasi di alcuni partecipanti nei nostri confronti si fa sentire.
E’ giunto il momento di andarcene. La cerimonia è sicuramente suggestiva, unica
nel suo genere e assolutamente da fare.
Ci
dirigiamo verso Antsirabe, detta la città dei pousse- pousse, dove vive la
guida con la sua famiglia. Ci incontriamo con la moglie e facciamo un bel giro
in pousse-pousse per la città, fino al Petit Marchè.
Ci
fermiamo per assistere alle diverse fasi della lavorazione del corno di zebù e
per visitare un negozio di oggettistica tutta a base di … corno di zebù.
Visitiamo anche la zona della città famosa per la vendita di pietre, dove
acquistiamo un meraviglioso pezzo di feci fossili.
Arriviamo
fino all’Hotel des Thermes, una volta il più lussuoso della zona, da cui si
vede gran parte della città e ritorniamo alla jeep che ci porterà alla
struttura dove alloggeremo. Durante il tragitto vediamo un gruppetto di persone
particolarmente concitato sul lato della strada, che sta assistendo alla lotta
tra due galli. Decidiamo di fermarci. Era appena iniziata ed i galletti erano
vispi e sembravano giocosi, ma dopo poco hanno iniziato a beccarsi sul serio e
a macchiare di sangue tutta la zona. Al minimo cedimento del primo gallo ce ne
siamo andati. Non avevo mai visto la lotta fra galli e sinceramente non la
consiglio.
La
sera ceniamo in un locale della città e finalmente assaggiamo per la prima
volta le specialità malgascie: zebù, riso, verdure e pollo. Capiamo da subito
che durante questo viaggio non ingrasseremo.
Al
ritorno in hotel, riusciamo a fare la prima doccia, solo perché c’è l’acqua
calda … in effetti il bagno, anche qui, è un bel po’ fatiscente.
La
mattina seguente ripartiamo, nonostante qualche problema della jeep, che ogni
tanto si spegne. Direzione Ranomafana. Il percorso è caratterizzato da
altipiani con risaie e case di argilla rossa e da gruppetti di persone ai lati
della strada che spaccano pietre. Ci fermiamo e vediamo che anche i bambini,
come nelle fornaci, lavorano e così decidiamo di cimentarci nell’attività,
procurando le risa soprattutto dei piccoli, molto più capaci di noi. Spargiamo
un po’ di giochini e ripartiamo alla ricerca di un fusibile, probabile
responsabile del guasto che continua a fermare la jeep.
Attraversiamo
diversi villaggi Zafimaniry, con le tipiche casette di legno, famosi per la
lavorazione artigianale della raffia e del legno. La sosta ci farà invece
comprare una specie pregiata di pepe, appena raccolto, che alcune donne stanno
pulendo ai lati della strada.
Raggiungiamo Sandrandahy, dove visitiamo il
mercato e ci facciamo trascinare da alcune persone nel loro laboratorio
familiare della lavorazione della seta. Entriamo in una casa dove ci fanno
vedere tutte le diverse fasi: dalla nascita del baco da seta, al bozzolo secco
che ci fanno toccare, alla trasformazione della seta attraverso la tessitura … fino
all’obiettivo finale che consiste nella vendita di teli e sciarpe. Ne producono
di qualità più o meno pregiata ed alcune sono veramente belle. Ne acquistiamo
un paio.
Dopo
aver pranzato, partiamo per Ambositra dove viene risolto il problema del
fusibile. Incontriamo per strada diverse mandrie di zebù che ci costringono a
fermarci e vediamo anche il primo di una lunga serie di roghi. In Madagascar la
popolazione cresce a ritmi esorbitanti e si crea lo spazio bruciando le
foreste, sempre più limitate, le quali, oltre a trasformarsi in zone abitative
vengono poi sfruttate per l’agricoltura.
Lungo
il percorso vedremo spesso intere colline o altipiani neri, completamente
bruciati e numerosi venditori di carbone, il quale viene sistemato in grandi
sacchi e poi messo in bella mostra sulla strada
Decidiamo
di visitare la zona dei cercatori d’oro e mentre affrontiamo una strada molto
sterrata sentiamo un rumore provenire dal semiasse… ma continuiamo e
raggiungiamo un territorio pieno di profonde buche dove affiora l’acqua ed al
cui interno alcune donne, immerse con i piedi nel fango, con delle specie di
vassoi tondi, filtrano il fondale alla ricerca di polvere dorata. I numerosi
bambini presenti, tutti scalzi, impolverati ed infangati, ovviamente aiutano a
raccogliere il ricavato della giornata: pochi e minuscoli microgranelli dorati.
Spargiamo
un po’ di giochini e ripartiamo, ma dalla jeep il rumore da sospetta rottura
del semiasse si fa sempre più preoccupante e dopo una telefonata della guida ad
un meccanico di fiducia della zona facciamo un rendez-vous in un incrocio in
mezzo al nulla. Tranquillizzati sull’entità del problema che verrà risolto il
giorno seguente, andiamo a visitare il villaggio dei fabbri. E’ ormai buio, ma
giunti in paese, c’è ancora una famiglia che sta lavorando… si sente. Gli
uomini che battono il ferro sono tutti sudati, muscolosi e … probabilmente
sordi. Stanno forgiando delle pale per lavorare la terra. I bambini hanno la
responsabilità di portare la legna e non fare abbassare la fiamma del fuoco.
Qui i bambini sono veramente tanti, i più grandi portano sulle spalle i più
piccoli e sono tutti sporchi, vestiti con degli stracci, scalzi, con il moccolo
… ci guardano e ci seguono incuriositi. Alcuni giocano con un pallone fatto di
stracci arrotolati tenuti assieme dallo spago. Spargiamo molti giochini e
Giannetto compra una pala appena fatta.
Arriviamo
a Ranomafana e pernottiamo in una bella struttura vicina ad un fiume, immersa
in una foresta tropicale piena di vari insetti e ranocchi, dove abbiamo visto
il primo “albero del viaggiatore”, una specie di palma, tipica del Madagascar,
alla cui base si convoglia l’acqua piovana. Ceniamo in un vicino hotel, dove
Edoardo gusta degli ottimi gamberi di fiume mentre noi preferiamo il tipico
cibo malgascio. Sia il ristorante che la zona è deserta, fuori fa parecchio
fresco e decidiamo di ritirarci subito nelle stanze.
Per
tutta la notte ho sentito un rumore tipo maxitarma gigante al lavoro, provenire
da dietro la spalliera del letto che non mi ha fatto riposare. C’è chi dice che
fosse un geco, ma l’inutile ricerca notturna non ha confermato il sospetto.
La
mattina partiamo per il parco di Ranomafana, il primo ed anche il meno
entusiasmante tra tutti quelli visitati. Il contesto assomigliava ad un film di
Fantozzi dove tutti i gruppi di turisti venivano chiamati con concitazione
dalle rispettive guide per vedere qualche lemure su un albero. Tutti
saltellavamo come cavallette in mezzo agli arbusti verso chi ci chiamava,
guardando in alto alla ricerca spasmodica dei cinque lemuri o dei due
camaleonti presenti nel parco, tra inciampi e scivolate. Giannetto e Ludovica,
nel tentativo di fare delle foto dal basso, sono anche stati colpiti dagli
escrementi verdastri dei lemuri. Nonostante la bravura delle guide è un parco
che non consiglio.
Finalmente
si riparte, direzione Fianatantsoa, dove c’è un interessante mercato.
Incontriamo parecchie persone a piedi, che percorrono chilometri per recarsi al
mercato, c’è chi ha un maiale al guinzaglio, chi ha i suoi zebù, chi trasporta
qualsiasi tipo di merce sulla testa, chi scende con carrettini carichi di
sacchi a 60 chilometri all’ora giù per la discesa (il freno è costituito da un
pezzo di legno che viene fatto strisciare sull’asfalto); quest’ultimo mezzo di
trasporto merci è maggiormente utilizzato dai bambini, anche 7 o 8 per
carretto, che sfrecciano come saette sulle strade tortuose degli altipiani
Raggiungiamo
Fianar e pranziamo in un particolare ristorante gestito da cinesi: alle pareti
sono appesi diversi quadri che raffigurano dei panda durante l’accoppiamento ed
anche numerose pelli di coccodrillo. Qui assaggeremo il coccodrillo ed il
pipistrello (per la prima ed ultima volta). Il coccodrillo ha una carne che per
aspetto, consistenza e sapore assomiglia a una miscela di pollo/pesce mentre il
pipistrello, più dolciastro, si accosta maggiormente al coniglio. Il primo a
cadere, risucchiato dalla patologica sindrome gastroenterica sarà Giannetto,
che tra l’altro aveva avidamente spolpato le ali del pipistrello insieme ad Edoardo,
il quale ne subirà le conseguenze più tardi.
Ripartiamo,
direzione Ambavalao,
attraversando distese chilometriche di altipiani terrazzati a risaie, per
visitare il mercato degli zebù più grande del Madagascar che c’è ogni mercoledì
e giovedì. E’ un posto molto suggestivo, in mezzo alle montagne, sembra di
essere sul set di un film western, con terreni polverosi, case vecchie e
fatiscenti, enormi recinti di legno al cui interno ci sono centinaia di zebù.
Il mercato si era appena concluso, per fortuna domani è giovedì.
La
guida ci fa visitare l’enorme mercato del paese, con le bancarelle di legno,
dove si può trovare di tutto. Ovviamente la carne è spolpata e appesa come
fosse biancheria, solo quando si fanno volare via le centinaia di mosche che si
sono posate sul pezzo si riesce a capire che tipo e che parte di animale sia.
Molte sono le bancarelle che vendono pesce, quasi sempre essicato. Interessante
la zona dei guaritori che vendono “pozioni”, con le loro erbe, radici e “altro”
e alcuni artigiani che hanno creato delle lampade a olio dalle vecchie
lampadine a incandescenza e altri oggetti di “uso comune”. Ci sarei stata altre
tre ore, ma ormai è tardi. Mentre ce ne andiamo notiamo una casa con insegna
“Video Slem”, ha la porta aperta da cui pende una tenda scura e dalla finestra
si vedono tanti bambini e ragazzini intenti a guardare qualcosa: ci sono le
uniche due televisioni del paese, in una, circa 30 bambini stanno guardando dei
cartoni, mentre nel vicino schermo i ragazzini più grandi giocano ad un antico
videogioco.
Ci
dirigiamo in un vicino hotel, gestito da una coppia di francesi che ne cura i
minimi particolari e che ci ospiterà per la notte. Unica pecca l’acqua della
doccia che fuoriesce a piccoli fiotti, per cui ci vuole un po’ di tempo per lavarsi.
Consigliatissimo, anche per il cibo che offre.
La
mattina seguente ci rechiamo al frizzante mercato degli zebù dove assistiamo
alle strategie di vendita da parte degli allevatori e anche alla fuga di alcuni
zebù che venivano inseguiti per chilometri tra i monti, per poi essere
riportati faticosamente nel recinto. Da fare.
Partiamo
per l’Anja Reserve, terra del lemure catta, detto maki, che è un simbolo del
Madagascar. Durante il percorso facciamo una sosta per vedere le fasi di
lavorazione della carta Antaimoro, nei pressi di un hotel pieno di meravigliose
bougainville in fiore, che vengono utilizzate per decorare la carta.
Interessante.
Il
tour per il parco dell’Anja si rivela più coinvolgente di quello di Ranomafana.
Qui i lemuri con la coda ad anelli sono tantissimi e si possono ammirare da
vicino e inoltre abbiamo incontrato i primi camaleonti giganti.
Pranziamo
per strada in un hotely, tipici locali a conduzione familiare, che propongono
piatti a base di zebù e riso. Prezzo: circa 3 euro a testa compreso di bevande.
Il
pomeriggio ci aspetta un bel viaggetto di qualche ora verso l’Isalo
attraversando fiumiciattoli dove scorgiamo cercatori d’oro al lavoro e notiamo
che il paesaggio diventa sempre più brullo. Le strade sono piene di buche che
ci costringono quasi a fermarci, in alcune di queste i bambini si arrabattano
per riempirle di sassi e sabbia, chiedendo poi le mance agli autisti; Il nostro
autista, gran dispensatore, vediamo che in questo caso non elargisce,
spiegandoci che se dà i soldi ai bambini dopo questi non andranno più a scuola.
Giungiamo all’hotel che ci ospiterà per un paio di notti, una struttura un po’
vecchiotta ma ancora in buono stato e con una grandissima e bella piscina.
Siamo stanchi, ma decidiamo di andare a vedere, in jeep, il famoso tramonto
alla “finestra della regina” che dista qualche chilometro. In effetti questa
roccia traforata, situata su una specie di collinetta, quando cala il sole è
molto suggestiva
Il giorno seguente ci aspetta il tour
del parco dell’Isalo, decidiamo di fare un percorso intermedio. Tra canyon
desertici e rocce vediamo anche dei luoghi sacri in cui gli abitanti del posto
seppelliscono i loro morti nelle grotte. Raggiungiamo una delle principali mete
turistiche, la “Piscine Naturelle” che compare improvvisamente nel fondo di un
canyon scosceso. Il paesaggio è incantevole, la vegetazione è lussureggiante,
l’acqua di un verde chiaro contornato da piante, sembra di essere arrivati in
paradiso. Valentina si immerge, ma l’acqua è veramente fredda. Ripartiamo con
la guida della riserva per canyon sempre più aridi e pareti di roccia a
strapiombo, fermandoci alla ricerca di insetti stecco molto ben mimetizzati,
fotografando enormi termitai e fiori coloratissimi che sembrano sperduti in
mezzo all’interminabile savana. Il percorso è abbastanza faticoso e fa
parecchio caldo … finalmente raggiungiamo l’area sosta dove ci aspetta un
sostanzioso pic-nic. Mentre gustiamo l’ananas, sentiamo tutto ad un tratto dei
versi terrificanti: un gruppo di circa 20 lemuri fulvi ci attacca strillando e
saltando sul nostro tavolo, facendo razzia di quello che era rimasto. Ludovica
inizia ad urlare e gli uomini che ci avevano preparato il pasto si alzano e
corrono verso di noi per mandarli via. Pranzo ottimo e divertente.
Ripartiamo per un nuovo sentiero che
segue il corso di un torrente, attraverso delle profonde gole, che ci condurrà
ad un paio di cascate veramente belle, dal colore blu intenso e verde smeraldo.
Sono oasi spettacolari.
Ritorniamo verso la jeep, dove ci
aspetta l'autista, siamo dilaniati dalla stanchezza. Per strada attraversiamo
un villaggio dove si possono trovare dei fossili. Ci fermiamo, la guida parla
con delle persone che poi ci portano nel retro di una casa e ci fanno vedere 6
o 7 uova fossili, alcune di queste spaccate a metà dove si vede lo scheletro,
anch’esso fossilizzato, di alcuni animali. Questi reperti vengono trovati dagli
abitanti della zona nel parco roccioso dell’Isalo; il problema è che non si
riescono a portare fuori dal Madagascar a meno che non si acquistino in alcuni
negozi che rilasciano particolari certificati. Rischiamo e prendiamo il più
piccolo, dove c’è un bel pesce fossile, alla cifra di circa 10 euro, che
riusciremo a portare a casa.
Il giorno dopo partiamo per Ilakaka,
un paese sorto grazie alla scoperta, nelle vicinanze, di giacimenti di pietre
preziose. Andiamo a visitare la zona mineraria, molto suggestiva. Dobbiamo
seguire un percorso guidato perché la presenza di buche molto profonde nascoste
in mezzo alla sterpaglia potrebbe essere fatale (per noi). Noto però parecchi
bimbi anche piccoli che giocano proprio nella zona ritenuta pericolosa e mi
viene detto che loro sono abituati e sanno dove camminare. Le buche, larghe
poche decine di centimetri ma profonde almeno 30 metri sono tutte le varie
“prove” in cui veniva fatto calare un uomo alla ricerca di ciottoli, i quali
indicano l’esistenza di un antico letto fluviale e quindi la possibile presenza
di zaffiri. A volte queste buche franano inghiottendo il malcapitato di turno.
Se la ricerca ciottoli è positiva, i
minatori scavano un secondo pozzo molto più ampio, con l’ausilio di pale e
secchi. Abbiamo visto le diverse fasi di questa miniera a cielo aperto, dove i
minatori sono disposti in una fila lunghissima, lavorando incessantemente per
tutto il giorno, con paghe irrisorie. Più il pozzo diventa profondo, più
minatori servono e la fila si allunga … impressionante. I secchi colmi di
ciottoli vengono portati nella zona lavaggio e selezione, sotto il controllo
dell’imprenditore (o chi per esso) che ha comprato l’appezzamento di terra,
quasi sempre un riccone del Bangladesh. Dopo una prima selezione, ve ne è una
seconda ad opera dei bambini che a volte trovano delle minuscole pietruzze. Il
capo della miniera ci ha fatto vedere il ricavato della mattina: due piccoli
zaffiri. La terza selezione veniva fatta da una donna in avanzato stato di
gravidanza con un bimbo fissato alla schiena, che passava al setaccio l’acqua
del lavaggio alla ricerca della polvere d’oro
Ci fermiamo a Ilakaka, una nevrotica
cittadina in mezzo al deserto, per visitare un prestigioso negozio di
lavorazione e vendita di zaffiri, dove acquistiamo un pezzo di copale, una
resina simile all’ambra, ma più giovane, da cui traspaiono alcuni insetti ed un
sacchettino di pietre “preziose” grezze. Ci sono dei gioielli veramente belli,
colorati e luccicanti.
La cittadina pullula di negozi e
commercianti di pietre preziose anche ai lati delle strade; da qui in poi
notiamo le donne con le facce vistosamente dipinte. La crema giallina, ricavata
dalla radice di una pianta, viene spalmata sul viso offrendo una protezione
solare naturale.
Ci dirigiamo verso Toliara e
vediamo le tipiche tombe delle etnie locali costituite da mausolei dai colori
vivaci che ritracciano la vita e la personalità del defunto (a forma di barca,
multicolor, con statue di animali a grandezza naturale …). Ad un certo punto
notiamo del fumo e numerose botti ai lati della strada. E’ una distilleria a
cielo aperto. Ovviamente ci fermiamo e guardiano le fasi di produzione della
grappa, prodotta con tamarindo e canna da zucchero: dalla macerazione, alla
bollitura e filtrazione. La sporcizia regna, ma il colore del distillato è
limpidissimo … l’odore del luogo e della grappa è pungente, così come il sapore
del liquore che coraggiosamente assaggiamo: è veramente forte, quasi imbevibile
e ne compriamo una bottiglia. Alcuni ragazzi hanno puntato insistentemente
Ludovica e chiedono quanto costa … siamo riusciti ad andarcene lasciando delle
bottiglie di plastica vuote, per loro molto preziose.
Ripartiamo e poco prima del paese ci
ferma, per l’ennesima volta, la polizia locale. E’ una costante per chi viaggia
in auto per le strade del Madagascar. I posti di blocco sono numerosi, ma in
media solo 5 o 6 volte al giorno ci fermano e l'autista, dopo un breve scambio
di parole (?), elargisce la mancia che ci consente di proseguire il viaggio. La
corruzione regna, anche perché le guardie fermano spessissimo e solo una volta
ci hanno chiesto i documenti.
Arrivati a Toliara mangiamo in una
pizzeria, proprietà di un italiano, ormai anziano, residente da molti anni in
Madagascar. Finalmente mangiamo pasta e pizza, ne avevamo veramente voglia.
Dopo aver fatto un po’ di shopping in questa grande cittadina, ci dirigiamo
verso un piccolo mercato dove vedo per la prima volta ciò che cercavo
ardentemente, l’uovo di Aepyornis, un uccello gigante, simile a un enorme
struzzo, estinto da qualche centinaia di anni. I resti di queste uova si
possono trovare nelle estreme spiagge a sud dell’isola: i pezzi vengono
raccolti e messi insieme con della specie di stucco fino a riprodurre l’uovo
nelle sue dimensioni reali. Bellissimi. In Italia costano circa 2000 euro, lì
30, ma non si possono esportare.
La guida ci richiama, dobbiamo
raggiungere l’hotel che dista poche decine di chilometri percorrendo una pista
di sabbia molto sconnessa, sulla costa ovest, che non permette di fare più di
10 chilometri all’ora.
Il percorso è veramente impegnativo e a
metà pista ci fermiamo per una sosta, ammirando le mangrovie al tramonto.
Arriviamo finalmente all’hotel, a Ifaty. E’ una zona molto ventilata e il
posto, solo a prima vista, sembra carino. Il vento fa entrare qualsiasi cosa
nella stanza e perfino nel letto: sabbia, insetti ed erba sono dappertutto,
anche perché il tetto è sollevato dalle pareti. In più, nel bagno, una blatta
gigante ci fa compagnia durante il nostro breve soggiorno. La struttura in
generale è fatiscente, solo il locale adibito a ristorante è in condizioni
decenti, inoltre non c’è la spiaggia.
La sera, la guida ci porta in un locale
particolare, dove c’è anche uno spettacolo dal vivo con ballerine/cantanti e
suonatori che hanno strumenti musicali artigianali molto coreografici. E’ stata
una bella serata ed abbiamo mangiato veramente bene
La
notte dormo vestita e il giorno dopo diciamo all'autista che ce ne vogliamo
andare. Mentre la guida si organizza, noi decidiamo di fare snorkeling e con la
piroga arriviamo vicino alla barriera corallina. L’acqua è freddina ed il mare
mosso dei giorni precedenti ha mascherato il fondale. Avendo visto la barriera
corallina del Mar Rosso, questa ci ha un po’ deluso. Rientriamo all’hotel dove
pranziamo per poi trasferirci in un’altra struttura, più a nord, dove
soggiorneremo quattro giorni. E’ vicina ad un villaggio di pescatori e ci sono
due lemuri catta, chiamati da noi Meggy e Stronzino che saltano addosso alle
persone ed ai tavoli, facendo man bassa di quello che trovano.
Il
pomeriggio lo trascorriamo finalmente in spiaggia, dove veniamo subito
avvicinati dagli abitanti del villaggio che vendono souvenir e Valentina si fa
convincere a fare le treccine.
La
sera decidiamo di mangiare aragoste ed altri pesci, che i pescatori hanno
appena portato all’hotel. E’ la prima volta che mangio un’aragosta appena
pescata, veramente squisita. In questi giorni mangeremo prevalentemente pesce
fresco.
Il
giorno dopo visitiamo la foresta dei baobab, ripercorrendo la pista sabbiosa,
dove, tra la polvere, gli abitanti del luogo vendono cibo appena cotto su
traballanti tavolini.
Ci
chiedono se vogliamo fare il giro del parco su un carro trainato da zebù o a
piedi e decidiamo di farlo sul carro. Salutiamo G. che rivedremo solo tra
quattro giorni, a Tana. Dopo un po’ di concitazione generale, arriva il carro e
dopo circa 10 minuti di attesa vediamo arrivare, da lontano, un ragazzo che
corre, frustando uno zebù. Assemblano i pezzi e ci caricano sul carretto, la
guida invece ci accompagna a piedi. E’ stato un tour molto interessante in
mezzo a baobab di diverse grandezze e forme e altre piante tipiche del luogo.
Abbiamo visto scorpioni, una blatta gigante grande come una mano, delle specie
di ricci che salgono sul tronco degli alberi, cavallette colorate, gechi ed
infine abbiamo visitato il Villaggio delle Tartarughe. Quest’ultimo è un parco
che si occupa della protezione di oltre un migliaio di tartarughe, è veramente
carino.
C’erano
problemi per il ritorno all’hotel, ma ad un tratto arriva una jeep … è il
proprietario del Mangily che ci carica nel cassone e ci porta nel suo hotel,
scorazzando a velocità sostenuta sulla pista sabbiosa, facendoci saltare come
capretti. Arrivati ci aspetta una piacevole sorpresa: dal Mangily era stato
preparato il ritorno al nostro hotel tramite piroga. E’ stato bellissimo, un
giro stupendo in mezzo all’acqua azzurra: l’ora e mezza del tragitto è
praticamente volata.
Il
giorno dopo decidiamo di fare il giro in quad: partenza da un hotel vicino,
dove il figlio dei proprietari si occupa di diverse attività, dalle immersioni
subacquee al whale watching … è un ragazzo gentilissimo, ci accompagnerà in un
bel tour per le spiagge, le dune, l’antico cimitero ed i villaggi della zona.
Entusiasmante il rotolamento da una gigantesca duna di sabbia, meno la
risalita.
Giro
stupendo che si è prolungato fino al tramonto … sul mare … semplicemente
meraviglioso.
L’unico
momento sconcertante è stato il passaggio attraverso villaggi sperduti e molto
poveri, dove tutti salutavano, ma alcuni bambini ci lanciavano i sassi. Abbiamo
notato altre reazioni strane.
Quando
i vasà (turisti bianchi) non hanno più nulla da donare, cresce una sorta di
rabbia, soprattutto da parte di alcuni bambini. Ho avuto, tra l’altro, la
pessima idea di dare tutto quello che avevamo ai ragazzini che si erano
radunati di fronte al nostro bungalow. Tutti i giorni seguenti, fin dal
mattino, c’era un costante pellegrinaggio di bambini che chiedevano qualcosa e
che tiravano la sabbia se non ricevevano nulla. Sono dovuti intervenire i
custodi dell’hotel.
L’indomani
visitiamo con Lantu, una frizzante ragazza del posto che lavora nell’hotel, il
villaggio dei pescatori: la gente vive veramente con poco, sono tutti scalzi e
i due “negozi” vendono solo i beni di estrema necessità come pasta, sapone,
pile per torce, qualche farmaco … . C’è l’artigiano che fabbrica piroghe,
quello che trita il caffè con il mortaio, chi cucina strani intrugli e li vende
in incrostati tegami smaltati …il pesce ovviamente abbonda ovunque. Abbiamo
conosciuto il capo del villaggio, il più grasso fra tutti. Lantu ci ha detto
che non è ben visto perché non fa nulla per migliorare la situazione locale,
come ad esempio curarsi dei rifiuti che continuano ad impegnare i lati della
strada
L’ultimo
giorno assistiamo al ritorno di centinaia di pescatori che con le loro piroghe
occupano l’intero orizzonte marino; è uno spettacolo … man mano che si
avvicinano a riva c’è un crescente scompiglio tra le donne e i bambini che
aspettano in spiaggia, in attesa di vedere il pescato più o meno sostanzioso.
Facciamo
gli ultimi giri in spiaggia, attenti ad evitare alcuni escrementi umani
disseminati qua e là. Altra particolarità del Madagascar è l’estrema serenità
con la quale adulti e bambini, sia ai lati della strada che sulla spiaggia,
rilasciano gli sfinteri, anche in presenza di persone sconosciute, come fosse
la cosa più naturale del mondo. I cani randagi sono trattati malissimo dalla
popolazione perché si cibano di questi escrementi e sono considerati gli
animali più sporchi in assoluto. Anche per le strade della capitale occorre
fare veramente attenzione a dove si mettono i piedi!
E’
già il 12 settembre e ci aspetta l’aereo che da Toliara ci porterà ad
Antananarivo. Ripercorriamo la pista polverosa piena di camion adibiti al
trasporto di cose e persone e notiamo alcuni caseggiati dove producono la
Spirulina, un’alga ricca di principi nutritivi.
Arrivati
ad Antananarivo, ci aspetta G., che riconosciamo da lontano, in mezzo alla
folla, per il suo cappello chiaro. Ripartiamo in jeep, breve sosta in una
pizzeria sulla route di Ivato, probabile responsabile delle sindromi
gastrointestinali che animeranno le giornate seguenti e poi proseguiamo per il
caratteristico mercato della Digue, in cui troviamo tutti gli articoli
dell’artigianato del paese, alcuni veramente particolari e dove ho rivisto
alcune uova di Aepyornis, l’uccello elefante … non ho resistito e ne ho
comprato uno al prezzo di 30 euro. Con quella cifra il venditore malgascio,
parenti ed amici festeggeranno per due mesi, io invece non saprò mai se
riuscirò a riaverlo …. L’ho dovuto affidare alla guida perché in aeroporto
fanno dei controlli severissimi con multe stratosferiche anche se ti ritrovano
un solo pezzo di uovo, mentre se hai zaffiri di valore inestimabile, elargendo
una lauta mancia, chiudono gli occhi. Mah!
Decidiamo
di cambiare il percorso del viaggio, preferiamo rimanere nella capitale e
ripartire il giorno dopo, per cui G. ci organizza il pernottamento.
La
sera ceniamo in una stazione ferroviaria restaurata, molto carina e ben curata,
il cui bagno è allestito all’interno di un vagone ferroviario al di fuori del
locale. Sembra di essere in un ristorante occidentale e la cucina propone anche
piatti internazionali. La notte dormiamo in un hotel del centro, il primo in
cui facciamo, dopo 12 giorni, una vera doccia in un vero tre stelle. E la prima
colazione con le brioches … buonissime.
Il
giorno dopo partiamo per la riserva di Andasibe, lungo una strada molto
trafficata da enormi camion, spesso in avaria. Ci fermiamo alla Riserva
Peyrieras, dove entriamo in contatto con pitoni, gechi, farfalle giganti,
coccodrilli e decine di camaleonti di tutte le specie, da quello nano a quello
gigante, ammirandoli mentre virano di colore quando vengono spostati.
Arriviamo
al nostro hotel che ci ospiterà, per fortuna, una sola notte. I bungalow sono
carini, immersi nella foresta pluviale, ma fa molto freddo e la notte
“dormiremo” vestiti sotto un mega strato di coperte umidissime. La sera
decidiamo di fare un’escursione notturna all’interno del Parco Mitsinjo e con
la guida facciamo un bel tragitto in mezzo alla foresta, alla ricerca dei
lemuri notturni. Ne abbiamo visti un paio, insieme a strani ranocchi e qualche
camaleonte.
L’indomani
ci svegliamo con gli urli dell’Indri-Indri, un lemure che emette un urlo
udibile a chilometri di distanza, ma che probabilmente era vicino al nostro
bungalow. Dovevamo svegliarci presto per fare il tour del parco di
Andasibe-Mantadia e vedere l’Indri-Indri, ma siamo veramente stanchi, anche per
via della sindrome gastrointestinale che non ci vuole abbandonare e decidiamo
di andare nella più tranquilla riserva privata dell’Hotel Vakona. La riserva è
permanente enorme
C’è un lago con un’isola popolata da
numerosi lemuri, tra l’altro una specie che non avevamo ancora visto,
raggiungibile con un breve giro in canoa. C’è perfino un centro equestre, campi
da tennis ed un grande allevamento di coccodrilli. Abbiamo avuto la fortuna di
visitarlo proprio nel giorno settimanale (il sabato) dedicato al pasto di
questi enormi rettili. Inquietantissimo. Abbiamo assistito a tutte le fasi:
dall’arrivo di zebù già a pezzettoni, al taglio con l’accetta per fare le
parti, alla lotta di due cani di passaggio per un osso caduto, al caricamento
del cibo su una cariola, al richiamo tramite tamburo delle decine di
coccodrilli che si sono radunati nello spazio dedicato. Il lancio della carne
era seguito da un rumore inquietante di chiusura di fauci, a vederli facevano
veramente impressione.
Nella riserva c’erano altri recinti con
animali tipici della zona, tra cui il ricercatissimo e quasi estinto fossa: è
un predatore che si nutre di lemuri ed altri animali, assomiglia ad un gatto
gigante che vuole trasformarsi in puma. A prima vista sembra tranquillo, ma
quando Valentina si è appoggiata alla rete, la guida ha urlato subito di
spostarsi … in effetti il fossa le si era già avvicinato per tentare di
assaporarla.
Ritorniamo ad Antananarivo e facciamo un
po’ di tour per la capitale, tra piccoli e caratteristici mercatini disseminati
qua e là e le famose scalinate.
E’ giunta l’ora dei saluti … dobbiamo
dirigerci verso l’aeroporto per il viaggio di ritorno. In aereo ripensiamo
all’impegnativo tour, alla comodità di un viaggio “personalizzato” ed adattato
anche al momento, dove potevamo fermarci quando c’era da fare e da vedere
qualcosa di interessante, riuscendo a scoprire ed assaporare questo mondo
veramente primitivo.
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