lunedì 10 novembre 2014

L’incredibile storia di un romano

e di un piccolo villaggio del Madagascar

Stefano decide di offrire il suo aiuto agli abitanti del villaggio: inizia così un percorso, un’avventura costruita passo dopo passo, con la pazienza e la determinazione di chi ha realmente voglia di portare a termine un grande progetto.

Il romano Stefano Palazzi presenta al Campidoglio i risultati del lavoro svolto nel villaggio di Antintorona, un posto che fino a vent’anni fa era come tanti altri in Madagascar: povero, poco sviluppato e stremato dalle malattie. Oggi è un paese sviluppato ed ecosostenibile. (Flavia Miccio) 
La storia di We Work It Works inizia 17 anni fa, quando Stefano Palazzi, ex atleta romano e grande viaggiatore, arriva ad Antintorona, un villaggio sull’isola di Nosy Komba in Madagascar. In quegli anni Antintorona si trova nel mezzo di un’emergenza sanitaria, e deve combattere contro paludismo, parassitosi, bronchite cronica, dissenteria.
Stefano decide di offrire il suo aiuto agli abitanti del villaggio: inizia così un percorso, un’avventura costruita passo dopo passo, con la pazienza e la determinazione di chi ha realmente voglia di portare a termine un grande progetto. Sabato 11 dicembre, al Campidoglio a Roma, Stefano presenta per la prima volta alla stampa ed al pubblico i risultati ottenuti nel villaggio di Antintorona, e parla del suo reale modello di sviluppo, pronto ad essere applicato a tutti i paesi del terzo mondo.
Partendo dal presupposto che ogni società basa il proprio livello di civiltà sulla qualità dell’attenzione che si da ai propri bambini, Stefano ha sviluppato un progetto globale dove tutti gli elementi sociali ed economici della vita di un villaggio sono incentrati attorno alla figura dei bambini. Il primo passo verso lo sviluppo del villaggio infatti è stato affrontare l’emergenza sanitaria, che purtroppo determinava la morte dei più piccoli, anche grazie al contributo di medici di La Réunion e dei medici malgasci, parallelamente alla lotta alle epidemie endemiche, è stata realizzata la bonifica del terreno, che ha reso possibile la costruzione di strade, scuole, case.
Le scuole sono state infatti un elemento fondamentale perché attorno ad esse sono state realizzate tutte le maggiori infrastrutture: una scuola ha infatti bisogno di acqua, di elettricità, di strade. In queste scuole, che vanno dalle materne, fino ad un collegio, si stanno formando e stanno crescendo gli adulti che domani porteranno avanti il modello di sviluppo del villaggio.
Anche la produzione ad impatto zero di energia è stato un grande passo per il villaggio di Antintorona: gli ingegneri svizzeri dell’associazione Adeve hanno infatti realizzato una turbina idroelettrica, che sfrutta l’energia prodotta dai vicini torrenti, per portare l’elettricità gratuita all’interno delle case. Oggi i bambini del villaggio possono usare i laptop forniti nel 2009, prodotti dall’associazione One Laptop per Child di Nicholas Negroponte.


Elencare tutte le iniziative di Stefano ed il team di We work it works sarebbe impossibile, così come lo è raccontare tutto il percorso che è stato fatto in questi venti anni. Quello che si può fare invece è dare valore alla grande abilità di aver realizzato un progetto che funziona davvero, basato su lavoro duro e tanta pazienza, fatto in sordina, con il sostegno di enti pubblici e di privati. E gli aiuti serviranno anche in futuro, perché Stefano ha già in mente i prossimi passi: nuova energia pulita, nuove strade, nuove colture.
Con la speranza che questo modello possa essere applicato ad altri villaggi, non solo in Madagascar, ma in tutta l’Africa, in tutto il mondo.

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Risultato tutte le case a capanna hanno l’elettricità, le strade sono illuminate, il cinema funziona e i bambini possono ricaricare i loro computer didattici. 

Il nostro tempo libero trascorre in fretta impegnati  con trecking, snorkeling, pesca d’altura e immersioni. È veramente una vacanza di quelle che non si dimenticano facilmente.Una vacanza da raccontare agli amici

Nosy Komba rappresenta in poche parole una descrizione dell’Eden.
Bellissime le sue spiagge, cristallina l’acqua, favolosa la vita sottomarina,
tra pesci, tartarughe e coralli colorati.

Tre ragazzi di venticinque anni di Torino, un ingegnere e due architetti, uniscono le loro competenze ed elaborano un progetto di Water & Sanitation che si realizzerà nell’isola di Nosy Komba

L'isola di Tsarabanjina emerge come un gioiello prezioso

La vegetazione lussureggiante, gli splendidi fondali corallini,
le bellissime spiagge e un clima perfetto praticamente tutto
l’anno fanno di Nosy Be la località più nota e turistica

chi come me si sente in un limbo e fino a quel giorno
non sapeva né da dove veniva e né dove voleva andare

Come mi sono trovato a fare il volontario in Madagascar?

Uno dei migliori ecosistemi del mondo è quello che comprende
le aride foreste del sud del Madagascar

«Conosco tutto il bene che la scuola cattolica fa ai giovani e alle loro famiglie,

Monclick ed Informatici Senza Frontiere hanno il piacere di raccontare
come è stata realizzata la missione benefica a Bemaneviky

 Il Madagascar si trova ad affrontare una triplice sfida: rapido incremento demografico, crescente povertà e instabilità politica. E’ quanto emerge dal rapporto del Fondo delle Nazioni Unite (UNFPA) sullo Stato dell’Ostetricia nel mondo.

 promuove la formazione professionale al lavoro agricolo e di falegnameria

Per qualcuno questo viaggio era un ritorno a Casa,
per altri la ricerca di una nuova prospettiva
Ognuno con le parole e i silenzi ha provato a raccontarsi

Mahanoro è una cittadina tranquilla e silenziosa sulla costa est del Madagascar.
Cittadina povera, si vede dai prodotti al mercato, ma non misera.

In Madagascar, tra villaggi in cui sembra d’essere risucchiati
indietro di secoli, o addirittura millenni, si scopre che la Natura
nutre non solo il corpo, ma anche l’anima.

Viene costruito  il primo liceo. «In principio ho alimentato tutto questo,
con soldi miei: in fondo per pagare un’intera classe bastano 600 euro all’anno».


3 minuti spesi bene....

con Padre Noè




PRIMA LEZIONE
Dopo qualche mese alla facoltà di medicina, il professore ci diede un questionario. Essendo un buon alunno risposi prontamente a tutte le domande fino a quando arrivai all'ultima che era: "Qual è il nome di battesimo della donna delle pulizie della scuola?" Sinceramente mi pareva proprio uno scherzo. Avevo visto quella donna molte volte, era alta, capelli scuri, avrà avuto i suoi cinquant'anni, ma come avrei potuto sapere il suo nome di >battesimo? Consegnai il mio test lasciando questa risposta in bianco e, poco prima che finisse la lezione, un alunno domandò se l'ultima domanda del test avrebbe contato ai fini del voto. "E' chiaro!", rispose il professore. "Nella vostra carriera voi incontrerete molte persone. Hanno tutte il loro grado d'importanza. Esse meritano la vostra attenzione, anche con un semplice sorriso o un semplice ciao". Non dimenticai mai questa lezione ed imparai che il nome di battesimo della nostra donna delle pulizie era Mariana.

SECONDA LEZIONE
In una notte di pioggia c'era una signora di colore, al lato della strada, il temporale era tremendo. La sua auto era in panne ed aveva disperatamente bisogno di aiuto. Completamente inzuppata cominciò a fare segnali alle auto che passavano. Un giovane bianco, come se non conoscesse i conflitti razziali che laceravano gli Stati Uniti negli anni '60, si fermò per aiutarla. Il ragazzo la portò in un luogo protetto, le procurò un meccanico e chiamò un taxi per lei. La donna sembrava avere davvero molta fretta, ma riuscì ad annotarsi l'indirizzo del suo soccorritore e a ringraziarlo. Passati sette giorni, bussarono alla porta del ragazzo. Con sua grande sorpresa era un corriere che gli consegnò un enorme pacco contenente una grande TV a colori, accompagnata da un biglietto che diceva:"Molte grazie per avermi aiutata in quella strada, quella notte. La pioggia aveva inzuppato i miei vestiti come il mio spirito e in quel momento è apparso Lei. Grazie a Lei sono riuscita ad arrivare al capezzale di mio marito moribondo poco prima che se ne andasse. Dio la benedica per avermi aiutato.
Sinceramente, Mrs. King Cole"




TERZA LEZIONE
Qualche tempo fa quando un gelato costava molto meno di oggi, un bambino di dieci anni entrò in un bar e si sedette al tavolino. Una cameriera gli portò un bicchiere d'acqua. "Quanto costa una coppa ?" chiese il bambino. "Cinquanta centesimi" rispose la cameriera. Il bambino prese delle monete dalla tasca e cominciò a contarle. "Bene, quanto costa un gelato semplice?". In quel momento c'erano altre persone che aspettavano e la ragazza cominciava un po' a perdere la pazienza. "35 centesimi!" gli rispose la ragazza in maniera brusca. Il bambino contò le monete ancora una volta e disse: "Allora mi porti un gelato semplice!". La cameriera gli portò il gelato e il conto. Il bambino finì il suo gelato, pagò il conto alla cassa e uscì. Quando la cameriera tornò al tavolo per pulirlo cominciò a piangere perché lì, ad un angolo del piatto, c'erano 15 centesimi di mancia per lei. Il bambino non chiese la coppa per riservare la mancia alla cameriera.

QUARTA LEZIONE
In tempi antichi un re fece collocare una pietra enorme in mezzo ad una strada. Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendeva la briga di togliere la grande roccia in mezzo alla strada.
Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono da lì e si limitarono a girare attorno alla pietra. Alcuni persino protestarono contro il re dicendo che non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò e muovere la pietra da lì. Ad un certo punto passò un campagnolo con un grande carico di verdure sulle spalle; avvicinandosi all'immensa roccia poggiò il carico al lato della strada tentando di rimuovere la roccia. Dopo molta fatica e sudore riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al bordo della strada. Tornò indietro a prendere il suo carico e notò che c'era una piccola borsa nel luogo in cui prima stava la pietra. La borsa conteneva molte monete d'oro e una lettera scritta dal re che diceva che quell'oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada. Il campagnolo imparò quello che molti di noi neanche comprendono: "Tutti gli ostacoli sono un'opportunità per migliorare la nostra condizione".
Se non avete mai provato il pericolo di una battaglia o la solitudine dell'imprigionamento, l'agonia della tortura o i morsi della fame, siete più avanti di 500 milioni di abitanti di questo mondo.
Se potete andare in chiesa senza la paura di essere minacciati, arrestati, torturati o uccisi, siete più fortunati di 3 miliardi di persone di questo mondo.
Se avete cibo nel frigorifero, vestiti addosso, un tetto sopra la testa e un posto per dormire, siete più ricchi del 75% degli abitanti del mondo.
Se avete soldi in banca, nel vostro portafoglio e degli spiccioli da qualche parte in una ciotola, siete fra l'8% delle persone più benestanti al mondo.
Se potete leggere questo messaggio, avete appena ricevuto una doppia benedizione perché qualcuno ha pensato a voi e perché non siete fra i due miliardi di persone che non sanno leggere.
CARI SALUTI P. Noè

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noi vogliamo seguire il suo esempio”.
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Ad Antananarivo, grazie a padre Pedro, è nato un progetto
che garantisce casa e lavoro a più di tremila famiglie.
Un esempio di azione caritativa, anche per il Fondo
Monetario Internazionale

la testimonianza di un carmelitano
Vi riportiamo l’intervista rilasciata da padre Bruno Dall’Acqua

La felicità non è reale se non è condivisa”…
e allora mi fermo e racconto con cura e attenzione 

Per quanto riguarda gli uomini, una divinità buona ha creato gli uomini buoni, mentre una divinità cattiva ha creato gli uomini cattivi. Se un uomo ha un aspetto sgradevole è la prova che una divinità dall’aspetto sgradevole l’ha creato

Indena: la Tecnologia al servizio della Natura



Indena trae il suo nome dalla vocazione principale: “Industria Derivati Naturali”.  
Criteri economici per la gestione sostenibile della biodiversità: conservazione e valorizzazione di piante medicinali del Madagascar


Indena trae il suo nome dalla vocazione principale: “Industria Derivati Naturali”. La società italiana, che vanta una lunga ed importante presenza sui mercati internazionali, è oggi leader nella ricerca e produzione di principi attivi ed ingredienti funzionali di derivazione botanica. Queste materie prime trovano impiego principale nell’industria farmaceutica, ma anche in quella nutrizionale e cosmetica. Oltre alla sede direzionale e produttiva di Milano, la società è presente in tutto il mondo con 5 siti produttivi e 4 filiali, persino in regioni lontane come India e Madagascar.
Tra gli obiettivi prioritari della Ricerca Indena c’è quindi l’identificazione di nuove sostanze attive derivate da piante medicinali o commestibili per applicazioni farmaceutiche, ma anche nutrizionali e cosmetiche.
Nel settore farmaceutico l’obiettivo innovativo è documentare fino a studi clinici di “Fase I” le proprie molecole brevettate, allo scopo di cederle in licenza ad aziende farmaceutiche, che poi si occuperanno dello sviluppo clinico delle stesse al fine di ottenerne la commercializzazione

La caratterizzazione fitochimica dei nuovi prodotti viene realizzata a Settala (MI) presso i Laboratori del Centro Ricerche di Indena dove lavorano circa 70 ricercatori. Lo studio della attività biologica, documentabile fino a studi di Fase Clinica I, viene svolto in collaborazione con circa 40 tra Centri di Ricerca ed Università di tutto il mondo, quali l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, l’Istituto Nazionale Tumori di Milano, l’ Istituto Mario Negri di Milano, il Roswell Park Cancer Institute di Buffalo e la Stony Brook University di New York.

Leucoselecttm Phytosome®

Leucoselecttm Phytosome® è un complesso tra un estratto standardizzato a base di procianidine derivate dai semi d’uva e i fosfolipidi derivati dalla soia, che aumentano la biodisponibilità del composto, ovvero la capacità di assorbimento dell’organismo. Indena rende disponibile l’ingrediente come materia prima, che è poi ceduta a società farmaceutiche o nutrizionali che commercializzano il prodotto con altri marchi. In base alle diverse legislazioni nazionali vigenti, questi prodotti possono essere registrati come farmaci in alcuni paesi o come supplementi nutrizionali in altri.
Criteri economici per la gestione sostenibile della biodiversità: conservazione e valorizzazione di piante medicinali del Madagascar

Descrizione
La ricerca viene svolta nell’area “dell’economia applicata”, con metodologia interdisciplinare che coinvolge competenze di economia dell’ambiente, economia dello sviluppo, economia industriale, geografia economica, biologia, chimica organica e diritto internazionale. Il Madagascar è uno dei paesi più ricchi di biodiversità e l’utilizzo di piante medicinali è tuttora tra le più evidenti espressioni della diversità biologica. La consapevolezza delle proprietà curative delle sostanze vegetali costituisce il fondamento delle medicine tradizionali, evolutesi in società rurali che hanno sviluppato sistemi di conoscenza, e pratiche, integrate con il mondo naturale e con gli equilibri degli ecosistemi. Da sempre oggetto di interesse dell’industria farmaceutica, le piante medicinali e le conoscenze tradizionali ad esse associate hanno assunto negli ultimi anni un rilevante valore scientifico ed economico in conseguenza dei notevoli progressi della genetica. Un secondo obiettivo della ricerca è quello di individuare degli strumenti di politica economica per la gestione sostenibile della biodiversità, con particolare riferimento alla incentivazione degli investimenti pubblici e privati necessari per la valorizzazione commerciale delle piante medicinali e dei rispettivi derivati per un uso farmacologico e cosmetico.

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e la Croce Rossa Malgascia per un programma di cooperazione internazionale
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Abbiamo lavorato molto:
in tre settimane abbiamo trattato un centinaio di persone

Grandi novità qui da noi all’ospedale questo Natale:
i magi ci hanno portato in dono 3 suore trinitarie 

 L’illusione per questi uomini non è solo quella di risentirsi giovani e cool,
ma anche quella di sentirsi ricchi.

un sistema di cure  che possa migliorare la salute dei bambini.



IL MADAGASCAR DI CARLO DE FRANCHIS

di Liliana Mosca

Carlo de Franchis1 è stato il primo ambasciatore italiano del Madagascar indipendente; vi arrivò nel 1961 dalla vicina Rodesia accompagnato dall’archivista Giannetti, unico compagno per un lungo periodo. Soltanto più tardi gli venne, infatti, assegnato un segretario nella persona del dottore Guariglia.
In attesa di trovare una sistemazione rispondente alle esigenze di ufficio e di rappresentanza dell’Ambasciata, de Franchis prese in fitto una stanza all’Hotel Colbert e si rifornì in una delle due cartolerie di Antananarivo del convenzionale corredo di registri, carta da intestare, moduli per i primi rapporti e rendiconti da inviare al Ministero degli Affari Esteri, a Roma, per assolvere così ai suoi compiti istituzionali.
Sin dai primissimi giorni, de Franchis avvertì forte il desiderio di conoscere a fondo il paese nel quale era destinato a muoversi e non passò molto tempo che comprese di esserne stato affascinato e conquistato anche per alcune analogie con certi tratti tipici del suo carattere napoletano, solo sopiti in lui.
Una domenica pomeriggio, libero da impegni di ufficio, uscì per una passeggiata e si incamminò verso la città alta, intenzionato a raggiungere il Rova2. Superato di poco l’incrocio detto “des Quatre-Chemins”3, udì, provenire dalla chiesa di Ambatonakanga, delle note che gli ricordavano, sia pur vagamente, Pianefforte ‘e notte di Salvatore di Giacomo. Attratto, entrò nella chiesa e, avvicinatosi all’organista, si presentò.
L’incontro con Rahamefy, questo era il nome del valente maestro di organo, si rivelò ricco di grande umanità e fondamentale per la sua conoscenza del mondo malgascio. Grazie, infatti, a Rahamefy egli stabilì rapporti cordiali ed affettuosi con alcune famiglie e personalità di rilievo del mondo scientifico ed economico del Madagascar. Molti di loro, con grande generosità, gli misero a disposizione gli archivi familiari, condividendo con lui avvenimenti legati alla storia del paese.
Tra coloro che de Franchis incontrò nei cinque anni di permanenza nel Madagascar ed il cui ricordo è tuttora vivo e luminoso, perché rinnovatosi anche negli anni successivi quando fu chiamato ad altro incarico, figurano le famiglie: Andriamihaingo, Rabenoro, Rabetafika, Radaody-Ralarosy, Raharinosy, Ramaholimihaso, Ramanaindrabe, Ramboa, Ratsimamanga, Razanafimbahiny, Razanatseheno ed altre ancora.
Stabilì inoltre una consuetudine di studio con George Raveloson, che in più occasioni, generosamente, gli fece dono di preziose testimonianze scritte e iconografiche sulla storia del regno del Madagascar. Altrettanto importante per il suo desiderio di conoscere e di avvicinarsi alla cultura malgascia, si rivelò l’amicizia di Jean Valette, genero di Rahamefy e direttore degli Archivi Nazionali Malgasci.
Giorno dopo giorno de Franchis riuscì ad allargare la sua percezione della società malgascia, ad apprezzarne le tradizioni e a comprendere le ragioni profonde del loro rispetto verso il mondo circostante.
Particolare interesse e curiosità destò in lui l’imponente costruzione del palazzo reale, fermo e solitario, con il cancello dell’ingresso del cortile antistante chiuso, il palazzo del Primo Ministro d’un tempo, Rainilayarivony, con le abitazioni intorno degli ufficiali al servizio della deposta monarchia. Come pure il Palazzo di Giustizia con le sue colonne, scolpite o decorate.
Lo incuriosivano le finestre e le bifore, oramai chiuse, degli edifici. Chi vi si era affacciato? Quali sentimenti, emozioni, fervore aveva provato? In che cosa aveva creduto? Chi erano stati i primi, che secoli addietro, avevano intrapreso il lungo viaggio per mare dall’Insulindia e raggiunta la costa malgascia avevano poi proseguito per l’altopiano? Oltre all’idioma, avevano portato con sé i penati domestici ed i riti gravitanti sul culto degli antenati con il rinnovo delle lenzuola funebri alle salme dei congiunti. Usi e riti religiosi ancora rispettati e oggetto di culto nelle campagne come nelle città e sui quali il clero cristiano nazionale quanto straniero non aveva espresso riserve.


Non erano mere fantasticherie le sue, in quel peculiare ambiente storico-antropologico con tutte le sue componenti religiose, politiche e sociali, de Franchis era stato chiamato a svolgere la sua missione e se ne sentiva fortemente sollecitato.
Portato, infatti, a compimento quanto necessario per il corretto funzionamento dell’Ambasciata con l’acquisto, tra l’altro, di uno stabile, si adoperò al massimo perché tra i due paesi andassero sempre più consolidandosi le relazioni politiche e s’incrementassero gli scambi economico-commerciali. In tale senso deve intendersi la particolare cura che prestò nella pubblicazione periodica di quaderni di interesse vario dell’Ambasciata. Significativa a riguardo è la comunicazione “Correspondance diplomatique italienne sur Madagascar, 1882-1887”, che presentò all’Accademia Malgascia il 17 giugno del 1965 e che poi venne pubblicata nel Cahier n. 24.

De Franchis restò nell’Isola Rossa fino al 1966 e vi ritornò in altre due occasioni: la prima con un viaggio organizzato dall’Associazione dell’Amicizia Italo-Malgascia, di cui ha avuto per alcuni anni la presidenza e successivamente nel 1977 per il 75° Anniversario dell’Accademia Malgascia.Oggi, l’Ambasciatore de Franchis, dopo una lunga e felice carriera di diplomatico, vive a Roma, circondato dai ricordi ma è il Madagascar e la sua gente che hanno lasciato in lui il segno più profondo.

prof. Liliana Mosca
Docente di Storia e Istituzioni dei Paesi Afro
Asiatici Dipartimento di Scienze dello Stato
Università degli Studi di Napoli Federico II

1 L’Ambasciatore Carlo de Franchis ha cominciato la sua carriera di diplomatico a Buenos Aires. Successivamente è stato destinato a Newark, Locarno, Mosca, Città del Messico, Salisbury quindi Antananarivo. Dopo il Madagascar è stato Ambasciatore nel Sudan.
2 Il Rova di Antananarivo è un grande spiazzo situato sulla collina più alta della città. Al suo interno si trovavano le residenze reali edificate, a partire dalla fondazione della città, opera del Re Andrianjaka, agli inizi del 1600. Molte delle residenze erano ancora visibili fino a pochi anni fa, quando un incendio, di natura certamente dolosa, scoppiato la sera del 6 novembre 1995, ha ridotto tutto in cenere, fatto salvo la struttu­ra in pietra dell’edificio di Manjakamiadana e parte del Tempio di Palazzo. A puro titolo esemplificativo si rinvia a: V. BELHROSE- HUYGHUES, Un exemple de syncrétisme esthétique au XIXe: Le Rova de Tananarive d’Andrianjaka à Madama Ier, in Omaly sy Anio, 1-2, gennaio-giugno, luglio-dicembre 1975, pp. 173-198; RAZAFY- ANDRIAMIHANGO, Le Rova de Tananarive et le palais de la Reine, Parigi, L’Harmattan, 1989; M. DELAHAIGUE-PEUX, Manjakamiadana (palais de la Reine), Parigi, L’Harmattan, 1996; R: ANDRIANAIVOARIVONY, Naissance de la Cité des Mille, in La Cité des Mille. Antananarivo: histoire, architecture, urbanism e, Antananarivo, Cite-Tsipika, 1998, pp. 11-22.
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Uno dei prodotti più conosciuti del Madagascar è la vaniglia,
che viene ricavata da un’orchidea e si utilizza come aroma.
Poiché ci vogliono minimo due anni per far crescere i baccelli
di vaniglia, questi sono un prodotto piuttosto costoso.

Uno degli itinerari più suggestivi si snoda nella regione
centro-settentrionale, dove si ammirano paesaggi in continua evoluzione

E' il clima tropicale del Madagascar a rendere la sua vaniglia così buona

Questa storia è talmente intrisa di Madagascar,
pregna di ricordi di quegli anni della mia giovinezza

le proibizioni e i limiti che gli uomini si danno è la lista dei tabù dei Vezo

Occhi Belli

Questi brevi pensieri scaturiscono dall’incontro con il gruppo di Padova.
Durante la meditazione sono apparsi occhi limpidi, luminosi, occhi di bambini.
Per avere gli occhi belli, chiari e sinceri, occorre avere il cuore con la stessa frequenza. Occorre che il cuore sia onesto e possa così inviare energia buona, quell’energia che può rigenerare e guarire.
Ma cosa rigenera il cuore così da illuminare lo sguardo?
Può rigenerare l’essenza spesso dimenticata, l’unità spesso disgregata, l’appartenenza.
E devo dire che il cuore può salvare la mente, può sanare i nostri pensieri.
E quando questo accade, si genera come una stasi che é creativa, nel senso che offre la possibilità di usare gli occhi per osservare e vedere.
Per osservare e vedere l’altro come specchio di sé, anche di sé bambino, di sé confuso, di sé impacciato.
E’ quello che mi succede quando guardo i bambini che incontro.
Questi bambini che cominciano a desiderare troppo, forse il superfluo, cose che non avrebbero mai immaginato.
Ed io mi chiedo se questo vada bene, o se invece non sia la ripetizione di cose che poi riprodurranno insoddisfazione, delusione, distacco dall’essenza della vita.
E mi chiedo se la Vita dovrà esprimere questo, dovrà mettere tutti di fronte a esperienze simili, per capire.
O forse sarà possibile evitare qualche seppur piccola delusione?
Ed é giusto?
Occuparsi senza preoccuparsi... questo può essere il problema.
Occuparsi donando ciò  che si é imparato, con l’esempio e l’azione. Occuparsi così da restare accanto, attenti, ed evitare ferite evitabili. Con l’umiltà di potere sbagliare, di potere  fallire.
Questi occhi belli che chiedono di apprendere, di sperimentare, di vivere.
E questi occhi sono ancora puliti.
E soprattutto esprimono la preziosità di ognuno e di tutti.

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Mahanoro è una cittadina tranquilla e silenziosa sulla costa est del Madagascar.
Cittadina povera, si vede dai prodotti al mercato, ma non misera.

Per qualcuno questo viaggio era un ritorno a Casa,
per altri la ricerca di una nuova prospettiva, per
altri ancora curiosità che si mischia ad un sogno
e per gli ultimi pura condivisione.
Ognuno con le parole e i silenzi ha provato a raccontarsi

Questa, per ora, è la mia bella famiglia;

la vigilia andrò ad Ampasimanjeva per festeggiare

il Natale con quelli che lo diventeranno quando finirò le lezioni



Sono malato

Mi si dice: “Non parlare di cose personali nel tuo blog!”. Ma io so che fin dagli anni Settanta circolava lo slogan: “Il personale è politico e il politico è personale”. Cosa intendessero i “compagni” dell’epoca con tale espressione non so, di preciso, ma io la interpreto nel senso che No man is an island, nessun uomo è un’isola, e tutto ciò che può interessare a un singolo essere umano, può interessare anche a una più vasta categoria di suoi simili. Dunque, perché dare per scontato che tre mesi ai tropici non possano avere effetti deleteri sulla salute, per l’occidentale medio? Se tra i miei lettori ce ne dovessero essere alcuni che hanno intenzione di affrontare questa o anche altre mete esotiche, è meglio che siano preparati a tutto. Se si può imparare dagli errori degli altri è meglio, no? Io so perché sono malato. Perché le mie energie si sono gradatamente esaurite. Non ho fatto sport eccessivo, non ho fatto lavori pesanti, ma un fattore decisivo, che mi aggredisce ogni volta che vengo in Madagascar, è lo stress. Mi piace quindi analizzare con voi questo fenomeno, senza avere la pretesa d’essere un rappresentante tipico della nostra razza, ma sui generis, molto sui generis.

 
Anzitutto, per una persona civilizzata, che ha interiorizzato i concetti di igiene, raccolta differenziata, affidabilità nei rapporti interpersonali, essere catapultati nella preistoria è senza dubbio un trauma, che pone un primo tassello allo stress susseguente. Ci si salva solo pensando che a una data precisa la nostra macchina del tempo targata Air France ci riporterà indietro ai tempi nostri.

Il secondo tassello, per noi animalisti, è che ci si trova a vivere in mezzo ai macellai. Ovvero, quel gentile signore vicino di casa, che un momento prima è stato amabile e amichevole, subito dopo torna a casa sua, afferra le anatre e le macella. E voi siete rimasti di qua del fragile recinto ad ascoltare impotenti lo starnazzare delle povere bestie e i successivi colpi di coltello sulle loro carni, fatte a brani su un tagliere. I non animalisti (e anche qui ne circolano) non solo non capiscono, ma nella migliore delle ipotesi si mettono a ridere considerandoci ingenui ed esaltati, mentre nella peggiore s’arrabbiano tirando in ballo i problemi più gravi come la denutrizione infantile, adottando quella tecnica psicologica che comunemente viene chiamata “benaltrismo”. Mentre nelle nostre città sappiamo dove si trovino le macellerie ed evitiamo di prendere quella precisa strada, facendo una deviazione per non passarvi davanti, qui non è possibile, giacché ovunque si posi lo sguardo si vedono condannati a morte in attesa di esecuzione, che attraversano la strada proprio quando passano taxi brousse e camion a tutta velocità, aggiungendo la loro parte di stress al quantitativo generale.
Succede raramente che polli e anatre vengano investiti, ma solo perché polli e anatre hanno un padrone che andrebbe risarcito. I cani, invece, nessuno si cura di non investirli. Non c’è nessun padrone da risarcire. Anche quando l’avevo appena conosciuta, Tina non era molto d’accordo che io dessi pane e latte ai cani vaganti. Oggi che accampa su di me il diritto di stabilire cosa posso fare e cosa no, è molto peggiorata. Non vuole che dia da mangiare ai cani dei vicini, magrissimi, perché dice che potrebbero avvelenare il cane, chiamare i poliziotti per far loro constatare il decesso e accusarmi di averglielo avvelenato. Da lì, all’estorcermi denaro, da spartire poi tra poliziotti e vicini di casa, il passo è breve e automatico. Sembra poca cosa, ma anche vedermi negato l’atto pratico di un minimo di semplice zoofilia, genera una frustrazione che va ad aggiungersi allo stress generale. Anche in questo caso, i non animalisti, fregandosene di tutto e di tutti, salvo poi stracciarsi le vesti per “i bambini che muoiono di fame in Africa”, sono avvantaggiati.
 Il cibo. Parlatone a voce con il paramedico che funge da padre adottivo per Odillon e Sammy, Tina mi ha riferito che secondo lui, per rimettermi in forze, dovrei mangiare pesce. Dopo molte ore mi dice che l’infermiere stava scherzando, cioè mi stava prendendo in giro. Sono stato il più attento possibile ad assumere il giusto quantitativo di vitamine, considerato che le uniche frutta disponibili in questa stagione sono arance, mandarini e banane, oltre agli ananas. Purtroppo, come i cani sono competitori per il cibo per i malgasci, così Odillon, Sammy e Annika sono competitori per la frutta per me. Credete che oggi, che è domenica, ci sia frutta in casa? Non ce n’è perché appena i bambini arrivano Tina s’incarica di metterli a proprio agio con ciò che trova in cucina. Non che la cosa mi dia fastidio, ma oggi sta succedendo con la frutta (mancante) ciò che normalmente mi succede con il credito telefonico. Quando arriva il momento di dover fare una telefonata, non ho più credito perché Tina me l’ha consumato tutto, benché lei abbia il suo cellulare. Dunque, come si può rimediare a questi inconvenienti? Mettendo sotto chiave frutta e telefonino?
Freeanimal

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Incontrando gli amici, al rientro dal mio primo viaggio in Madagascar,
alla domanda cosa ti sei portato dal Madagascar, ho risposto:
“la voglia di tornare”.

Lala e Gianni si sono sposati con il rito malgascio

Dal villaggio si può poi raggiungere la vicina isola di Lokaro, ma anche rimanendo sulla penisola, ci sono belle opportunità per passeggiare, girare in piroga, nuotare e fare un buon snorkeling

Quando Tina me lo indicò, mentre, con un gomito appoggiato
al bancone del bar sorseggiava un Pastis

 L’illusione per questi uomini non è solo quella di risentirsi giovani e cool
ma anche quella di sentirsi ricchi.

di Roberto Duria
Melania e Andrea potrebbero andare a Mangily via mare
con la loro lakana, ma finché non impareranno a manovrare
bene quell’imbarcazione a bilanciere tipica delle coste del Madagascar

Ed io, che ero partito quasi solo per stare con lei, ora mi toccherà tornare,
per dire a Fahali che non sono come la neve, ma che esisto anche in Madagascar



Angady e zebù


In piedi nel campo, una fionda nella mano, un contadino scaccia gli uccelli con colpi precisi e veloci. Uno di loro caccia un urlo e vola via dopo essere stato colpito e il contadino smette un secondo di ridere solo per badare alla pentola di riso che gorgoglia ai suoi piedi.

Si chiama Mami Niriana Rakoto e, come molti altri contadini – e in Madagascar sono contadini otto persone su dieci – vive letteralmente di riso. Ne mangia quasi un chilo al giorno (il 60-70% delle calorie quotidiane) e i suoi guadagni dipendono esclusivamente dal surplus che riesce a vendere. Pianta, coltiva e raccoglie con l’ausilio di un solo attrezzo: l’angady, una vanga fatta a mano. La moglie intreccia cestini per trasportare, insieme ai figli, le piantine di riso per il trapianto. Il loro ettaro e mezzo di terra si trova a un chilometro dalla riserva di Andasibe e, al mattino, Rakoto può sentire i lemuri indiri indiri chiamarsi l’un l’altro, dalle cime ondeggianti dei palissandri.

Quando ha riso da vendere, aggiunge il suo sacco al carro trascinato da un gobbo zebù che il vicino guida fino al mercato di Moramanga. Un altro zebù tira l’aratro nel campo; qui, al contrario di molte altre aree del Madagascar, l’utilizzo dell’attrezzo non è proibito da un complicato sistema di tabù, denominato fady. Nelle aree dove gli aratri sono fady, i contadini fanno semplicemente camminare gli zebù sui campi, con il limitato effetto di areare il fango con gli zoccoli.

La famiglia di Rakoto mangia riso tre volte al giorno: cotto in una zuppa con erbe selvatiche a colazione, condito con peperoncino e sale a pranzo, e, per cena, accompagnato da pollo bollito, uova fritte, lenticchie o foglie di cassava pestate e cotte nell’olio di palma. Si pasteggia normalmente con rano-pangu, l’acqua di cottura del riso, mentre, dopo cena, Rakoto si concede alcuni bicchierini di toka-gasy, una specie di rum dolciastro prodotto in casa (la canna da zucchero cresce in un piccolo campo al limite del suo terreno).

A differenza degli agricoltori, la maggior parte dei malgasci che vivono in città mangiano riso importato. In particolare pakistano, che costa come quello locale (o leggermente di più), ed è più pulito. I locali, infatti, fanno asciugare le spighe sulla terra e usano un mortaio per pilare: il prodotto finale, quindi, spesso ha chicchi rotti e un’alta percentuale di impurità.

Tra le varietà del Madagascar ce n’è una – dal colore rosso scuro – che si vende più facilmente delle altre. Chiamata Varymena nel dialetto locale, è considerata indigena dell’isola. Probabilmente, gli Indonesiani che colonizzarono l'isola nell’anno Mille portarono con sé varietà Japonica bianche della specie Oryza sativa, che si sono poi incrociate con quelle selvatiche e rosse dell'isola. Il risultato è una varietà metà asiatica e metà africana con un gusto ricco e note di nocciola. Ricco di vitamine, secondo le anziane malgasce il Varymena deve essere tenuto da parte per i vecchi, i bambini e i malati.

Rakoto riserva un pezzo del suo terreno al Varymena per la sua famiglia, ma la sua coltivazione è sempre più rara a causa delle rese molto basse (forse legate ai suoi antenati selvatici) e dei prezzi spuntati sul mercato. Quel poco che arriva in città, infatti, viene deprezzato per la lavorazione rustica e imperfetta e vale la metà rispetto al riso bianco importato dal Pakistan.

Tuttavia è stato dimostrato che il Varymena ha le potenzialità per ottenere rese più alte: la combinazione di questa antica varietà con le moderne tecniche agronomiche potrebbe permetterne la coltivazione su scala commerciale. E date le ottime qualità organolettiche, si potrebbe investire in una filiera di qualità, valorizzandolo sul mercato locale e internazionale.
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