mercoledì 21 novembre 2012

La Povertà


E’ mangiare quando ce n’è e quando non ce n’è bere un po’ di tè e andare a letto, che domani è un altro giorno..dice semplicemente Madame Panette.  E’ trasformare una sgualcita maglia da donna in un vestito con cintura di corda per tua figlia perché non ha vestiti  decenti per andare a scuola…è avere una unica coperta in 3 persone, rattoppata con pezzi di rafia( che non è stoffa …) … è un tetto fatto di brandelli di sacchetti di plastica, è l’abilità di  mangiare il brodo per anni  in un piatto con un buco da un lato tenendolo sempre inclinato al punto giusto… è tagliare la stoffa sulla schiena della propria maglia per fare dei pantaloncini per tuo figlio e poi continuare ad usarla come se niente fosse..è non toccare un telefonino di plastica perché di giocattoli non ne hai mai avuti ed è già bello solo da guardare..è andare a scuola con due ciabatte diverse e sentirsi fortunato perché ” stavolta ne ho trovate una destra e una sinistra….”mi diceva Angelo tutto contento.  E’ forse allevare uccellini e cavallette perché non ci sono bamboline e macchinine? E’ leccare per settimane una carta di caramella trovata a terra convinti di gustare ancora lo zucchero…?
Sì, è povertà … i miei amici sono molto poveri….ma non è questa la miseria o la desolazione.

 Insieme  a  loro  tocco tutti i giorni qualcosa che credo abiti  da sempre nel cuore di tutti : la voglia di essere famiglia. Di scambiarsi attenzioni quotidiane che ti fanno sentire prezioso ..e  se c’è qualcuno con te , se hai qualcuno di cui prenderti cura, se c’è un posto dove ti senti a casa , dove qualcuno aspetta proprio te … anche solo  per darti il tuo  piatto di riso e fare due chiacchiere..non vivi la miseria o la disperazione.  Sei povero, ma riesci a vivere  la consolazione ..Ho visto nascere famiglie bellissime, poco canoniche … ma meravigliose.  Compagni di camera che diventano fratelli, sorelle, madri e figli…
Sarebbe bello poter essere famiglia per quelli che non l’hanno.
E’ quello che tutti cercano per essere felici..è una esigenza  naturale..ed è anche un talento  che Il Signore ci ha dato come uomini e donne!

domenica 18 novembre 2012

L’ultimo saluto a Martial


Un altro avvenimento significativo  degli ultimi tempi, che volevo raccontarvi, è la morte di Martial il ray aman-dreny di Ambokala.  Lo chiamavamo “chef de Region”perché ha lo stesso nome del ricco e prepotente capo della Vatovavy- Fitovinany (la nostra regione) al potere dopo il colpo di stato del 2009.
Ma in comune hanno solo il nome.  Il nostro Martial era un uomo  di età imprecisata (alcuni parlavano di 100 anni…), molto povero, supersolitario, che si era scelto come dimora la baracca più disastrata di Ambokala. Niente porte, né finestre, né pavimento…solo tante e tante pulci. Non ha mai accettato di abitare con nessuno(onestamente  non c’era la fila…) e non abbiamo mai visto nessuno che lo venisse a trovare in questi ultimi anni…Da quando è stata aperta la cantine era diventato un po’ più socievole, se non altro perché nel ritirare il cibo aveva qualche contatto umano ...era il primo a ricevere la sua razione e ringraziava sempre. Ultimamente non camminava quasi più e si appisolava dovunque, anche sotto il sole cocente. Accettava di farsi portare il cibo dai vicini di stanza e di farsi lavare dagli scout e da una sola gardmalade, M.me Paoline .
Quando è morto aveva addosso 6 maglie … tolte quelle sarà pesato 30 kg.  L’abbiamo lavato, rivestito a festa ed avvolto in 2 teli e in due stuoie, come è tradizione quaggiù. Poi è stato deposto in una stanza  mezza scoperchiata, perché le altre erano  tutte piene..è stata accesa una candela  e malati e gardmalades  hanno cominciato i turni di veglia. Non è mancata neanche la  pioggia notturna che batteva sulle  stuoie ... Abbiamo cercato invano i suoi parenti e fatto un annuncio per radio perché si presentasse qualcuno del  suo gruppo etnico (lui è originario del sud di Vangaindrano,molto lontano da qui) per  dirci cosa fare. Purtroppo non c’è stata risposta e allora il terzo giorno noi di Ambokala, i suoi ‘parenti ‘degli ultimi anni, con il prete omonière  abbiamo fatto un piccolo funerale all’ ospedale…qualunque fosse la sua fede…. Le  mie compagne di Manakara, Chiara, Cecilia e Giulia  c’erano tutte. Tanti malati hanno partecipato e sono stati proprio loro: Gy, Pascalin, Arsene, Pascal, Mahasitrà e  gli altri a scavare la fossa. Poi è stato il turno delle donne: hanno creato un sofficissimo letto di foglie su cui è stato adagiato il corpo. ” Martial non ha mai avuto un giacilio così accogliente “pensavo io.
Il  terreno in cui l’abbiamo sepolto è stato donato (da qualcuno molto avanti …)per tutti quei malati che non hanno tanin-drazana su questa terra, cioè che,  una volta morti, nessuno viene prendere : soprattutto tubercolotici, lebbrosi e  malati mentali … Ci sono tanti  mucchietti di terra dentro ad una piccola foresta .Sono tutti anonimi. “Tanto  il Signore li  conosce per nome , meglio di tutti gli altri “…pensavo io.
Alla fine ci sarebbe voluta, secondo la tradizione, toaka gasy per tutti.. ma abbiamo pensato di sostituirla con un buon tè caldo..niente contro la tradizione, ma il rhum non va  d’accordissimo  con i neurolettici ..
Contenta di condividere qualcosa della nostra vita qui con tutti voi.
Vi abbraccio!
Erri

In Madagascar un grande patrimonio di biodiversità tutto da ammirare


In Madagascar possiamo rintracciare un grande patrimonio di biodiversità tutto da ammirare. Non a caso infatti i naturalisti definiscono quest’isola “l’ottavo continente”. Visitando quest’ambiente naturale, ci possiamo rendere conto che ci troviamo di fronte ad una grande varietà di specie sia animali che vegetali, che rappresentano il 5% della totalità delle specie viventi del mondo. Una caratteristica peculiare di queste forme di biodiversità consiste nel fatto che esse possono svilupparsi e vivere soltanto in questo luogo. Un insieme di risorse naturali che suscita stupore. Lo stesso WWF mette in evidenza che nel corso degli ultimi 10 anni in Madagascar sono state scoperte 615 nuove specie viventi. La biodiversità è un valore da tutelare. Basti pensare che, in termini di biodiversità, solo in Italia ci sono 58.000 specie animali a rischio estinzione. Per questo occorre mettere in atto strategie adeguate di tutela ambientale.
In tema di biodiversità l’estinzione a volte può essere più veloce dell’evoluzione. Ma in Madagascar sembra possibile rintracciare una grande ricchezza, dal valore inestimabile: pesci, invertebrati,anfibi, rettilimammiferipiante. È comunque vero che molte di queste specie sono già in pericolo. Si calcola che, per ciò che concerne la biodiversità, esiste un rischio di estinzione per una pianta su cinque.
Gli esperti fanno notare che le principali cause che mettono a rischio la biodiversità sono costituite dalla deforestazione, dalla pesca eccessiva, dal bracconaggio e dall’erosione delle barriere coralline. Un’altra minaccia degli habitat naturali del Madagascar è rappresentata dall’instabilità politica del Paese.

Biodiversità: estinzione più veloce dell’evoluzione
Ancora una volta il mondo deve temere una minaccia. Proprio come era successo con la scomparsa dei dinosauri sulla terra, noi uomini stiamo portando flora e fauna all’estinzione. Prima ancora che esse possano evolversi per abituarsi alle nuove condizioni di vita cui sono sottoposte. L’annuncio è stato dato al Guardian da Simon Stuart, presidente della Species Survival Commission dell’IUCN, l’organismo che monitora ufficialmente le specie minacciate ed estinte. E di lui c’è da fidarsi, dato che si tratta di uno dei maggiori esperti di biodiversità a livello mondiale.
Biodiversità: rischio estinzione per una pianta su cinque
Tutelare la biodiversità significa anche cercare di ridurre il rischio di estinzione per le piante. E a quanto pare questo rischio c’è, almeno per una pianta su cinque. È questa la conclusione a cui è giunto uno studio portato avanti dal Royal Botanic Gardens, Kew, dal Natural History Museum di Londra e dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. Una minaccia che va affrontata in maniera consapevole e mediante la messa in atto delle giuste strategie in nome dellatutela ambientale e dell’ecosistema. Anche perché l’azione dell’uomo è responsabile di questo pericolo.
Quella della tutela ambientale non è una questione che può passare inosservata. La natura ha bisogno di essere protetta dai comportamenti sconsiderati degli uomini, che spesso non tengono conto dei danni ambientali che possono provocare. Gli studiosi hanno esaminato numerose specie di vegetali, raccogliendo su di esse precise informazioni botaniche. Attraverso appositi confronti e analisi hanno potuto delineare un quadro chiaro sul rischio di estinzione che interessa le piante conosciute.
Le piante sono a rischio soprattutto perché stanno perdendo il loro habitat a causa del fatto che l’uomo sta sempre più convertendo gli ambienti naturali in spazi dedicati all’agricoltura e all’allevamento. Le piante più a rischio sono le gimnosperme e quelle che fanno parte dellaforesta pluviale tropicale. Una sostenibilità ambientale delle azioni umane che non sembra sia riuscita in tutto. Non si può non recepire l’appello lanciato dal professor Stephen Hopper, direttore del Royal Botanic Gardens:
Non possiamo stare a guardare le specie vegetali che spariscono. Le piante sono la base di tutta la vita sulla Terra, forniscono aria pulita, acqua, cibo e carburante. Tutta la vita degli animali e uccelli dipende da loro, e così anche noi.
Fonte | Ecologiae

L’Ansa ha accennato a una notizia che non ha avuto eco qui da noi.


In Madagascar - a Fort Dauphin, nel sud-est dell’isola – c’è stato un crudele massacro legato a dei furti. Furti non di denaro ma di zebù. Qui, infatti, lo zebù è la vera ricchezza della gente: una famiglia è tanto più ricca e potente quanti più zebù possiede e in molte tribù si stipulano ancora i matrimoni barattando la donna con l’animale. Tanto più la ragazza è giovane, quanti più zebù occorrono per ‘comprarla’ come sposa, ebbene sì!
Per colpa degli zebù, ieri sono morte centinaia di persone: almeno novanta dahalos – così si chiamano tradizionalmente i ladri di bestiame – sono stati uccisi durante due spedizioni punitive condotte dagli abitanti dei villaggi depredati.

Se la notizia rimbalza indifferente alla maggior parte di noi, risucchiati come siamo da catastrofi socio-economiche ben più clamorose – personalmente mi si stringe il cuore. Non solo per quelle persone semplici e istintivamente pacifiche ma anche per i poveri zebù che, alla fine, sono quelli che faranno la fine peggiore.
“Non si butta via niente dello zebù! E’ come il maiale per voi ...” mi spiegavano i ragazzi malgasci, quando, quest’estate a Nosy Be, m’intenerivo e accarezzavo rapita le gobbe gommose di ogni zebù che mi capitava sotto tiro. Sono animali docili e mansueti: a guardarli negli occhi grandi e acquosi, leccati da lunghe e folte ciglia, mi sembrava di sprofondare in uno stato d’animo umano, grato e compassionevole. Purtroppo, credo d’essere l’unica creatura al mondo che si pone in silente dialogo con uno zebù e che, oltretutto, lo confessa pubblicamente senza vergogna.
La realtà è ben diversa, lo zebù è cibo e ricchezza. Nella capitale, Hellville, c’è persino uno Zeburger, popolare quanto un nostro Burger King o McDonald e mi hanno assicurato che gli hamburger di zebù non hanno nulla da invidiare a quelli di manzo consumati da noi (sempre che di manzo si tratti).

Sarà! Io preferisco pensarla come Montaigne (che amava e rispettava moltissimo tutti gli animali), quando riferendosi alla sua cara gatta, pensava: “Chissà se quando gioco con la mia gatta, non sia lei a giocare con me?”
Ebbene, forse anche gli zebù hanno un linguaggio e sono animati da pensieri, sentimenti, sogni, speranze, paure. Magari si prendono gioco di noi quando ci ammazziamo per un pezzo di carne; certamente soffrono quando vengono sacrificati per i piaceri degli umani; ma forse si commuovono anche, quando qualcuno, amorevolmente, li guarda negli occhi, carezzando con dolcezza le loro gommose gobbe.
Fonte: paolacerana.blogspot.com

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alcuna obbligatorietà nell’effettuare vaccinazioni.

Ad Ampefy l’Ospeale Saint Paul comincia a funzionare

sarò all’ospedale Vezu di Andavadoaka, un piccolo villaggio
di capanne abitato da pescatori, di circa 1.800 persone, nel sud
ovest del Madagascar, sul canale di Mozambico.

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altri con tante altre volte alle spalle.

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Lo hanno costruito i coniugi Alessandro Pasotto

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Al Progetto Ospedale hanno aderito medici e paramedici da tutta Italia, pronti a dare la loro disponibilità e a partecipare a questa impresa come volontari, lavorando gratuitamente.

Protagonista dell'iniziativa è Cinzia Catalfamo Akbaraly, una milanese, bocconiana, dalla vita assai singolare. 

Abbiamo lavorato molto:
in tre settimane abbiamo trattato un centinaio di persone

Grandi novità qui da noi all’ospedale questo Natale:
i magi ci hanno portato in dono 3 suore trinitarie 

Quando il francobollo conviene


“Il vero simbolo, a mio parere, dell’efficienza svizzera è un’automobile strana: colore giallo e guida a destra; la macchina della Posta. Strano vero? Un auto con la guida a destra in un Paese che ha il codice della strada uguale a quello italiano, che prevede la circolazione di auto con la guida a sinistra. Eppure, in Svizzera vedi circolare queste auto della posta di marca tedesca, acquistate dai parchi auto destinati al mercato inglese o dove è previsto il guidatore a destra. Stravaganza…macchè!”. A spiegarne il perché da Zurigo è Massimo Pillera nella sua consueta rubrica curata per Il Fatto Quotidiano di Antonio Padellaro.
“Le macchine della posta elvetica, non perdono un secondo”, si legge nell'articolo che riportiamo di seguito in versione integrale. “Quando ritirano la posta spedita, contenuta negli appositi box collocati per strada, l’autista non deve parcheggiare, aprire lo sportello con il pericolo che un auto lo investa o aspettare che le auto nella carreggiata finiscano. Si ferma, scende dal lato destro direttamente sul marciapiede, scarica il box e fila via senza intoppi perché l’auto è predisposta per questo servizio, con il posto guidatore appunto a destra a favor di marciapiede.


Ma sono auto fatte a posta così? No. Qualche dirigente intelligente ha proposto di comprare quelle previste per altri mercati con la guida a destra. Quelle magari stoccate ed invendute, perché questi mercati sono forse saturi. Che idea! Risparmiare e rendere più efficiente un servizio. La posta in Svizzera è una istituzione più che un servizio. È possibile spedire, da casa, qualsiasi cosa che con certezza matematica arriva il giorno dopo a destinazione alla tale ora. È possibile con 1 solo francobollo fare tutti i pagamenti di utenze, operazioni bancarie, ordini, bonifici, spedendo una semplice lettera. Andare in centro con un bus costa due volte e mezzo l’importo di un francobollo per cui puoi fare tutto da casa. Andare in macchina costa cinque volte di più, tra carburante e parcheggio, mentre puoi fare tutto con una semplice spedizione. Non esistono le raccomandate; o, meglio, esistono, ma nessuno le usa perché con la prioritaria che costa pochi centesimi in più della normale, hai la certezza assoluta che ciò che mandi arrivi. Con la affrancatura normale imbuchi alle 8 di mattina ed arriva il giorno dopo. Con la prioritaria puoi spedire di sera tardi ed arriva a destinazione in mattinata. Questo anche grazie alle strane macchine con guida a destra.
Gli anziani, ma non solo, sono i maggiori fruitori di un servizio che rende meno complicate un po’ tutte le faccende riguardanti pagamenti e spedizioni varie, così come il ricevimento dei pacchi. Anche la spesa puoi farla per posta così come puoi ricevere i medicinali in pacco postale. Ma l’incredibile mi è successo quando una volta in un ristorante non mi funzionò una carta di credito perché smagnetizzata. Il gestore non mi chiese di lavare i piatti, mi chiese solo l’indirizzo di casa. Il giorno dopo mi arrivò il conto con la Posta e rispedii in buca l’importo a spese del gestore. La sera il conto era saldato in un ristorante di Basilea, mentre abitavo a Zurigo. Insomma la posta si muove da decenni in Svizzera in una sorta di rete organizzata talmente bene che resta competitiva ancora oggi alla rete online. E non ha bisogno di antivirus!
Per noi italiani, poi, essa rappresenta, il collegamento con il Paese di provenienza. Quando i nostri connazionali lasciavano mogli (le vedove bianche) e figli giù, anzi come ancora oggi si usa dire in gergo migrante “sotto”, la lettera che arrivava periodicamente era il ponte sentimentale che teneva in piedi la famiglia. Ma questa… è un’altra storia”.                Massimo Pillera (aise)


A piedi nudi nelle favole


Quando avevo quindici anni, l’età di mio figlio oggi, avevo già viaggiato un po’. Conoscevo il sapore dell’esotico e, animata da un’istintiva esterofilia, pensavo che avrei speso tutta la vita a vedere il mondo, tanto mi sembrava più affascinante quello che stava lontano rispetto a ciò che avevo vicino.
Allora, però, non mi rendevo conto di essere un fardello per i miei involontari compagni di viaggio. Un inconsapevole fardello, un’adolescente incompiuta e impreparata alla vita, accollata a lontani parenti che, per senso del dovere o di gratitudine verso i miei genitori (evidentemente disinteressati ai viaggi), accettavano di portarmi con sé durante le loro puntuali esplorazioni transoceaniche. Non erano contrari alla mia presenza, forse, ma di certo indifferenti, visto che non ci univa né un autentico legame affettivo, né una reciproca simpatia, ma solo l’anagrafe. Si partiva col sorriso di circostanza e una pacca sulla spalla ma poi, una volta decollati, ecco che sorgeva un muro invisibile tra loro e me, che si dilatava per tutta la durata del viaggio. L’incomunicabilità tra di noi veniva comunque compensata dalla mia istintiva comunicazione con il ‘diverso’, dalla curiosità per lo ‘sconosciuto’, e le scoperte meravigliose che avrei fatto una volta arrivata a destinazione mi davano sempre un’impagabile soddisfazione.
Scoperte meravigliose ma talvolta, anche, dolorose.
Per esempio, le prime volte, non essendo stata informata che il sole scotta molto ai Tropici, mi bruciavo regolarmente, ostentando tuttavia indifferenza per non sentirmi ancora più ridicola. Oppure, non sapendo che i coralli irritano e che certi insetti non perdonano, mi è capitato di sperimentare ulteriori brucianti sofferenze, anch’esse taciute ma poi lenite da altre dolci carezze della Natura. Scoprire che il plancton la notte brilla come le lucciole, che certi pesci volano a tratti come gli uccelli, che esistono granchi blu grossi come palle da football mi esaltava, amplificando a dismisura il mio stupore per questo mondo tanto vivace.
Insomma, incautamente abbandonata a me stessa, non per volontà ma per umana distrazione, ho imparato a muovermi con disinvoltura lontano da casa, illudendomi così di stare molto meglio altrove. Camminare a piedi nudi su sabbie remote era, per me, come camminare a piedi nudi nelle favole, senza provare nostalgia di tornare indietro, con l’illogica fiducia che la favola successiva sarebbe stata ancor più bella. Così, non mi sono mai sentita spaesata lontano da casa.
Oggi le cose sono molto diverse. Le responsabilità si sono invertite e ho imparato ad amare ciò che mi circonda, scoprendo il valore profondo degli affetti famigliari. Questo aggiunge inevitabilmente una dolorosa nostalgia ad ogni partenza ma anche un’immensa gioia ad ogni ritorno. Mi sono interiormente riappacificata con me stessa e con chi mi ha cresciuto, anzi, sono riconoscente per tutte le esperienze che mi sono state offerte. Ora so che quelle spinte avrebbero rappresentato il mio futuro bene e ora ne faccio tesoro. Dopo tanti anni e tanti viaggi alle spalle (non più condivisi con quei lontani parenti che ripenso col sorriso), parto ogni volta con nuovo entusiasmo e con una ritrovata serenità, consapevole che quelle prime avventure nel mondo sedimentano il mio bagaglio emotivo e caratteriale. Porto spesso con me mio figlio Gabriele, e ad ogni partenza colgo nei suoi occhi quella stessa luce che brilla in me. Anche lui, a quindici anni, ha già conosciuto parecchi aeroporti, spiagge, deserti e giungle e lo rivedo ancora muovere i suoi primi baldanzosi passi, equipaggiato di passaporto, di qualche frase in un primitivo inglese e di tanta curiosità.
E’ tempo d’Africa ora, la culla dell’Umanità. Insieme, lui e io, partiremo presto per una nuova avventura alla scoperta del Madagascar, di una parte almeno, visto che è un’isola molto grande. Sarà, tuttavia, un’esperienza sufficiente per farci assaporare un angolo di mondo a noi ancora sconosciuto, fatto di lemuri, tartarughe, baobab e di gente fiera, dignitosa e accogliente.
Ora, spero che anche quest’ennesimo viaggio convinca mio figlio che la vita è molto più di un comodo tran tran speso nella nostra ovattata quotidianità; che il modo va toccato, respirato e non solo sorseggiato attraverso il filtro della virtualità; che le nostre attuali incertezze economiche e sociali sono serie, è vero, ma che sono nulla rispetto alla realtà di chi poco o nulla ha; e che la gente lontano da noi ha sempre tanto da insegnarci, a partire dallo sguardo, basta imparare a guardare e, soprattutto, ad ascoltare. Perché la voglia di conoscere sconfiggerà sempre la paura di non sapere.
Ma, sopra ogni cosa, io spero che Gabriele trovi in me una vera compagna di viaggio. Un viaggio che durerà il più a lungo possibile e che lui, poi, proseguirà senza di me, sentendosi improvvisamente pronto e forte. In fondo, un po’ egoisticamente, nutro la speranza che mi sia grato un giorno di quest’iniziazione alla vita, con il segreto auspicio che lui abbia sentito in me ciò che, forse, io da piccola non sono riuscita a sentire a sufficienza in nessun adulto: un punto di riferimento chiaro, una guida affettuosa e fedele in cui specchiarsi senza smarrirsi.Buon viaggio Gabri, si parte per una nuova favola
Fonte: paolacerana.blogspot.com

Progetto La Carriere, Madagascar


La  Carrière è un villaggio sviluppatosi in seguito alla lavorazione locale del marmo. Migliaia di persone provenienti dalle campagne circostanti giunsero in questo luogo per lavorare come spaccapietre nelle cave.  Le loro condizioni di vita rimasero però sempre di estrema povertà a causa del diffondersi di malattie infettive e al basso livello di scolarizzazione e alfabetismo.
Con l’arrivo delle Suore di San Giuseppe di Aosta, più di quarant’anni fa, venne avviato un programma di formazione e di educazione collettiva basato sulla creazione di un centro sociale, tutt’oggi fulcro del villaggio, nel quale si svilupparono le seguenti attività e progetti:
 - Educazione primaria per più di seicento bambini
 - Programma di formazione professionale per avviare i ragazzi al  lavoro agricolo e di falegnameria
 - Cooperativa artigianale per la produzione di manufatti di alta qualità destinati ai mercati occidentali
Oggi le Suore di San Giuseppe di Aosta continuano a impegnarsi giornalmente per garantire il miglioramento delle condizioni di vita di questa popolazione accettando con coraggio nuove sfide per rafforzare lo sviluppo locale come, ad esempio, il nuovo programma edilizio. Con questo ultimo progetto, la Congregazione sta garantendo, mediante la costruzione di nuove case, un alloggio per tutte quelle famiglie che hanno raggiunto l’autosufficienza economica: ad oggi, sono state costruite già quaranta unità abitative!
Prospettive e futuro del Progetto:
Dal 2010 L’Associazione Capramagra Onlus è al fianco delle Suore di San Giuseppe di Aosta nella realizzazione del progetto NOUVEL ELAN il quale promuove:
- La realizzazione di una scuola agricola
- Lo sviluppo della coltura di riso e patate
La scuola delle suore di San Giuseppe di Aosta promuove la formazione professionale al lavoro agricolo e di falegnameria.


L’obiettivo di questo percorso formativo è quello di garantire ai futuri capofamiglia una professione certa che permetterà loro di trasferirsi nei nuovi villaggi dove gli verranno assegnati una casa e una terreno da coltivare.
L’Associazione Capramagra Onlus ha deciso di focalizzare i propri sforzi e le proprie attività a  sostegno di questo progetto di educazione e di sviluppo nel Madagascar.

Fonte sito dell’associazione: http://www.capramagra.org/

Olio di palma: quali sono gli effetti sulla salute?




Gentile lettore,
la questione che Lei pone è molto complessa, ma proverò a spiegarla con parole semplici.
L’olio di palma viene da tempo criminalizzato per il suo alto contenuto in acidi grassi saturi (50%) e in particolare di acido palmitico (circa il 47%). Orbene, ciò che è importante sapere è che il nostro organismo ha bisogno di assumere quotidianamente con la dieta quantità moderate di acidi grassi saturi (l’OMS raccomanda di non superare il 7% delle calorie totali che, per una dieta da 2000 k calorie, corrisponde al massimo a 16 grammi). Se però si va oltre questo limite, il colesterolo ematico, in particolare quello cattivo (colesterolo-L DL) tende a salire facendo aumentare il rischio d’insorgenza di malattie cardiovascolari. La situazione diventa ancora più grave se si eccede anche nel consumo di colesterolo (che è presente soltanto nei prodotti animali). Chi segue una dieta variata ed equilibrata, tendenzialmente vegetariana e con un giusto apporto di acidi grassi omega-6 e omega-3, non ha motivo di temere l’azione deleteria degli acidi grassi saturi. La deve invece temere chi eccede nel consumo di prodotti animali, perché alimenti come carne, uova, burro, lardo, sono molto ricchi di acidi grassi saturi, oltre che di colesterolo.


Frutti di palma da olio tagliati in modo da mostrare sia la polpa, sia il nocciolo (palmisti o palmisto). 

Fatta questa doverosa premessa, torniamo all’olio di palma. Lo si trova per lo più nei prodotti da forno (merendine, biscotti, cracker, fette biscottate, ecc.) e nella margarina. Se per fare colazione, si consumassero 40 grammi di biscotti contenenti il 16% di olio di palma (e quindi l’8% di acidi grassi saturi), s’ingerirebbero circa 3 grammi di acidi grassi saturi, una quantità che è di gran lunga inferiore a quella massima raccomandata dall’OMS. Per la margarina, anche se tutto il grasso fosse olio di palma, chi ne consumasse una porzione di 10 grammi, potrebbe ingerire al massimo 4 grammi di acidi grassi saturi. Quindi, anche in questo caso una quantità piccola rispetto a quella massima raccomandata. La conclusione è che un consumo moderato di prodotti contenenti olio di palma, specialmente se non si abusa di alimenti animali, non è affatto deleterio per la salute.


“All Natural Pure Palm Oil” si legge sull’etichetta. Non è salsa di pomodoro: il colore intenso tradisce l’altissima percentuale di antiossidanti e vitamin

A me pare che la presunta nocività dell’olio di palma sia una pagliuzza rispetto alla trave rappresentata dalla nocività dei grassi contenuti nei prodotti animali. Pensi che una porzione di 40 grammi di formaggio stagionato o una di 50 grammi di insaccati possono arrivare a contenere 10 grammi di acidi grassi saturi. Basta combinarli in un piatto per toccare la soglia che l’OMS raccomanda di non varcare. Senza contare l’apporto di colesterolo di questa combinazione.
Sperando di averle fornito informazioni utili la saluto cordialmente. dott. Matteo Giannattasio”

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ecco i cibi e le bevande tipiche del Madagascar
Solitamente si mangia carne di zebù, di pollo, di maiale, crostacei e pesce,
quest’ultimo ottimo affumicato.

Si vola in Madagascar con un pollo all’aglio
e zenzero e gnocchi alla vaniglia

I colori e i profumi del Madagascar sono un’esperienza unica.

E' il clima tropicale del Madagascar a rendere la sua vaniglia così buona.

Incontrando gli amici, al rientro dal mio primo viaggio in Madagascar,
alla domanda cosa ti sei portato dal Madagascar, ho risposto:
“la voglia di tornare”.

Il Madagascar non prevede, per i viaggiatori provenienti dall’Europa,
alcuna obbligatorietà nell’effettuare vaccinazioni.

Arnaldo Cavallari sarà chiamato a formare ed educare
“La nostra filosofia - ha spiegato - non è quella di mandare
un po’ di soldi di carità e che, poi, a distanza di decenni non
ha risolto nessun problema e forse la povertà è aumentata.
La nostra idea è quella di aiutare quelle popolazioni ad essere
autonome aiutandole nella produzione dei beni, a cominciare
da quelli alimentari

Le monache coltivano un’alga per realizzare un integratore

Definire il Madagascar un paese povero è veramente paradossale
in quanto il sottosuolo è ricco di giacimenti


In Madagascar ha trovato un ampio appartamento con giardino
e si puo’ permettere di pagare due cameriere e un giardiniere che gli sistema le aiuole

Il Madagascar, paese ancora poco esplorato dagli esportatori
italiani ma con interessanti possibilità di sviluppo per le imprese pioniere

Questi contadini, hanno scelto di coltivare sui propri campi solo grani antichi,
non modificati e praticano un'agricoltura completamente priva di sostanze chimiche.

In Madagascar, un progetto per salvare il prezioso invertebrato
dalla pesca eccessiva e sostentare le popolazioni locali

Condotta in Madagascar, dove il picacismo è diffuso,
la ricerca è la prima a individuare una popolazione in

cui questa pratica è altamente diffusa tra gli uomini,

lunedì 5 novembre 2012

Il matrimonio in Madagascar

L'intervista



Il Castello "Cagliari"
Sono arrivata a Cagliari il 13 aprile del 2009, dopo un lungo viaggio, che non finiva mai. Ad accoglierci in aeroporto abbiamo trovato il figlio di Gianni, Mauro  con la moglie Carmen e i figli Edoardo e Riccardo, che mi hanno fatto omaggio di un bellissimo mazzo di fiori.






 Mi chiamo Lalarisoa Madeleine sono nata a Tulear da una famiglia numerosa e sono la quarta figlia, dopo di me papà e mamma hanno avuto altri quattro figli.
Papà lavorava in Banca, alla BNI Madagascar, e come capita spesso in questo enorme paese, io fui mandata a vivere dalla nonna paterna, e con questa meravigliosa nonna che si chiamava Aliresta Rebamo Julien, ho vissuto per circa 17 anni, non a Tulear, ma a Ankililoaka prima e a Ankiliambo dopo.
In Madagascar i figli maschi prendono il nome del padre, mentre le donne prendono il nome della madre. Infatti mia madre, che oggi ha 70 anni si chiama Antonietta Madeleine
Alla morte della nonna sono tornata a vivere con la mia famiglia a Tulear.

Il  lavoro

Quando avevo circa 22 anni, ho voluto intraprendere una attività commerciale, e con l’aiuto finanziario di mio padre misi su un emporio che ho chiamato “EPI-Bar” di Lalarisoa Ankilimalinike.

Il cotone

Siccome l’attività andava molto bene comprai dei terreni per coltivare il cotone.
Sono stati degli anni molto faticosi e di grandi sacrifici, ma erano ricompensati dai grandi utili che ne traevo.

Il tutto filava liscio come l’olio, anzi troppo, finché un giorno, un triste giorno, la società che lavorava il cotone, la Hasyma, ha chiuso i battenti. Quindi il mio lavoro ha subito un momento di arresto, perché non avevo più i compratori del cotone che producevo.

E allora...

Allora decisi di andare ad Antananarivo da una mia cugina che si chiama Vicky e che è la proprietaria di numerose boutique di abbigliamento femminile sparse in tutto il Madagascar con il nome “Kokoloko”.




La Kokoloko ha la sede ad Antananarivo, dove c’è anche il laboratorio sartoriale e preparano le varie collezioni per poi mandarle alle varie boutique sparse in tutto il Madagascar.
Rimasi con mia cugina Vicky per circa cinque mesi.

Nuovo lavoro

Mia cugina intanto  aveva in costruzione un bellissimo albergo a Nosy Be e i lavori andavano molto a rilento, e mi ha proposto di andare a Nosy Be quale responsabile dei lavori e cercare di accelerare la costruzione dell’albergo. Infatti dopo il mio arrivo, in appena tre mesi sono riuscita a portare a termine i lavori.


Fatale incontro
Terminati i lavori ero in procinto di rientrare ad Antananarivo, quando ho incontrato Gianni. Siamo rimasti assieme per 15 giorni, poi lui è dovuto rientrare perché gli scadeva il visto di soggiorno.
E poi.......
Gianni mi telefonava tutti i giorni, ma ci capivamo poco perché io non parlavo italiano e Gianni non parlava ne francese ne malgascio.
E allora............
Trovai a Hell Ville un giovane che era andato in Italia a studiare per fare il sacerdote, ma era tornato in Madagascar, essendosi ammalato. Con lui ho cominciato a studiare l'italiano e quando nel novembre 2008 Gianni è ritornato, abbiamo parlato molto, perché io avevo nel mentre appreso la lingua italiana. Passammo assieme anche il Capodanno e decidemmo che a marzo ci saremmo sposati.
L'arrivo a Tulear
Quando Gianni arrivo' a Tulear per sposarmi, venne accolto con una grande festa da tutti quanti i miei parenti, è stato come se arrivasse una persona famosa e molto importante, e ci siamo messi in moto per organizzare il matrimonio secondo le usanze malgasce e la cosa venne accettata molto volentieri da Gianni.
E cosa avete fatto
Una mattina molto presto con mio fratello Antoine, la zia Luisette e Gianni abbiamo comprato un bello zebù che è stato affidato a due ragazzi per portarlo a casa di mio fratello Anselma, che dista da Tulear circa 70 Km, due giorni dopo con una autovettura privata abbiamo raggiunto la località di Ankililoaka.

Il matrimonio malgascio
Attorniati da parenti ed amici, abbiamo offerto birra agli uomini e aranciata alle donne e gli anziani hanno raccontato storie e aneddoti di quella località. Gianni, non conoscendo il malgascio, non capiva niente, ma io gli traducevo quello che dicevano.
Nel mentre veniva sacrificato lo zebù, e a tutti i presenti venne offerto del riso con la carne di zebù e tutti si complimentavano per il matrimonio. Per il rito malgascio io e Gianni eravamo già sposati.
Il vero matrimonio
Il vero matrimonio si fece il 13 marzo del 2009 alle ore 16 presso il comune di Tulear davanti alla Signora Sindaco, contenta di unire in matrimonio una malgascia e un un italiano, cosa che non capita spesso.
Per tutti i partecipanti c'è stato un rinfresco e in un bellissimo locale poi una cena e abbiamo ballato fino a tarda notte.
Gianni lavora?
Gianni è un profumiere, infatti ha una elegante profumeria al centro di Cagliari che si chiama”Profumerie For You”, ma oggi fa il pensionato in quanto ha ceduto la gestione della profumeria ai figli.
Come trovi l’Italia
Mi piace tanto Cagliari, sia per il clima che è abbastanza mite, sia per la gente che è molto cordiale.
Trovo l’Italia bellissima per i suoi monumenti e per la storia, a parte che l’isola della  Sardegna ha un mare incantevole, ed è la meta di personaggi molto ricchi del mondo del jet set.

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