Di Vito Pedrazzi
Solo dopo
che l’aereo si è alzato in volo e vedo Bologna sempre più piccola realizzo
pienamente che dopo 15 ore di volo e 8 di jeep, passando per Parigi, Tanà (Antananarivo)
e Tulear, sarò all’ospedale Vezu di Andavadoaka, un piccolo villaggio di
capanne abitato da pescatori, di circa 1.800 persone, nel sud ovest del
Madagascar, sul canale di Mozambico.
Il
paesaggio dell’altopiano centrale dove si estende la capitale assomiglia per
molti versi alle grandi città orientali per caos, moltitudine di persone e
ricchezza di colori. Tanà si distingue per la diversità del centro storico
arrampicato su tredici colli. In alcuni angoli delle strade, nei negozi, nella
tipologia delle abitazioni è riconoscibile l’influenza francese che per il
viaggiatore si sintetizza al Cafe de la Gare, ristorante bistrò, angolo di
antica bellezza estetica, culinaria e architettonica, dove la multi-etnicità è
la consuetudine e i molti giovani che si incontrano incarnano lo spirito nuovo
della capitale.
Nella
periferia di Tanà spiccano i rettangoli verdissimi delle coltivazioni di riso,
molto diversa da Tulear, nel sud del Madagascar, sul tropico del Capricorno.
Una piccola cittadina in grande sviluppo, abitata da malgasci di etnia Vezu, dove
il sorriso delle persone ti avvolge come il suo caldo soffocante. Da queste
parti del Madagascar,
non volano
solo gli uccelli e gli angeli, ma iniziano a volare anche i sogni.
È mattina
presto quando partiamo da Tulear verso l’ospedale Vezu di Andavadoaka
lasciandoci alle spalle una cittadina ancora intenta al risveglio. Ci attendono
otto ore di jeep su una pista in molti tratti battuta, ove il rischio di
insabbiarsi è dietro ogni curva, ma dove il cuore non va mai fuori strada
perché le difficoltà del viaggio sono
ampiamente
mitigate da scorci di panorama sul mare e passaggi nella foresta che ti
lasciano senza respiro.
In questo
percorso la sensazione più forte è data dagli innumerevoli incontri con i
monoliti viventi del Madagascar, i baobab. Questi alberi millenari, imponenti
in tutta la loro magnificenza, sono la vera ricchezza ed essenza del paese. In
un piccolo villaggio vicino a Morombè ho visto un baobab con una circonferenza
di più di trenta
metri e,
dicono, più di tremila anni, nato ai tempi dello sviluppo della civiltà egizia
(regno di Ramses III) e di quella cinese (dinastia Chou).
Lungo il
tragitto, piccoli paesi di pescatori dove le case non sono muri stretti attorno
alle persone, ma semplici capanne davanti a un mare turchese e a dune bianche
che si stagliano nello sfondo argentato degli alberi. Tutto questo è solo un
piccolo assaggio di quanto ci attende al nostro arrivo ad Andavadoaka e
Ampasilava.
Una sosta
a metà percorso non è obbligatoria ma serve a corroborare il fisico, a
sgranchirsi le articolazioni e iniziare a lasciarsi andare al respiro del mare.
L’arrivo
all’ospedale Vezu è sempre un’emozione fortissima. Roman, vigile guardiano,
apre il cancello con il suo raggiante sorriso, i volti conosciuti di Sandro,
Rosi, Manuela ed Ernesto, e quelli sconosciuti dei volontari medici, infermieri
e civili che collaborano al buon andamento dell’ospedale creano quella
sensazione di incognita
che è
subito cancellata dai baci, dagli abbracci e dalle strette di mano.
L’Ospedale
Vezu. Una struttura sanitaria gratuita per 200 mila abitanti della zona Vezu,
il nome dell’ospedale, trae origine dall'etnia che vive in quella zona, una
delle 18 dell'isola, pescatori nomadi insediati nel sud ovest del Madagascar,
sul canale di Mozambico.
Mi piace
pensare che l'ospedale abbia due genitori putativi. Il villaggio di Ampasilava,
dove è nato il primo ambulatorio nel 2004, e quello di Andavadoaka, dove è
stato identificato il luogo più adatto per costruire l’ospedale e dove i lavori
sono terminati nel 2008. Poi ci sono i due genitori naturali, Sandro e Rosi,
che con tanto impegno,
fin
dall'inizio, hanno ‘partorito’, seguito e realizzato questo progetto.
L’ospedale,
unico nel suo genere, è inserito nel sistema della sanità malgascia, ma a
differenza di essa è completamente gratuito. Copre un territorio di circa 200
Km. E i villaggi di riferimento sono circa 180 con una popolazione di circa
200.000 abitanti.
Gli
elementi che permettono a questa struttura sanitaria di essere così attiva ed
efficiente sono diversi. I volontari provenienti da Bologna e da tutta Italia,
medici, infermieri, civili, che attraverso una programmazione annuale e semestrale,
prestano la loro opera gratuitamente; le donazioni in denaro, in mezzi e
strumenti biomedicali; le cene di sovvenzione che periodicamente vengono organizzate
dall'Associazione "Amici di Ampasilava".
L’ospedale
è strutturato con tre ambulatori, attrezzati anche per attività di
odonto-stomatologia e oculistica, un laboratorio, una radiologia, una sala
operatoria polifunzionale e due ampie camere di degenza, per un totale di otto
letti. È attivo non solo di giorno ma, essendo l'unico di quel territorio,
copre turni di guardia notturna
per le
urgenze di pazienti che possono giungere a piedi, aiutati e sorretti dai famigliari
o con il carretto trainato da zebù.
Le
attività sanitarie sono supportate da tre interpreti locali che conoscono la
lingua malgascia, il francese e l’italiano, e facilitano la relazione tra
infermieri, medici, volontari e la popolazione locale assistita.
Le
attività di supporto relative al funzionamento complessivo dell’ospedale
vengono effettuate da persone del luogo che si occupano della manutenzione
ordinaria e straordinaria. Muratori, carpentieri, fabbri, falegnami,
giardinieri, inservienti che svolgono attività di pulizia, sanificazione degli
ambienti, lavanderia, stireria ed infine cucina e dispensa.
L'alimentazione
elettrica è fornita da un generatore a gasolio che, per gli elevati costi, è in
funzione solo quando l'ospedale è attivo.
Per il tempo
restante l’energia è procurata da un piccolo impianto fotovoltaico che permette
l'attività ordinaria della "Corte dei gechi", la costruzione
adiacente all'ospedale dove risiedono i volontari.
L’acqua è
prelevata da un pozzo in prossimità della struttura sanitaria e distribuita sia
all’ospedale sia alla residenza dei volontari, dopo essere stata filtrata e
purificata.
Recentemente
tutta l’attività ambulatoriale, di sala operatoria e di degenza è stata
informatizzata e tutti i dati delle attività sanitarie svolte sono contenuti in
un server che permette l’estrazione e l’elaborazione delle informazioni
raccolte.
Oggi,
quindi, le attività sanitarie svolte presso l’ospedale sono il frutto di
un’attenta analisi dei bisogni, individuati direttamente dagli operatori e
dalle richieste esplicite della popolazione, unita a un’approfondita ricerca
svolta in Italia sulle disponibilità dei volontari, rispetto alle loro specifiche
professionalità. Il tutto si concretizza nella definizione di una agenda di
programmazione di intervento semestrale o annuale che definisce le attività dell’ospedale,
a cui la popolazione fa riferimento per usufruire delle cure necessarie. Per
sostenere l’attività sanitaria erogata gratuitamente ad
Andavadoaka,
l’associazione svolge periodicamente alcuni incontri, in Italia (mediamente due
o tre al mese) per informare, orientare, istruire e organizzare i volontari in
partenza.
All’arrivo
all’ospedale Vezu, dopo un’attenta programmazione, con i
miei
colleghi volontari stabiliamo che la mia attività nelle prime due
settimane,
assieme a Tessa e a Francesca, sia dedicata all'ambulatorio. Qui viene effettuato
un primo inquadramento dei pazienti con la rilevazione dei parametri vitali, la
visione attenta della cute e delle mucose, l’auscultazione del respiro e del
battito cardiaco, la valutazione della postura e dello sguardo, oltre a medicazioni,
iniezioni intramuscolari e iniezioni endovenose.
Oltre
all’attività infermieristica vengono effettuate attività di laboratorio per la
ricerca dei principali batteri, mediante l’utilizzo di un microscopio, su
campioni di sangue, feci, urine ed escreato.
Poi, ci
sono le attività amministrative, che prevedono l’inserimento dei dati in
computer e, infine, la sistemazione e il riassetto degli ambienti.
Terminata
l'attività ambulatoriale, sempre che non si sia di guardia
dopo
pranzo, è consuetudine un giro al villaggio, distante alcune centinaia di
metri, come pure dedicarsi ad un bagno di sole o alle immersioni.
Il
contesto in cui è inserito l'ospedale è splendido da un punto di vista
naturalistico, la foresta spinosa con i suoi baobab, i lemuri e le tante specie
di uccelli, il mare con la sua barriera corallina che contiene una moltitudine
di pesci esotici. Nel mese di giugno, poco al largo di Andavadoaka, si possono
incrociare le balene che, nel loro
migrare
con i piccoli dal Polo Sud ai punti più caldi e pescosi dell’Oceano Indiano,
attraversano il canale di Mozambico. Ma ciò che caratterizza il Madagascar è lo
spettacolo di ciò che nelle società sviluppate occidentali ormai nessuno vede
più, perché viene nascosto da una frenesia che oscura i sensi. Le albe sono
caratterizzate da esplosioni di giallo dove il sole in pochi minuti diventa
protagonista della vita, albe dove puoi vedere un carretto trainato da zebù contornato
da una famiglia malgascia che avanza lento, immerso nel giardino dell'eden e
solo il silenzio fa rumore, a volte, sovrastato dal canto degli uccelli. I
tramonti, dove il rosso infuocato dona emozioni ancestrali e il sole,
tuffandosi in un mare turchese, fa diventare protagonista la notte, una notte
che è piena di luce perché la luna e la via lattea illuminano anche i colori e
l'invito della sera all'oscurità non riesce a venire, una notte dove non esiste
la
guerra del
rumore, ma la guerra del silenzio.
Dopo
Natale con l'arrivo di Francesco, il chirurgo oculista, iniziano le ultime due
settimane. La sala operatoria diventa la mia nuova destinazione e assieme a
Tessa si inizia l’attività. I pazienti, avvisati per tempo del suo arrivo, alle
prime luci dell'alba si
presentano
in ambulatorio.
I
principali interventi eseguiti sono stati cataratte, calazi, asportazioni di
neoplasie. L'attività di sala operatoria spesso si prolunga fino al tardo
pomeriggio perché la prima parte della mattinata è dedicata alla visita e
all'inquadramento dell'intervento.
A volte un
mese sembra un tempo infinito, in questo caso un mese è passato in un baleno.
Credo che l’attività di volontariato si possa svolgere in ogni luogo dove vi
sia necessità di attività di aiuto e di sostegno, sotto casa o nei luoghi più remoti
della terra. Nel mio caso l’incontro con l’associazione amici di Ampasilava è
stata del tutto
casuale,
ad una cena di beneficenza. Questo mio atteggiamento di solidarietà e di sforzo
attivo è stato ampiamente ricambiato dai sorrisi e dal riconoscimento delle
persone assistite.
Nel
viaggio di ritorno mi viene da pensare che il Madagascar sia uno di quei luoghi
dove più ti allontani e più sai in quale sogno vuoi ritornare.
Un grazie
a tutte le persone malgascie incontrate, gente dignitosa e semplice che non
nega mai un sorriso, anche quando le condizioni di vita sono veramente
difficili.
Un grazie
a tutti, tutti quelli che mi hanno permesso di ritornare alle origini della mia
professione, la più bella del mondo, l’infermiere.
Vito
Pedrazzi è responsabile SATeR del Dipartimento Igienico
Organizzativo
dell’Ospedale
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