giovedì 19 settembre 2013

Il biodiesel dei missionari

“progetto Jatropha Madagascar “
«Produrre l’energia elettrica in giardino».
La storia della coltivazione della Jatropha in Madagascar è cominciata alcuni anni fa e questo articolo che segue ne è una testimonianza. Solo che il lavoro svolto dalla Missione dei Frati Minori Cappuccini è stato molto approssimativo e l’arrivo di Fabio Tinti in Madagascar è stato determinante per portare a termine un progetto della Delta Petroli Italiana.
Ho avuto uno scambio di corrispondenza con Fabio Tinti e l’ho incontrato personalmente quando è arrivato in Madagascar per constatare lo stato del progetto che era stato affidato ai Frati Minori Cappuccini.
Dopo quell’incontro un dirigente dell’AIM (Associazione Italiani in Madagascar) ha preso a cuore il progetto di Fabio Tinti ed è riuscito a completare l’iter burocratico ed ha ottenuto tutte le autorizzazioni per iniziare la coltivazione della Jatropha in Madagascar.




Il biodiesel dei missionari

L’energia verde cresce nei paesi poveri e a promuoverla sono i missionari e le missionarie. Parecchie missioni e villaggi, infatti, coltivano già la Jatropha Curcas: una pianta robustissima i cui semi, spremuti a freddo, producono un olio combustibile che non fa fumo né anidride carbonica. E anche l’industria chimica comincia a fiutare l’affare. Il Progetto Jatropha Madagascar è un progetto già operativo in fase di completamento per la produzione di semi oleosi (non alimentari) con proprietà energetiche per la cogenerazione e la produzione di biodiesel. Il progetto è realizzato dalla Delta Petroli (divisione energia da fonti rinnovabili) in partnership con la Missione dei Frati Minori Cappuccini della Provincia del Madagascar.  La Delta Petroli ha investito sul progetto Jatropha Madagascar sulla base della condivisione del principio di una  impresa etica che sta nascendo in Madagascar grazie all’azione dei Frati Cappuccini. Il progetto permette di affrontare il tema della lotta alla povertà con l’aiuto alle opere sociali portate avanti dal lavoro dei missionari; aiutare i paesi  poveri a produrre energia con tecnologie da fonti rinnovabili; aiutare i paesi europei a produrre fonti rinnovabili senza speculazione sui prodotti di origine alimentare. Soprattutto il progetto Jatropha Madagascar permette di riforestare  un’area di 30.000 ettari dove c’era una foresta tropicale pesantemente distrutta.
Le sorelle Vincenziane a Minga, un villaggio nella foresta tropicale della Tanzania del Sud, a pochi chilometri dal confine con il Mozambico, raccontano con semplicità di «produrre l’energia elettrica in giardino». I Padri missionari in Guinea Bissau la coltivano da anni. I Frati Cappuccini Minori hanno avviato in Madagascar un progetto con la Delta Petroli. I missionari dell’Aefjn (Africa Europe faith and justice network), una rete di 43 congregazioni religiose maschili e femminili presenti in Europa e in Africa, l’hanno piantata in Togo, Ghana, Senegal, Mali, Costa d’Avorio e Niger: stiamo parlando della Jatropha Curcas grazie alla quale tantissime missioni e villaggi dei Paesi in via di sviluppo si sono resi autosufficienti dal punto di vista energetico.
«Tre semi per la green economy»: uno slogan efficace se riferito a questa pianta originaria dei Caraibi e appartenente alla famiglia delle Euforbiacee. Traghettata nelle colonie in tutto il mondo dai marinai portoghesi da cui veniva usata per costruire recinzioni a protezione di orti e giardini e, addirittura, per recintare tombe e cimiteri, solo di recente ne sono state scoperte le preziose e molteplici qualità. Ogni frutto contiene tre semi che, dopo la semplice spremitura a freddo, producono un olio combustibile che – quando brucia – non produce fumo ed ha un impatto zero in termini di emissioni di anidride carbonica.
Può essere coltivata in condizioni di scarsa piovosità, sopravvive anche a due anni di siccità e vive in ogni tipo di terreno, persino nelle zone in prossimità del deserto dove non si riesce a coltivare altro. È quindi accessibile anche nelle zone rurali più povere e, a differenza della maggior parte delle altre piante che producono semi oleosi (grano, mais, soia, eccetera), non è commestibile, né per gli uomini né per gli animali. I residui dei semi spremuti sono un ottimo fertilizzante e le sue radici proteggono il terreno e con l’olio si fabbricano saponi. Ha una vita media tra i 40 e i 50 anni.
Può esser piantata in posizione ravvicinata con una maggior resa: un ettaro coltivato a Jatropha può produrre fino a 1900 litri di olio combustibile, quasi quattro volte più della soia e dieci volte rispetto al mais. Infine sul suo fusto si arrampica come pianta parassita la vaniglia: un connubio che potrebbe rivelarsi ulteriore fonte di guadagno. Non è un caso che questa pianta abbia destato anche l’interesse di molte nazioni, come l’India, che l’ha inclusa nel piano per l’indipendenza energetica entro il 2012: nel solo Stato del Chhattisgarh ne verranno piantate 160 milioni di esemplari. Ma anche il mondo delle industrie ne sta facendo oggetto di ricerca e di sviluppo: la società finlandese Wärtsilä ha dato avvio alla prima centrale elettrica a biocarburante a Merksplats in Belgio.
Nata da una joint venture con la Thenergo, società belga di progetti di energia sostenibile e le aziende agricole locali, sarà una centrale da 9 Megawatt per un costo di 7 milioni di euro. «Inizialmente – ha detto Ronald Westerdijk, responsabile dello sviluppo della Wartsila – l’impianto produrrà energia elettrica per 20.000 abitazioni mentre il calore prodotto verrà utilizzato da agricoltori locali per riscaldare le serre ed in particolari processi di asciugatura di fertilizzanti».
In Sardegna il gruppo internazionale Icq ha presentato un progetto per trasformare e riavviare la centrale elettrica della ex cartiera di Arbatax utilizzando l’olio vegetale a basso tasso di inquinamento ricavato dalla Jatropha, che già coltiva in Benin e Brasile su una superficie di mezzo milione di ettari. In provincia di Ascoli Piceno la Jatropha Curcas verrà utilizzata per un’altra centrale: la società impiantistica Troiani e Ciarocchi di Monteprandone ha stipulato un accordo con il governo del Madagascar per la coltivazione di 100.000 ettari a Jatropha.
L’investimento ammonta a 5 milioni di euro grazie ai quali si prevede di poter ricavare 300.000 tonnellate di olio vegetale. «L’obiettivo – spiegano i titolari dell’azienda – è quello di poter favorire entro due o tre anni la costruzione nel territorio ascolano di tante centrali elettriche di piccole dimensioni, alimentate proprio con quest’olio».

Gli espedienti di chi è davanti
Per chi sta davanti, l’operazione di acquisto, affitto, ecc. delle terre è una questione d’investimento, cioè di “incremento dei beni capitali, di acquisizione o creazione di nuove risorse da usare nel processo produttivo per ottenere un maggior profitto futuro”. L’obiettivo è palese: i massicci investimenti servono per la realizzazione di piantagioni industriali di monocolture destinate all’esportazione. Le dichiarazioni d’intenti sfiorano l’ipocrisia quando mettono al primo posto la sicurezza alimentare e lo sviluppo locale dei Paesi “oggetto” d’investimento. La monocoltura – si sa –, la Rivoluzione Verde dovrebbe averlo insegnato, distrugge la biodiversità perché geneticamente uniforme e intacca la sovranità alimentare delle comunità locali, sottrae risorse idriche, compromette i sistemi agricoli tradizionali. Cosa fa la Banca Mondiale di fronte a questa distruzione? È spettatrice e complice allo stesso tempo. Nel 2010, il rapporto “Rising Global Interest in Farmland” era particolarmente atteso perché doveva fornire un quadro esaustivo dell’accaparramento di milioni di ettari di terre in Africa, Asia ed America Latina. Ciò significa che oltre ai dati numerici riferiti agli ettari ceduti, affittati, acquistati (peraltro già noti), il rapporto avrebbe dovuto fornire indicazioni sulla tipologia di investitori, sui loro obiettivi e sulle loro strategie. Nessun accenno. Da sempre favorevole alle privatizzazioni, la Banca Mondiale appoggia gli investimenti in agricoltura nei paesi del Sud, convinta che il meccanismo regolatore del mercato libero porti con sé sviluppo, ovunque: è figlia del Nord che l’ha generata. Via Campesina e le altre organizzazioni contadine le sono ostili. Paradossalmente, la Banca Mondiale recepisce le provocazioni trovando modo di trasformare gli evidenti rischi e pericoli per la piccola agricoltura in opportunità: gli investimenti possono contribuire a rilanciare economie deficitarie e ad aumentare la produttività agricola. Da qui la scrittura e pubblicazione di alcuni “princípi per investimenti responsabili in agricoltura” (RAI): tra questi, rispettare e riconoscimento dei diritti esistenti di accesso alla terra e alle risorse naturali; non intaccare la sovranità alimentare; assicurare processi di accesso alla terra trasparenti e monitorati; generare impatti sociali desiderabili e distribuibili senza aumentare la vulnerabilità. Imbarazzanti princípi di carta. Quale giustizia ne assicura il rispetto?

Una corsa contro la sovranità alimentare
Olivier De Schutter, relatore speciale sul diritto all’alimentazione delle Nazioni Unite dal 2008, è convinto che gli investimenti su larga scala in agricoltura non siano per forza una cosa buona. È critico nei confronti dei RAI della Banca Mondiale; la sua lista di principi, sottoposta al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, è molto diversa: la terra non deve essere ceduta senza l’accordo delle comunità locali; gli investimenti devono essere a beneficio delle popolazioni locali; una percentuale della produzione deve essere venduta sui mercati locali, ecc. (in .pdf, articolo in inglese). Inoltre, l’istituzione di un processo trasparente di informazione sui progetti e sulle condizioni di realizzazione non è una condizione sufficiente perché le popolazioni locali possano dare il loro consapevole consenso. Permangono forti asimmetrie di potere a sfavore di chi non ha alternative, depauperato, vulnerabile. Nel frattempo la corsa avanza e chi sta davanti è sempre più irraggiungibile. Avanza l’insicurezza alimentare e arretra la sovranità alimentare, in alcuni casi fino a ritirarsi dalla gara. Capitali transnazionali senza scrupoli e governi nazionali opportunisti stanno depauperando intere regioni rurali del pianeta. Laddove l’agricoltura di sussistenza è il principale motore dell’ordinamento territoriale, l’agro-business è un nemico da respingere perché minaccia il diritto di decidere cosa, come e per chi produrre. Il diritto al cibo ed alla sovranità alimentare è minacciato dalle pratiche di land grabbing: il riso prodotto da Malibya sulle terre dell’Office du Niger prende il volo per la Libia, come pure quello coltivato in Etiopia è destinato all’Arabia Saudita. Nello specifico del caso africano, la disponibilità di terre ancestrali sulle quali le comunità locali praticano un’agricoltura pluviale di tipo tradizionale (mais, miglio, sorgo o altri cereali antichi come il fonio, Digitaria exilis) diminuisce progressivamente di fronte all’avanzata tecnologica delle piantagioni di jatropha o altri vegetali destinati alla produzione di agrocarburanti. Queste espansioni agricole sottraggono alla piccola agricoltura quel margine di sicurezza minimale che – fatte salve le eccezioni pluviometriche negative – ha da sempre consentito di riempire i granai di miglio. Si forzano le economie locali verso le esportazioni, lasciandole prive di margini di beneficio e quindi di opportunità di sviluppo e di sopravvivenza. Secondo Via Campesina “l'agricoltura e l'alimentazione sono fondamentali per tutti i popoli, sia in termini di produzione e disponibilità di quantità sufficienti di alimenti nutrienti e sicuri, sia in quanto pilastri di comunità, culture e ambienti rurali e urbani salubri. Tutti questi diritti vengono erosi dalle politiche economiche neoliberiste che con crescente enfasi spingono le grandi potenze economiche come gli Stati Uniti e l'Unione Europea, attraverso istituzioni multilaterali come l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), il Fondo Monetario Internazionale (IMF) e la Banca Mondiale. Invece di garantire l'alimentazione per tutta la gente del mondo, questi organismi presiedono un sistema che moltiplica la fame e diverse forme di denutrizione, con l'esclusione di milioni di persone dall'accesso a beni e risorse produttive come la terra, l'acqua, le sementi, le tecnologie e le conoscenze” (.doc in italiano). 
Paola Scarsi www.reginamundi.info/
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Sosteniamo gli allevatori ed il loro patrimonio contro l’accaparramento di vaste superfici di terra da parte della società Tozzi Green in Madagascar

La società italiana Tozzi Green, filiale dell’italiana Tozzi Renewable Energy, coltiva soprattutto jatropha, una cultura per la produzione di agro combustibili, sull’altopiano di Ihorombe nel centro-sud del Madagascar, e mira ad ottenere una superficie di 100mila ettari. L’azienda dichiara di essersi installata in questa zona con il consenso della popolazione: esattamente quale popolazione è stata consultata e ha dato la propria approvazione? Le autorità locali? Alcuni anziani dei villaggi?
Denunce e rivendicazioni delle popolazioni locali
Lo scorso 16 novembre, dieci rappresentanti di nove villaggi situati nei comuni di Satrokala, Andiolava, Ambatolahy e Ihosy, nella regione di Ihorombe, si sono recati ad Antananarivo ed hanno tenuto una conferenza stampa per manifestare la loro opposizione a questa piantagione e per esprimere «la loro preoccupazione». Si sono spostati dai loro villaggi per rendere pubblicamente nota la loro denuncia perché i diritti degli abitanti sono stati calpestati.
«Non abbiamo più alcun controllo sulle nostre terre; delle persone estranee ai nostri costumi impongono le loro leggi. Hanno progressivamente esteso l’area delle loro coltivazioni ed ora utilizzano anche le nostre terre. Noi, piccoli produttori, siamo costretti ad andarcene perché ci sono persone armate che ci espellono dalle nostre terre. La perdita di terra da pascoli per gli zebù ha provocato la morte di bestiame nella zona. Hanno violato le tombe dei nostri antenati. I nostri luoghi sacri sono stati già distrutti dai trattori».
Ora (gli abitanti dei villaggi) si sentono completamente impotenti perché in questa situazione si sentono di assomigliare a uova che fronteggiano pietre, e si appellano al governo centrale [...]; la maggior parte degli abitanti è costretta all’esodo e diventa praticamente sinistrata. Di fronte alla confisca delle loro terre, le fokonolona (le comunità di base) hanno sottolineato che «le conseguenze dell’accaparramento di terra da parte di Tozzi Green saranno gravissime».

La popolazione soffre la fame e le tradizioni dei Bara sono state violate.

Le reazioni dei media a questa conferenza stampa sono state diverse: alcuni non ne hanno parlato affatto, altri hanno riportato la notizia senza menzionare il nome dell’azienda incriminata, qualcuno ne ha parlato accusando i rappresentanti dei villaggi di essere complici dei dahalo (banditi, ladri di zebù).
Inoltre, il 18 novembre, 350 abitanti di 17 Fokontany del comune di Ambatolahy hanno firmato una petizione che hanno inviato alle autorità locali e nazionali, per chiedere loro di intervenire per prevenire l’espansione delle piantagioni ed evitare le espulsioni a cui stanno rischiando di andare incontro nelle zone ambite da Tozzi Green e dalla società indiana Landmark.
Queste denunce si aggiungono alle rivendicazioni degli abitanti dei villaggi di Satrokala, Andiolava, Soatambary e Ambatolahy di cui il collettivo TANY ha ricevuto le testimonianze. Essi hanno dichiarato di aver ereditato le terre dai loro antenati, che le hanno coltivate secondo le usanze tradizionali. Questi terreni non sono registrati formalmente né delimitati, ma costituiscono parte dei possedimenti familiari per diritto consuetudinario da diverse generazioni. Queste terre rappresentano anche la storia dei loro antenati.
Se lo Stato gliele sottrae con la forza, si ritroveranno persi, ed i loro discendenti saranno decimati visto che queste terre sono utilizzate come pascoli per il loro bestiame ed il reddito proveniente dall’allevamento degli zebù è ciò che permette loro di nutrirsi e costituisce il loro stipendio. E’ grazie a questo che sono stati in grado fino ad oggi di mandare i loro figli a scuola. Alcuni campi agricoli ​​sono già diventati inutilizzabili. La lavorazione della terra con i trattori ha reso impossibile il passaggio degli zebù attraverso i campi. La jatropha non è commestibile nè per gli zebù, nè per i bambini, nè per le famiglie, dicono. Chiedono quindi che lo Stato abbia pietà di loro e li protegga.
Alcuni abitanti dei villaggi hanno accettato le richieste dell’azienda, hanno aggiunto, e coloro che invece hanno resistito sono stati minacciati. Sono state promesse diverse forme di compensazione, di cui non hanno però visto traccia. Tutti parlano della necessità di difendere i loro diritti, le loro terre, la loro fonti tradizionali di sussistenza, il loro patrimonio culturale.

Le principali vittime sono gli allevatori di zebù delle zone pastorali

In effetti, gran parte della popolazione dell’altopiano di Ihorombe è costituita da allevatori Bara e le vaste aree a perdita d’occhio che alcuni cittadini considerano come zone inoccupate sono in realtà aree di pascolo per gli zebù. Alcuni paesi rispettano e gestiscono con parsimonia queste aree pastorali attraverso Carte o Codici rurali, ma i dirigenti e i responsabili politici malgasci che si sono succeduti le hanno trascurate. Che la società Tozzi Green ed i suoi dirigenti disprezzino la cultura tradizionale di queste popolazioni può non sorprendere, ma è inconcepibile che le autorità locali e centrali non li proteggano visto che il Madagascar ha ratificato il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
Attualmente, dei circa 8.000 ettari già accordati, 2.000 sarebbero già stati sfruttati, «il progetto consente di assumere 170 dipendenti a tempo indeterminato e circa 2.000 lavoratori stagionali di cui oltre il 50% provengono dalla regione di Ihorombe», ha riferito un giornale locale a seguito della campagna promozionale di Tozzi Green.
Ma i benefici in termini di occupazione sono minimi rispetto ai danni economici, sociali e culturali.

Molte domande sulle transazioni e gli impegni presi

La società Tozzi Green avrebbe preso in affitto i terreni dei vivai a dei privati e stipulato un contratto di locazione in enfiteusi con l’ amministrazione; la durata del contratto citato in vari articoli di giornale fa riferimento a volte a 25 anni, a volte a 35 anni. Una maggiore trasparenza e la messa a disposizione di tutti i cittadini di tutte le clausole del contratto di locazione sarebbe necessaria. Quanti ettari sono inclusi nei contratti esistenti? Come vengono formulate le procedure e le condizioni di estensione progressiva dei terreni messi a disposizione dell’azienda? Quali sono i criteri utilizzati dal Comitato di Pilotaggio per valutare i risultati e decidere se approvare una nuova estensione? Che cosa si cela dietro l’incongruenza “2000 ettari ancora in fase di sperimentazione”?. I cittadini devono essere informati sul contenuto integrale dei contratti: quali autorità li hanno firmati, quali compensazioni sono previste? Quale destino è riservato alle persone che vivono su quelle terre in base al diritto consuetudinario?
I 2.000.000 di ettari che costituiscono l’altopiano di Ihorombe saranno concessi tutti o in gran parte a Tozzi Green o ad altre aziende dell’agri-business? Quali aree saranno previste per i contadini ed i loro discendenti per lo sviluppo della loro agricoltura familiare e del loro allevamento estensivo? Informazioni chiare per le comunità coinvolte e una seria tenuta in considerazione delle loro pratiche e degli interessi delle popolazioni da parte dei diversi funzionari statali per migliorare realmente il benessere della maggioranza della popolazione malgascia ci sembrano elementi indispensabili per conseguire uno sviluppo realmente equo e sostenibile.
Queste questioni sono di enorme interesse non solo per le autorità centrali e locali, per i leader delle comunità e per gli abitanti dei diversi villaggi in questione, ma anche per tutti i cittadini di tutte le regioni dell’isola. Quel che avviene a Ihorombe riguarda tutti i cittadini perché l’area interessata è la più significativa per quanto riguarda l’opacità che regna sulle transazioni fondiarie e l’accaparramento di terra in Madagascar oggi. Monitorare ciò che sta accadendo e rifiutare tutto ciò che è inaccettabile per non creare un precedente diventa una questione nazionale – ed anche internazionale – oltre alla difesa dei diritti d’uso e della cultura dei popoli della regione.
Allo stesso modo si rende necessaria una seria vigilanza sui prodotti del sottosuolo di cui questa zona è molto ricca.
Le comunità pastorali si stanno mobilitando e chiedono una migliore considerazione da parte della classe dirigente dello Stato.
Nel mese di ottobre 2012, dopo un viaggio in Europa, un’alta autorità dello Stato responsabile del settore fondiario, si è recata ad Ihorombe per ricevere un’auto fuoristrada e dei computer destinati agli uffici topografici, come “risultato di una collaborazione con Tozzi Green”. Il passaggio di questa alta autorità nella zona potrebbe coincidere con una nuova estensione delle aree attribuite a Tozzi Green e con il relativo aumento di una legittima preoccupazione della popolazione?

Inoltre, quando la potente macchina comunicativa di Tozzi Green annuncia la costituzione a Satrokala da parte della società di una sorta di catasto fondiario (BIF-Birao Ifoton’ny Fananan-Tany), che gestirà l’emissione di certificati per le proprietà private non registrate, non si può non essere indignati dal conflitto di interesse che si sta sviluppando a livello di chi detiene il potere di gestione della terra nella regione, con la benedizione delle autorità centrali.

Sosteniamo le popolazioni che difendono il loro patrimonio!

No all’intimidazione dei cittadini della regione di Ihorombe che hanno osato chiedere di fermare l’espansione dei terreni concesso alla società Tozzi Green!
Ribadiamo con forza la richiesta di piena trasparenza sul contenuto dei contratti sottoscritti da parte dello Stato perché essi vincolano e compromettono il futuro delle generazioni presenti e future!
È ora di fermare l’accaparramento di terra in Madagascar!
Il Collettivo per la Difesa delle Terre Malgasce – TANY
patrimoinemalgache@gmail.com
www.terresmalgaches.info
http://www.facebook.com/TANYterresmalgaches
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Scandale Tozzi Green: Hery Rajaonarimampianina impliqué !
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Mardi, 17 Septembre 2013 09:01

La cession d'un terrain aux étrangers est considérée comme tabou pour les Malgaches.
C'est à cause du projet agricole de Daewoo Corporation à Madagascar que Marc Ravalomanana a dû quitter en catastrophe la Grande Ile pour se réfugier en Afrique australe. Un scandale du même genre a été rendu public voici des semaines sur l'exploitation de terrain dans l'Ihorombe par Tozzi Green. On accusait alors le vice-Premier ministre Hajo Andrianainarivelo d'avoir vendu aux étrangers des terrains…
En réalité, les intérêts de Tozzi Green sont défendus par le cabinet d'étude CGA, connu dans le milieu des affaires comme celui du candidat à la présidentielle Hery Rajaonarimampianina. Comme la CGA est chargée de défendre les intérêts de Tozzi Green, le patron de CGA également ministre des Finances et du Budget (d'alors) Hery Rajaonarimampianina est intervenu auprès du vice-Premier ministre (d'alors) pour que l'opérationnalisation de Tozzi Green soit facilitée.
Le cabinet de consultance CGA est connu dans la capitale pour avoir offert ses services d'experts comptables auprès de plusieurs grandes entreprises malgaches comme le groupe Sodiat de Mamy Ravatomanga et du groupe Prey d'Egdar Razafindravahy. Beaucoup s'interrogent si le ministre Hery Rajaonarimampianina n'a pas abusé de sa position au sein du gouvernement pour favoriser son cabinet d'étude CGA pour remporter des marchés tels que Tozzi Green.
En effet, le cabinet de consultance CGA ne se limite pas à défendre les intérêts de Tozzi Green puisqu'il s'occupe aussi des états comptables de l'organisation. Toutes les opérations financières de Tozzi Green sont contrôlées par l'équipe de Hery Rajaonarimampianina. Et, pour couronner le tout, l'ancien Grand Argentier aurait joué sa position de PCA d'Air Madagascar pour installer dans l'Ihorombe la compagnie nationale pour faciliter les déplacements entre le projet Tozzi Green et la capitale. Hery Rajaonarimampianina aurait-il donc fait jouer son titre de ministre et de PCA d'Air Madagascar pour favoriser son cabinet d'étude CGA ? Qu'en sera-t-il s'il devient président de la République ?

La foresta sacra e i tesori nascosti

Se il Madagascar è benedetto dalla natura con una biodiversità unica , è anche uno dei 12 paesi più poveri del mondo.
Situato nella parte occidentale dell'Oceano Indiano , vicino alla costa orientale del continente africano , con una superficie di 587,000 km ² , l'isola del Madagascar è una vera e propria Arca di Noè , che ancora ospita specie animali e piante uniche.
Si tratta di un " museo vivente ", un " santuario della natura ", un piccolo continente  che concentra 12.000 specie di piante e 1.000 specie di vertebrati , mammiferi , rettili, anfibi e uccelli che sono endemiche. Il suolo malgascio è laterite , è in gran parte composto da ossido di ferro e di alluminio che gli conferisce un colore rosso infatti il Madagascar è chiamata l'isola rossa " , mentre il sottosuolo è  pieno di olio leggero e pesante , kimberlite , quarzo , diamanti , oro , ilmenite ,  titanio , grafite , cromite , carbone , bauxite , smeraldo , ferro, zaffiro, diaspro , mica, uranio , mercurio , cristallo , zolfo , cobalto e nichel. La  Moramanga Ambatovy, società concessionaria canadese,  prevede di estrarre nei prossimi anni 60.000 tonnellate di nichel e 56.000 tonnellate di cobalto . Una produzione che porterà il Madagascar al  secondo posto nel mondo . Purtroppo , il danno per l' ambiente e per  la salute delle persone è una cosa non detta . Madagascar ha quindi tutto per decollare . Ma questa isola è uno dei 12 paesi più poveri del mondo , l'80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e giustifica la presenza di circa 600 ONG umanitarie che fanno diventare il paese più aiutato al mondo.
L'arrivo di Marc Ravalomanana a capo del paese , nel 2002 , in seguito a una contrastata elezione , è stato visto come un possibile veicolo di cambiamento . Questo grande industriale è stato uno dei pochi a produrre Madagascar . Il suo programma ambizioso , il Madagascar Action Plan ( MAP ) doveva promuovere lo sviluppo dell'isola. Ravalomanana ha portato l' apprendimento della lingua inglese nelle scuole primarie,  selezionato e inviato molti giovani negli Stati Uniti ed era ben visto  dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush . Pertanto  l'isola è stata sede nel 2004 del Millennium Challenge Corporation ( MCC ) . Sono stati gli americani  i primi a riconoscere l'elezione di Marc Ravalomanana nel 2002 contro Didier Ratsiraka , mentre la Francia ha atteso cinque mesi per riconoscere l'elezione di Ravalomanana.
In seguito i rapporti di Ravalomanana e la Francia divengono sempre più tesi anche perchè la Bollorè è lasciata fuori dalla gestione del porto più importante del Madagascar e siccome la comunità francese presente in Madagascar è molto numerosa, continuano i malcontenti.
Fonte: www.viaggiomadagascar.it
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Il letargo dei lemuri svela i segreti del sonno umano

Abbassano la frequenza cardiaca da 120 a 6 battiti al minuto. Gli scienziati: «L’obiettivo è indurre stati simili negli esseri umani per guadagnare tempo durante gli interventi successivi a trauma cranico e a un attacco di cuore»
L’ibernazione di un lemure potrebbe dirci di più sui meccanismi che regolano il nostro sonno. Un nuovo studio della Duke University pubblicato sulla rivista Plos One ha scoperto che il chirogaleo medio (Cheirogaleus medius), primate poco conosciuto, durante la stagione di letargo invernale trascorre giorni e giorni senza accedere alla «parte» più profonda del sonno, quella relativa alle onde lente.
Nel torpore, condizione in cui il metabolismo si riduce, questi lemuri possono abbassare la frequenza cardiaca da 120 a 6 battiti al minuto e rallentare significativamente la respirazione. Invece di mantenere una temperatura corporea costante come la maggior parte dei mammiferi, i loro corpi si scaldano e raffreddano in relazione alla temperatura dell’aria esterna che fluttua di più di venticinque gradi ogni giorno. Per la maggioranza dei mammiferi, un cambiamento nella temperatura corporea di più di un paio di gradi potrebbe essere pericolosa per la vita. Ma per il chirogaleo medio la strategia è un modo per risparmiare energia durante la lunga e secca stagione invernale del Madagascar, periodo dell’anno in cui cibo e acqua scarseggiano. 
Il letargo dei lemuri ha mostrato periodi di attività cerebrale coerenti con la fase del sonno nota come rapid eye movement (REM) solo quando le temperature invernali salgono sopra i 25 gradi Celsius. I ricercatori ritengono che comprendere i meccanismi che si nascondono dietro il singolare letargo dei lemuri endemici del Madagascar potrebbe permettere un giorno di indurre stati simili all’ibernazione negli esseri umani. Essere in grado di porre gli esseri umani in «standby», riducendo temporaneamente frequenza cardiaca e attività cerebrale, aiuterebbe a guadagnare tempo durante gli interventi successivi ad trauma cranico e ad un attacco di cuore o a prolungare la durata di conservazione degli organi da trapiantare.
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Emigranti, non solo valigie di cartone

Di Roberto Beretta
Dicevano che in America le strade erano pavimentate d'oro. Arrivato là, mi sono accorto invece che non erano pavimentate per niente. E mi hanno detto che adesso pavimentarle toccava proprio a me". A Ellis Island, la "porta degli Stati Uniti" che oggi è diventata un museo-sacrario dell'emigrazione, sta affisso quest'amaro apologo italiano che documenta come non per tutti i nostri connazionali la Merica sia stata l'America – o almeno con quanta santa fatica lo è poi diventata. E però la storiella dice anche un'altra verità meno nota: ovvero che ci fu una ben organizzata propaganda (dalla quale non è stata immune nemmeno la Chiesa) per attirare gli italiani oltreoceano; una pubblicità che non si faceva scrupolo di dipingere gli Usa come un irrealistico eden avvalendosi dei più moderni – per l'epoca – mezzi di comunicazione". Così scrive oggi Roberto Beretta dalle pagine web del quotidiano Avvenire.
"Perché non è vero che i siciliani emigrati erano tutti cafoni morti di fame", è la seconda cosa che Marcello Saija dice al visitatore del Museo dell'Emigrazione eoliana di Malfa, sull'isola di Salina: per esempio dal nostro arcipelago si partiva non tanto per indigenza, bensì alla ricerca di maggior fortuna e denari grazie ai commerci".
La prima cosa che invece il professor Saija, docente di Storia delle istituzioni politiche all'università di Palermo ma forse anzitutto presidente ed anima della Rete che collega i musei siciliani dell'emigrazione, ricorda a chi lo interpella in materia è una sorta di distillato della sua pluridecennale ricerca: "Non esiste una sola emigrazione, ma tante emigrazioni quanti sono i campanili o quasi. Ognuna con i suoi motivi, caratteristiche anche molto diverse, le sue destinazioni geografiche. E ognuna va compresa al di fuori degli stereotipi creati dalla storiografia (soprattutto di sinistra) che nel dopoguerra aveva bisogno di "dimostrare" le colpe di uno Stato incapace di garantire lavoro e sopravvivenza ai suoi figli, i quali avevano dovuto espatriare per sfuggire alla miseria".
Prendiamo le Eolie, dunque, e in specie Salina che tra le "sette sorelle" dell'arcipelago pare essere stata storicamente la più prodiga in imprenditorialità: già dal primo Ottocento le famiglie dei "padroni" salinari si distinguevano per la capacità di mettere a frutto le abilità di navigatori, intessendo reti di trasporto commerciale in tutto il Mediterraneo, mentre chi rimaneva sulla fertile terra vulcanica dell'isola si dedicava all'agricoltura e in particolare alla produzione di altissima qualità e resa economica della malvasìa... Perché dunque abbandonare quella possibile agiatezza per andare fino in America? "Intanto perché, a causa della dovizia di abili velisti reclutati dalle grandi compagnie di navigazione transoceanica, gli eoliani conoscono il Nuovo mondo prima di altri", risponde Sajia. "E poi per fare più soldi e magari costruirsi in patria un palazzotto, come quello sontuoso che a Malfa si fece edificare Antonio Marchetti (presto soprannominato 'u miliunariu), che aveva fatto fortuna a New York commerciando il marmo di Carrara. E fu il primo ad avere la corrente elettrica a Salina!".
Il professore documenta la tesi con cifre e con storie. Qui la crescita costante della flotta a vela eoliana, testimonianza di un investimento che fu assai redditizio. Lì il passaporto di un salinaro che emigra a 50 anni suonati, con tutta la famiglia, pur essendo tra i notabili dell'isola. Non era dunque gente che andasse alla ventura perché tanto non aveva nulla da perdere...
"La filossera. Certo, qualcuno spiega la spinta ad andarsene con l'arrivo del parassita che in pochissimo tempo, da metà degli anni Ottanta dell'Ottocento, azzerò tutte le vigne eoliane; fu davvero un cataclisma. Tuttavia, più che al minuscolo insetto, le responsabilità dell'esodo vanno attribuite a questo libretto".
Saija indica in una vetrina la colorata copertina di "Dall'Italia a New York. Guida dell'Emigrante", edizione 1902: "A New York le case sono in torri alte anche 300 metri – così vi si leggeva –, e più in alto si va più ricche sono le case. I rubinetti dell'acqua sono d'oro e d'argento". "Vuoi sapere che succede appena arrivi nel porto di Nuova York? Dieci, venti persone ti chiederanno se vuoi un lavoro. Tu scegli quello che più ti piace". "Se vuoi diventare un venditore di frutta non hai bisogno di fare molta fatica; basta solo la tua forza di volontà e la tua voglia di lavorare! Appena riesci a guadagnare un po' di soldi procurati un carretto, la mattina presto vai ai mercati generali, compra un po' di frutta e vendila per le strade"...
Ed è alquanto significativo che questa pubblicistica da paese di Cuccagna sia stampata e distribuita da due grandi compagnie navali, "La Veloce" e la "Navigazione Generale Italiana": le due che – prima divise, poi fuse nella medesima impresa – nelle Eolie si accaparrarono grazie ai loro agenti la maggior quota di biglietti transoceanici. Il business era così allettante che sulle sperdute isole arrivarono persino emissari di armatori stranieri, sviluppando tutto un indotto di sensali e speculatori. C'erano per esempio faccendieri che anticipavano il prezzo del viaggio, il quale sarebbe poi stato restituito «in comode rate» oltre Atlantico lavorando per un boss già prefissato; c'era chi lucrava acquistando a prezzi da svendita i beni immobili dei partenti; c'era l'assicuratore per stipulare, «a sole 10 lire», polizze che garantivano le 200 lire del biglietto nel caso si venisse respinti all'arrivo (evento tutt'altro che remoto) o che addirittura avrebbe versato un vitalizio ai congiunti in caso di affondamento del piroscafo e morte del titolare.
Pure la Chiesa veniva incontro alle nuove esigenze: nel museo di Malfa sono esposti libretti di orazioni appositi per emigranti, con preghiere da recitare per ogni occasione del viaggio e della lontananza, ma anche diplomi pontifici in cui (a pagamento...) si garantiva l'indulgenza anche nel caso non si fosse riusciti a confessarsi in tempo mentre la nave colava a picco.
Di fatto poi, e anche se l'America non si rivela certo quell'eden dipinto dai manualetti pubblicitari, gli eoliani faranno molto spesso fortuna. Il professor Sajia ha documentato negli Stati Uniti del primo Novecento addirittura 15 società di mutuo soccorso per emigrati del solo arcipelago, che divisi per «isola» creano e sostengono corposi processi di integrazione sociale: quelli di Lipari, quelli di Filicudi, quelli di Salina, eccetera.
Nate come istituti di assistenza reciproca in caso di malattia, infortunio o morte e comunque per tenere viva la colleganza tra conterranei (era prevista l'espulsione immediata per chi non avesse partecipato ai funerali di un socio), le organizzazioni diventarono poi lobbies anche assai ricche – basta osservare appese al museo le foto di gruppo scattate durante le elegantissime feste sociali – e influenti: tanto che i presidenti Usa non disdegnavano di averle come partner in campagna elettorale (l'ultimo presidente della Mutual Aid Society «Isola di Salina», Edoard Re, divenne segretario di Stato alla Cultura con John Kennedy e giudice federale con Johnson). Parte di tale prosperità ritornò poi in patria: per esempio, il primo generatore elettrico di Santa Marina Salina venne finanziato nel 1919 con centomila lire da un munifico emigrato americano.
E lo stesso museo di Malfa ha trovato significativamente la sua prima sede nella dimora di un emigrante ritornato in patria. Ma il medesimo viaggio di ritorno purtroppo lo fece anche la mafia (no, non avvenne il contrario, come comunemente si crede), che a New York imparò i metodi estorsivi: tra gli oggetti della raccolta vi sono infatti pure gli sgrammaticati biglietti che la Mano Nera newyorkese spediva ai fruttivendoli salinari di Little Italy e di Brooklyn per offrire «protezione» in cambio del «pizzo». Cosa Nostra imparò presto". (aise)
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Amici di Ampasilava - Madagascar, Ospedale Italiano di Andavadoaka

ATTIVITÀ ASSISTENZIALE
L'amore per il Madagascar da parte di un gruppo di Italiani, fra cui un medico, ha fatto si che i villaggi di Ampasilava e Andavadoaka, nella provincia di Tulear fossero improvvisamente pervasi da spirito solidale. Quella che era una realtà socialmente in via di sviluppo ben presto si è trasformata in un punto d'incontro. Nel settembre 2006 è stato realizzato un piccolo ambulatorio, dotato di microscopio, di elettrocardiografo, di defibrillatore, di apparecchiatura per TENS ad ultrasuoni e di un ecografo.  L’ambulatorio è diventato ben presto punto di riferimento per la popolazione locale, in quanto l’ospedale più vicino si trova a Tuleàr, 180 km,  tre giorni di viaggio su mezzi di fortuna per la popolazione locale.Il numero sempre maggiore dei pazienti afferenti e la complessità delle prestazioni sanitarie hanno richiesto un cospicuo potenziamento dell’attività e hanno portato, nel settembre 2007, alla progettazione di un piccolo Ospedale. Infatti i dati di affluenza dall’inizio dell’attività assistenziale sono i seguenti: nel primo semestre del 2007 sono stati visitati 3000 pazienti; nel primo semestre 2008 abbiamo erogato 4200 prestazioni.
Al Progetto Ospedale hanno aderito medici e paramedici da tutta Italia, pronti a dare la loro disponibilità e a partecipare a questa impresa come volontari, lavorando gratuitamente.L’Ospedale è stato  inaugurato il 15 Ottobre 2008.     Dall’inaugurazione sono stati visitati e curati gratuitamente circa 15000 pazienti/aano. L’attività chirurgica è iniziata a dicembre 2008. In totale abbiamo eseguito circa 150 interventi/anno di chirurgia generale e ginecologica (soprattutto mastectomia, istero-annessiectomie, revisioni di cavità uterina, fimosi, ernioplastiche, splenectomie, fistolectomie) ed oculistica. In loco sono sempre presenti 2 medici generici e 2 infermieri, 1 coordinatore (anche non sanitario). L’associazione invia 3-4 volte all’anno una equipe chirurgica formata da 4 unità: anestesista, chirurgo, due infermieri di sala operatoriaVisite, interventi chirurgici, farmaci e presidi sono forniti gratuitamente. Le patologie principalmente rappresentate sono: ipertensione, flogosi delle vie respiratorie, gastroenteriti, parassitosi intestinale, patologie traumatiche, patologie ginecologiche,flogosi e masse proliferative, otiti, congiuntiviti, dermatiti ed ascessi cutanei, carie ed ascessi dentari, gozzi tiroidei, cataratte.
Le autorità del Madagascar si sono attivamente interessate al nostro progetto. Alla fine di settembre abbiamo ospitato una delegazione rappresentata dal responsabile dei servizi ospedalieri malgasci e dal Capo gabinetto della sanità che hanno incontrato i rappresentanti dell’Associazione ed il Dr. Augusto Cavina, direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna, per discutere la convenzione che ci consentirà di essere inseriti a pieno regime nel contesto della sanità malgascia.
PROGETTI SANITARI
Sulla scorta delle esperienze maturate negli anni 2007-2008 riteniamo opportuno potenziare la diagnosi e la terapia di alcune patologie sia aumentando le risorse loro dedicate, sia sensibilizzando la popolazione locale a svolgere attività di prevenzione. Le strutture ospedaliere , le attrezzature e le competenze sanitarie sono già disponibili in loco.
A/1 TBC:  Il numero dei malati di TBC , pur non potendo disporre di dati statistici aggiornati , appare elevato in rapporto al numero degli abitanti. Tale patologia, in aumento anche in Europa, richiede un particolare impegno diagnostico e terapeutico.
A/2 Patologia utero-ovarica: Abbiamo osservato numerosi casi di neoplasie, anche di grosse dimensioni, spesso non operabili. Occorre sensibilizzare la popolazione locale in un’attenta autovalutazione al fine di rendere più tempestivo e terapeutico l’intervento chirurgico.
A/3 Patologia dell’infanzia: Gastroenteriti in particolare. Sono condizioni cliniche legate alle situazioni igieniche che solo parzialmente possono essere risolte con l’intervento terapeutico medico.
PROGETTI IGIENICO AMBIENTALI
B/1  Energia pulita: L’installazione di un impianto fotovoltaico in sostituzione dell’attuale generatore ha consentito la riduzione dell’inquinamento atmosferico e l’abbattimento dei costi per il gasolio con risparmi da destinare principalmente  all’acquisto di farmaci.
Amici di Ampasilava - Madagascar, Ospedale Italiano di Andavadoaka

I VOLONTARI DELL'ASSOCIAZIONE

Il personale di Amici di Ampasilava fornisce assistenza sanitaria alla popolazione di Andavadoaka e dintorni, nella regione di Tuleàr, lontana dai circuiti turistici e altrimenti priva di qualsiasi tipo di cura medica.
Lavorare all’estero, in condizioni potenzialmente dure, non è facile e richiede energie e qualità. Le soddisfazioni sono enormi, portando il proprio contributo professionale a chi non puó curarsi. Ci rivolgiamo anche chi nel volontariato in paesi in via di sviluppo vuole realizzare un´esperienza di vita.

Chi cerchiamo
Siamo sempre alla ricerca di staff qualificato per le nostre missioni. In quanto organizzazione medica cerchiamo personale sanitario medico ed infermieristico.
Anche volontari civili possono trovare una collocazione nelle attività di supporto logistico, secondo le esigenze contingenti.
I volontari di Amici di Ampasilava lavorano e vivono insieme, è necessaria pertanto tolleranza, flessibilità, spirito di collaborazione e di scambio di esperienze, disponibilità sia verso i compagni di avventura" che verso la popolazione.
Il senso dell'umorismo aiuta nelle situazioni critiche.

Condivisione di obiettivi e valori di Amici di Ampasilava
In sede ufficiale, al volontario verrà consegnato il nostro vademecum.

Lingue straniere
Le équipe sono composte da personale italiano.
La lingua ufficiale è il francese, ma nella nostra regione vengono parlati idiomi locali.
In loco sono presenti traduttori.
La conoscenza della lingua francese non è indispensabile ma potenzialmente utile.

Esperienze in paesi in via di sviluppo
Non richiediamo precedenti esperienze professionali in paesi in via di sviluppo.

Disponibilità di tempo
Consigliamo una disponibilità minima di 3 settimane. Il viaggio richiede in A/R circa 5 giorni, è faticoso e ambientarsi non è immediato.

Capacità di gestione dello stress
La vita di gruppo, il lavoro in contesti diversi da quelli abituali, la fatica possono creare problemi fisici e psicologici che bisogna mettere in conto alla parteza
ed essere pronti ad affrontare.
In questi momenti il volontario deve ricordarsi che fa parte di un gruppo su cui contare, senza vergognarsi ed isolarsi.

Al volontario di Amici di Ampasilava è richiesto di:
- Programmare un periodo di almeno 2-3 settimane da dedicare in maniera integrale all'attività di volontariato, anche al di fuori dalle proprie competenze specifiche, a seconda delle necessità.
- Organizzare i voli aerei ed i transfers da e per l'aereoporto in collaborazione con la referente logistica dell'Associazione.
L'Associazione offre vitto ed alloggio presso la "Corte dei Gechi" adiacente all'Ospedale: 3 camere a 3 letti con bagno, cucina e refettorio.
Le spese di viaggio e gli extra in loco (vedi vademecum) sono a carico del volontario.
- Partecipare al rifornimento dei materiali di consumo prima della partenza mettendosi in contatto con il referente dell'Associazione.
- Contribuire alla manutenzione delle attrezzature in dotazione all'Associazione.
- Aggiornare l'inventario dei materiali di consumo e delle attrezzature al termine della missione.
- Rispettare le abitudini della popolazione locale evitando ogni atteggiamento che possa essere offensivo per la morale.
- Prestare la propria opera a titolo assolutamente gratuito evitando di trarre vantaggio personale dalla ricooscenza della popolazione locale.
- Offrire il proprio aiuto senza fare distinzione alcuna di sesso, razza, religione.
- Inviare al referente dell'Associazione una propria valutazione sull'esperienza condotta, al ritorno dalla propria missione.
- Documentare il lavoro svolto attraverso materiale fotografico.
- Contribuire al rifornimento di manufatti locali, a spese dell'Associazione, secondo le indicazioni contingenti.
- Favorire la raccolta di materiali e fondi nel proprio ambito locale.

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