mercoledì 10 settembre 2014

E’ successo ancora!

Quando Tina me lo indicò, mentre, con un gomito appoggiato al bancone del bar sorseggiava un Pastis parlando con un altro francese, a me sembrò molto più vecchio dei suoi 58 anni. Tina abbassò la voce dicendomi che si chiamava Benno e nella vita aveva fatto il mercenario, vuoi perché si rendeva conto di parlare di una persona a pochi metri da noi, e che avrebbe potuto capire e non gradire di essere oggetto delle nostre attenzioni, vuoi perché i vazaha che uccidono per mestiere suscitano un certo rispetto nei malgasci, che di solito uccidono quando sono ubriachi e per motivi venali. Fatto sta che anche per me la figura del mercenario, di quelli alla “Beau Geste", per intenderci, richiama alla mente la Legione Straniera e, necessariamente, una vita avventurosa e spericolata. Benno, a cui mi piace attribuire il nome di Jacques, non so perché, non è morto colpito da pallottola o da un colpo di macete, ma annegato nel mare di Anakao il 26 luglio 2011. Ovvero due anni dopo che l’avevo visto io nel bar del Sud Sud. 

Se vogliamo un esempio di come nascono le leggende, considerato che il mercenario Benno, classe 1951, magari non aveva mai ucciso nessuno in vita sua e aveva fatto solo lavoro d’ufficio, bisogna che io racconti le due versioni che circolano sulla sua morte. La prima, che nasce dai pettegolezzi che in Madagascar si chiamano Radio Babaky e di cui i residenti stranieri non sono esenti, mi descrive un Benno che sapeva nuotare benissimo, ma che non ha potuto fronteggiare i sei malgasci che erano caduti in acqua con lui, in seguito al ribaltamento del motoscafo veloce dovuto al vento forte, e che gli si erano aggrappati non sapendo nuotare nella speranza che il vazaha li salvasse da morte certa. E questa versione ci mostra l’eroe occidentale a cui i neri si rivolgono nel momento del bisogno, come avviene con il dottore bianco nella giungla, a cui si portano i feriti e i malati.

L’altra versione è molto più prosaica e ha dell’incredibile nel modo in cui io sono venuto a conoscerla. Stavo infatti facendo colazione nel villaggio, con the e boko boko, quando entra nel chiosco un malgascio che si siede a chiacchierare con il padrone della struttura. Poiché Tina, come tutti i malgasci, attacca discorso anche con gli sconosciuti, pone all’uomo appena entrato qualche domanda sul modo di ritornare a Tulear via mare. Ebbene, salta fuori che l’uomo si chiama Fulgence, è di etnia Vezo, abita ad Anakao ed è l’unico sopravvissuto del naufragio del motoscafo veloce, detto Vedette, in cui persero la vita 13 persone tra cui Benno.
Quando Tina mi ha riferito ciò, ho subito pensato alla legge di Attrazione e per l’ennesima volta ho dovuto constatare che nel momento in cui ho bisogno di qualcosa, quel qualcosa mi si appalesa. Sono anni che mi capita questo e sempre mi stupisco. Chi devo ringraziare per questi privilegi? L’universo? Zanahary? Lasciamo la questione in sospeso, perché penso che rimarrà sempre irrisolta e proseguiamo con la versione fornita dal sopravvissuto.

Fulgence Tovondrany ha recisamente negato che sei malgasci si siano aggrappati a Benno, trascinandolo a fondo, per il semplice motivo che Jacques Benno era ubriaco quando è salito sulla Vedette e lo era ancora quando la Vedette si è ribaltata. Un uomo ubriaco in mare, che sappia o meno nuotare, semplicemente non ha la coordinazione motoria per nuotare con onde alte. Che di 14 passeggeri siano morti tutti tranne il nostro Fulgenzio è una prova che il mare non scherza, quando è arrabbiato. La versione edulcorata probabilmente è nata tra i vazaha francesi residenti, ma io, per rispetto alla verità, devo piegarmi alla testimonianza dell’unico sopravvissuto, il signor Tovondrany Fulgence, che venerdì 22 agosto è venuto a far colazione nello stesso chiosco in cui mi trovavo io, proprio il giorno in cui avevo deciso di raccontare la storia di Benno. Storia che ha un risvolto amaro. In realtà Benno era riuscito a nuotare fino a riva, nonostante la sbornia ma, arrivato sulla battigia senza più forze, non è stato soccorso dai malgasci, che si sono limitati a tastarlo per vedere se aveva denaro addosso. Qualche metro più in là, Fulgente Tovondrany ricevette le cure del caso, fu portato in una capanna, gli furono cambiati gli abiti bagnati e gli fu frizionato il petto fino a farlo rinvenire. Se avessero fatto la stessa cosa con Benno, sarebbe ancora vivo, ma Benno era un vazaha e il razzismo dei neri verso i bianchi ha deciso della sua vita. Benno morì sulla battigia, senza soccorsi.
Come corollario, c’è da dire che tre settimane fa è successo ancora. Con le stesse modalità: un motoscafo veloce, il vento forte improvviso, la Vedette che si ribalta e 10 persone che annegano in mare, compreso un vazaha francese, sua moglie malgascia e il loro guardiano. E’ successo al largo di Antsiranana.
Ma c’è un’altra storia che voglio qui raccontare e che ci mostra un Madagascar in cui la vita e la morte giocano continuamente a rimpiattino, o perché la Natura si arrabbia o perché la natura umana fa anche di peggio. Il risultato è che la gente muore e il furto di bestiame è il modo con cui molta gente muore. L’abigeato come primaria causa di mortalità adulta.
Il 15 agosto scorso, a Beroy, poco a nord di Itampolo, alle otto del mattino, cinque malaso hanno ucciso un allevatore di omby, portandoglieli via tutti. La gente del villaggio si è messa sulle loro tracce, osservando le impronte sulla sabbia. Ne hanno raggiunti tre uccidendoli sul posto, mentre gli altri due sono riusciti a scappare nella boscaglia più profonda, insieme alla piccola mandria che avevano rapito. Il padre di uno dei due banditi uccisi, stando al racconto di Dongary, il gestore del Sud Sud che vediamo qui in foto, voleva andare alla polizia e fare denuncia contro ignoti per l’omicidio del figlio, ma poi ha desistito. Anche Dongary, che è lontano parente del giovane linciato, ha detto che è stato meglio se il vecchio genitore non ha fatto la denuncia perché il giovane ladro di ombyera miola be di carattere, cioè fuori di testa e cattivo. Quindi, è stato meglio se qualcuno l’ha tirato giù dalle spese. Non si sa se gli altri due malaso verranno mai catturati. Va aggiunto inoltre che uno dei tre uccisi è rimasto dieci giorni esposto al sole nella boscaglia perché nessuno della sua famiglia aveva il coraggio di andare a recuperarlo. Temevano la vendetta del figlio dell’allevatore. Il luogo dove giaceva è stato, poi, dato alle fiamme purificatrici. Tina, mentre passavamo nei pressi con il camion brousse per tornare a Tulear, mi ha detto di aver visto volteggiare i corvi sul quel macabro luogo maledetto. Immagine da film western.
Furti di bestiame ce ne saranno sempre in Madagascar perché sono diventati una consuetudine, ma trattandosi di un’attività che può avere risvolti mortali, mi chiedo perché molti giovani decidano di dedicarvisi. Forse qualcuno potrebbe rispondermi con un’altra domanda: perché nel sud Italia molti giovani subiscono il fascino della malavita e si arruolano nella Mafia o nella Camorra? Se mi è lecito supporre che in Madagascar ci sia una forza misteriosa che potremmo chiamare “Cupio dissovi” e che porta tanti giovani a diventare malaso, come se sapessero di andare incontro alla morte, si potrebbe dire la stessa cosa anche dell’Italia?
Ovvero, c’è un desiderio inconscio di morte in molti – chiamiamoli così – giovani guerrieri che scelgono la strada della violenza e dell’illegalità?
Io non posso rispondere a queste domande perché non ho le competenze per farlo, ma siccome nei telegiornali e sulla carta stampata si mostrano spessissimo le foto dei malaso uccisi dalla gente inferocita, non dovrebbero queste immagini fungere da deterrente all’entrata nella confraternita dei malaso? C’è dietro qualche rito d’iniziazione? C’è qualche pulsione di morte che io non riesco a intravedere? Forse un giorno qualcuno, malgascio o vazaha che sia, riuscirà a chiarirmi questo enigma antropologico. 

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