Se vivesse in Brianza, Mora
Norbert terrebbe, sotto il cuscino, una pistola. Ma essendogli capitata la
ventura di nascere in Madagascar,
in camera da letto, per proteggersi, tiene la sabbuha. Questa è una lancia primordiale,
dell’età della clava; la stessa in cui vive una delle valli più belle del
creato, la valle Sambirano, da cui proviene uno dei frutti che più delizia il nostro palato:
il cacao.
A
inoltrarsi di giorno nelle piantagioni o anche nei villaggi, ci si perde in una
ricca selva ancestrale in cui la vita scorre lenta scandita com’è dai
bisogni primordiali. Non ci sono pompe, e dunque l’acqua si prende al ruscello,
spesso lontano. Non ci sono auto, bensì carretti di legno trainati da bestiame.
Non c’è la luce, e dunque la notte si accende di fioche candele e delle torce
rudimentali dei ladri.
Accade, in Madagascar, ciò
che in America Latina succede con le foglie di coca: la guerra del cacao, con
produttori, ladri, trafficanti, ricettatori.
Mora Norbert è un piccolo
produttore, ha quattro ettari, in un villaggio vicino ad Ambanja, nel Nordest del Madagascar, che protegge con la lancia. I
baccelli freschi li vende a mezzo euro al chilo, quelli secchi a due euro, con
quelli secchi i più grandi chocolatier d’Europa – tra cui anche gli italiani –
ci fanno il cioccolato che poi vendono 100 grammi a cinque euro. Mora Norbert,
tuttavia, non lo ha mai assaggiato, il cioccolato: nel suo Paese lo fanno solo
due società, nella capitale, a più di mille chilometri.
“Abbiamo bisogno che qualcuno lo faccia qui”, mi dice.
Tutte le mattine, Mora va in
pattuglia nel suo podere con la sabbuha a caccia di ladri. Negli ultimi mesi lo
hanno derubato tre volte. A gennaio e febbraio, ci sono stati, in media, nella
valle Sambirano, cinque furti a notte. Nella prigione di Ambanja, il capoluogo
di provincia, il 70% dei 294 detenuti sono dentro per crimini legati al cacao.
Ci sono anche 14 donne, sedute per terra, sul cemento, sotto una lamiera, ad
attendere un pasto che non arriverà. Il direttore del carcere, un ragazzo in
ciabatte, mi chiede aiuto: non ha cibo sufficiente per i ladri di cacao. Ha un
po’ di mais e di patate e manioca, nient’altro.
Mi viene in mente che questa
gente scalza, senza espressione, ha probabilmente rubato per fame, fame che
soffre anche adesso che è dentro.
Mora Robert, ovviamente, non
ha pietà.
Se avesse i soldi, si
comprerebbe, per difendere il raccolto, una pistola. Ma non li ha, e allora va
avanti con la sabbuha.
“Costa meno andare dal moasy,
dallo stregone. Fa una makumba, scrive una formula magica su una foglia di
palma, e alcuni ladri muoiono mentre altri escono pazzi”.
Ma va?
“Ma si”.
Come?
“Per esempio un mio amico ne
ha ucciso uno”.
Come?
“Gli ha sparato un colpo in
faccia”.
L’ho conosciuto, l’amico di
Mora. Si chiama Miadana.
Ha 64 anni e per moglie una
donna cannone dal sorriso d’oro.
Possiede due ettari di cacao,
che sorveglia da sempre ogni mattina, in pattuglia solitaria, mentre i galli
ronfano ancora.
Parliamo nel cortile della
sua capanna, sotto un telo, affianco a un carretto di legno tra anatre e
galline.
Un giorno, pioveva tanto, e
forse i ladri pensarono che avrebbe rinunciato al suo giro. Ci andò lo stesso,
a bordo della sua moto cinese Kinlon.
“Parcheggiai un po’ fuori.
Arrivai a piedi tra le piante e notai, tra i rovesci d’acqua, delle ombre.
C’erano due giovani, a 30 metri da me”.
Lavoravano in armonia: uno
faceva cascare con la sabbuha i baccelli, l’altro li raccoglieva e li poneva in
un sacco di iuta.
“Mi recai dritto verso quello
che raccoglieva, in pugno la mia pistola malgascia. Non avevo intenzione di
sparare, pioveva fitto, non vedevo niente, ma sentii un rumore dietro di me,
era l’altro, con il sacco, che si avvicinava e allora mi girai e feci fuoco”.
Corsero via entrambi, e allora Miadana raccolse i baccelli ancora per terra,
coprì il sacco con un telo e tornò a casa a mangiar riso convinto di averlo
mancato.
“Ore dopo, venne a casa un
gendarme dicendomi che avevano trovato un ragazzo di 25 anni morto stecchito
con un colpo di cuscinetto dentro il cranio”.
Finì in prigione. Due giorni
dopo sua moglie riunì i sei anziani della famiglia e tutti assieme andarono ad
Antsahapano, il villaggio del morto.
Andarono a trattare. Nella
cultura malgascia, è possibile compensare la famiglia della vittima della
perdita ricevuta, e in cambio questa può ritirare la denuncia e così far
liberare il colpevole.
“Mia moglie e gli anziani,
uccisero una grande grassa zebù (la vacca locale) e la offrirono in dono assieme
a 160.000 ariary”, circa 60 euro. La famiglia della vittima accettò. Ma poi lo
lasciarono in prigione. Allora la moglie, la signora dal sorriso d’oro, si
riprese la zebù, ma i soldi erano persi.
“Li avevamo dati alle persone
sbagliate. Alla fine pagammo 3 milioni di ariary (quasi mille euro) a uno del
governo, e mi lasciarono andare”.
Gli chiedo se è pentito.
Ride una risata nervosa.
“Non volevo uccidere mica”.
Dice anche che i ladri
continuano a visitare il suo podere: “Le vedo le loro luci, nella notte, tra le
foglie”.
(Il reportage completo sulle
guerre del cacao in Madagascar è in edicola mercoledì su Vanity Fair).
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