Un programma credibile per l’emigrazione italiana vecchia e
nuova non può che partire da un’analisi critica di quanto avvenuto negli ultimi
anni: nel corso della legislatura 2008-2012 ci siamo trovati di fronte ad un
progressivo, quanto rapido e drastico ridimensionamento di tutte le risorse
destinate agli italiani nel mondo.
Il taglio lineare operato dall’ultimo governo Berlusconi sull’intero ventaglio
di capitoli di spesa tradizionali in capo al Ministero degli Affari Esteri è
arrivato a superare il 75%. Essi hanno riguardato i capitoli relativi alla
Scuola e alla Cultura all’estero, all’Assistenza diretta e indiretta, alla Rete
Consolare, alla Stampa, al finanziamento degli istituti di rappresentanza
Comites e CGIE dei quali si attende il rinnovo da oltre tre anni e che è stato
ulteriormente rimandato dal Governo Monti al 2014.
Stallo completo sul fronte degli interventi di formazione professionale
(programma in capo del Ministero del Lavoro), fermo al 2007, pur essendo
presenti consistenti residui non spesi ammontanti a circa 35 milioni di Euro.
Sul fronte dell’insegnamento della lingua italiana, è programmato il
dimezzamento del corpo insegnanti all’estero (da circa 1200 a 600) entro il
2014. Quanto al sostegno all’ associazionismo, vera spina dorsale
dell’emigrazione italiana, esso era stato del tutto cancellato fin dall’ inizio
degli anni 2000 già dai precedenti governi. L'ulteriore riduzione del
contributo ai patronati, inaugurata con Berlusconi e proseguita con Monti, si
scarica fortemente sulle reti estere di questi fondamentali punti di
riferimento per le comunità.
Tutto ciò fa registrare un quadro di complessivo abbandono di una concreta
politica per l’emigrazione italiana, a cui, la novità della rappresentanza
parlamentare non è riuscita, purtroppo, a porre un argine concreto. Anche
questo fatto, lascia registrare il permanente deficit di conoscenza delle
realtà migratorie, dei diritti inalienabili di cui sono portatori i nostri
emigrati e, al contempo,delle grandi opportunità che questa presenza offre
all’Italia in uno scenario globale soprattutto sotto il profilo della
costruzione di nuovi e positivi rapporti di cooperazione culturale, sociale ed
economica tra l’Italia e i paesi di accoglimento.
Alcune proposte:
1) Il ripristino, su valori di spesa accettabili, dei capitoli di spesa
tradizionali per gli italiani all’estero riguardanti le note materie afferenti
a Scuola, Assistenza, Informazione, Formazione professionale, Associazionismo,
Rete Consolare, Servizi di assistenza (Patronati), funzionamento dei Comites e
del CGIE.
2) L’indizione di una seconda conferenza nazionale dell’emigrazione, (l’ultima
è del 2000) da tenersi entro il 2014, in cui mettere a punto la strategia
nazionale in questo settore, tenendo presente in particolare, la crescita dei
flussi di nuova emigrazione verso l’estero, caratterizzati non più da accordi
bilaterali, come è avvenuto per l’emigrazione del dopoguerra, ma da una
ricorsività dei flussi determinata esclusivamente dai movimenti di capitale
internazionale, senza che si assista, almeno al momento, ad alcuna attenzione o
mediazione politica e istituzionale, né tantomeno, ad alcun abbozzo di efficace
azioni di tutela, orientamento o assistenza. La nuova conferenza dovrebbe
rimodulare e rinnovare l’intero approccio istituzionale, centrale e regionale,
rispetto a questi nuovi scenari, da una parte garantendo i diritti inalienabili
dei cittadini migranti italiani e dall’altra individuando come obiettivo
centrale di questa azione, la valorizzazione dell’emigrazione storicamente
stanzializzata nei rispettivi paesi e la strutturazione di contatti permanenti
e di proficuo scambio con la nuova emigrazione giovanile, che costituisce,
oggettivamente, una risorsa nazionale che non può essere definitivamente
perduta o lasciata alla mercé della logica di valorizzazione del capitale
transnazionale.
3) Sul piano delle questioni legate alla rappresentanza va superata ogni
ambiguità legata alla cosiddetta sovrapposizione dei momenti di rappresentanza:
la presenza dei parlamentari dell’estero non svuota, anzi accresce la necessità
di momenti di rappresentanza di base (COMITES) e intermedi (CGIE). Il CGIE non
può che diventare il momento più alto di rappresentanza sociale
(associazionismo, sindacati, patronati) che interloquisce in piena autonomia
con la rappresentanza politico-istituzionale degli eletti in parlamento, con i
partiti, con le istituzioni dello Stato centrale e delle Regioni.
4) Quanto alla realtà associativa, essa va tutelata istituzionalmente, nelle
forme del volontariato e della cittadinanza attiva, innanzitutto perché ha
prodotto e continua a produrre coesione e dialogo intergenerazionale nel
tessuto sociale dell’emigrazione. Rispetto ai nuovi flussi migratori, vi sono
da ricercare occasioni e formule nuove e adeguate ai nuovi scenari che
cominciano a delinearsi, affinché questo patrimonio di risorse umane resti
legato al paese e costituisca l’occasione di rinnovamento di tutta la rete di
organizzazioni che negli ultimi 50-60 anni siamo stati in grado di costruire.
In un’ottica di nuova Europa sociale e di relazioni multilaterali da
ricostruire dopo il fallimento del neoliberismo, la presenza della nuova e
della più antica emigrazione (tra le quali va incentivato la reciproca
conoscenza e comunicazione) costituiscono un valore incontestabile da
riprendere in mano ciascuno nel suo ambito e di cui esigere la giusta e
redditizia valorizzazione a vantaggio soprattutto del paese.
5) Consentire agli italiani all’estero e a i loro figli l’apprendimento della
lingua italiana. Un’altra Italia, della stessa dimensione numerica o
addirittura ancora più grande, chiede di accedere alla lingua e al patrimonio
storico, artistico e di produzione culturale del nostro paese. Dare risposte a
queste domande ha un valore in sé e concorrerebbe certamente in modo positivo a
dare ulteriore senso e significato sociale alla politica di crescita di cui ha
bisogno l’Italia. Tale domanda è espressione di un nuovo bisogno di identità ed
insieme di una competenza capace di allargare le opportunità di inserimento
lavorativo e di cittadinanza attiva. Si ritiene che un programma per la
crescita del Paese non possa prescindere dall’offrire risposte concrete ad
aspettative così sentite e rilevanti. Occorre in tal senso definire nuove
normative a partire dalla riforma della legislazione attuale, strumenti
operativi ed efficaci, risorse e progetti specifici valorizzando anche i mezzi
pubblici di comunicazione di massa e le nuove tecnologie che caratterizzano
tanta parte della produzione di qualità.
6) Un servizio pubblico per tutti gli italiani all’estero. Lo stato italiano ha
il dovere anche tramite la RAI, il servizio pubblico radiotelevisivo, di dare
una risposta a questa domanda. Oggi non è così: i continui tagli e il
peggioramento della situazione della RAI hanno portato non ad un miglioramento,
ma ad una contrazione in qualità e quantità dell’offerta d’informazione verso
l’estero. Occorre invertire questo trend, individuando obiettivi, strumenti e
risorse necessarie. Gli obiettivi devono riguardare la diffusione e la
conoscenza della lingua e della cultura italiana; informare le comunità sui
diritti, l’evoluzione della storia e del costume; valorizzare l’immagine del
nostro paese all’estero; differenziare l’offerta: l’emigrazione del passato, i
loro discendenti e le nuove generazioni che stanno emigrando in questi anni per
motivi di lavoro e di studio. Per fare questo occorre ridefinire il contratto
di servizio della RAI, la convenzione tra Presidenza del Consiglio e RAI.
Le proposte per i pensionati e gli anziani italiani residenti all’estero
L’assegno di solidarietà
Oggi il nostro Stato riconosce il diritto a prestazioni di carattere
prettamente assistenziale solo ai pensionati in condizioni di bisogno residenti
in Italia. Non esiste quindi una misura organica in grado di aiutare i nostri
connazionali anziani in difficoltà residenti all’estero. E’ sempre più
necessario richiedere il riconoscimento di un assegno di solidarietà per le
persone anziane nate in Italia e residenti all’estero in condizioni di povertà,
una richiesta condivisa anche dalle comunità italiane all’estero. Nel corso
della precedente legislatura erano state presentate da parlamentari di tutti
gli schieramenti diverse proposte di legge che sostanzialmente concordavano
sugli obiettivi di fondo.
L’assegno sociale
I requisiti per avere diritto all’assegno sociale sono stati modificati dalla
legge n. 133 del 2008, che ha introdotto l’obbligo dei dieci anni di soggiorno
in via continuativa in Italia. Questo requisito è una condizione impossibile da
realizzare per chi torna in Italia in situazione di bisogno dopo essere
emigrato bambino insieme alla famiglia. Chiediamo dunque l’abrogazione di
questa norma discriminatoria nei confronti dei nostri emigranti più poveri ed
anziani e il ripristino della possibilità per gli anziani italiani che
rientrano in patria di usufruire dell’assegno sociale senza l’obbligo dei dieci
anni di residenza continuativa.
Il pagamento delle pensioni all’estero
Negli ultimi anni, pur in presenza di uno sforzo di normalizzazione, il
pagamento delle pensioni all’estero è stato fonte di disagi e difficoltà.
L’azione dell’Inps e della Citibank si è prevalentemente concentrata sulla
certificazione degli aventi diritto (esistenza in vita) e delle loro condizioni
di reddito (Red Est), con qualche risultato nella diminuzione delle “aree
grigie” e delle omesse denuncie reddituali. Tali campagne hanno però comportato
problemi e disagi per tutti coloro che a causa di condizioni ambientali
sfavorevoli, mancata informazione, disguidi postali, rigidità burocratiche e
assenza di strutture di assistenza (patronati, consolati, ecc.) non riescono ad
adempiere alle procedure nei modi e nei tempi previsti. Si rende quindi
necessario l'emanazione di direttive e impegni precisi perché le strutture
all’estero forniscano ai pensionati tutta l’assistenza necessaria riducendo al
massimo le complicazioni burocratiche.
Il valore delle pensioni all’estero
Il problema del mantenimento del valore reale delle pensioni all’estero si pone
sempre più come un problema rilevante, sia per i tassi di cambio, che per
legislazioni locali particolarmente rigide e punitive (Argentina e Venezuela),
che per transazioni e pagamenti effettuati forzatamente in dollari o in valuta
locale, anziché in euro, a cui si possono accompagnare anche spese bancarie o
di cambio. Il Ministero degli Affari Esteri, l’Inps e la Citibank, dovrebbero
quindi intervenire ognuno per le proprie competenze.
L’Imu per i residenti all’estero
Il pagamento della tassa sugli immobili all’estero riguarda molte persone
pensionate e anziane, la cui casa di proprietà in Italia è la casa di origine,
usata spesso per le sole occasioni di ritorno in Italia. Considerata per anni
come “abitazione principale”, con l’introduzione dell’Imu la casa in Italia
viene ormai ritenuta seconda casa a tutti gli effetti, anche se non affittata,
utilizzata pochi giorni all’anno e se già su di essa si pagano le tariffe dei
servizi comunali per intero. Quello che era uno degli ultimi e principali
legami con il paese di origine si sta trasformando in un costo insostenibile
anche per i pensionati residenti in Paesi con economie avanzate, spingendone
molti a considerarne la vendita.
Gli indebiti pensionistici
Dal 2009 anche per i pensionati residenti all’estero è entrata a regime la
verifica annuale dei redditi, come già per i loro coetanei in Italia. Chiediamo
una sanatoria degli indebiti pensionistici maturati senza dolo dai pensionati
residenti all’estero, una richiesta che oggi è ancora più pertinente, essendo
nel frattempo andati a soluzione molti dei problemi legati a “posizioni
silenti” e tenuto conto che non si è di fronte a una spesa, ma piuttosto a una
mancata entrata e che molti di questi indebiti sono ormai difficilmente
esigibili.
La ratifica degli accordi e delle convenzioni internazionali
Le Convenzioni internazionali bilaterali servono ai diversi Paesi per
regolamentare norme, diritti e prestazioni sociali da erogare ai cittadini
migranti di entrambi gli Stati. Esponenti di Governo e dei partiti dei diversi
schieramenti concordano sulla rilevanza di tali intese e sulle ricadute
positive che queste hanno sui lavoratori e sui pensionati italiani. L’Italia,
tuttavia, si sta purtroppo distinguendo per i ritardi, l’approssimazione e la
scarsa volontà politica nella ratifica di molte Convenzioni internazionali. E’
invece quanto mai necessario pervenire a una revisione di tali convenzioni,
spesso vecchie di decine d’anni e inattuali, per offrire alla vecchia e nuova
emigrazione condizioni e normative utili alla mobilità e ai cambiamenti epocali
in corso.
Necessità di difesa, qualificazione e ampliamento del welfare
L’Italia è da anni il fanalino di coda in ogni tipo di “classifica” europea per
ciò che riguarda gli investimenti nella sicurezza sociale. Mentre in tutta
Europa, negli ultimi anni e anche in piena crisi economica, la spesa per il
welfare è aumentata di quasi 4 punti di PIL, in Italia si è ridotta
progressivamente. Se le cifre ufficiali dicono che la spesa italiana per il
welfare è in media con la UE (circa il 29%), l’analisi approfondita del dato ci
racconta una realtà ben diversa e preoccupante. In Italia, infatti, oltre il
60% della spesa per la sicurezza sociale è costituita da pensioni di vecchiaia
e reversibilità, nonché dai TFR: prestazioni destinate solo ad una parte di
popolazione e, soprattutto, calcolate al “lordo”, quindi comunque poi tassate
dallo Stato.
L’Italia è tra i Paesi che spendono in assoluto di meno per disoccupazione,
sanità, invalidità, infanzia. Ed è l’ultimo in Europa per investimenti in
edilizia sociale e lotta all’esclusione.
Tutto ciò allontana sempre più l’Italia dalla costruzione e dal rafforzamento
dello Stato Sociale, da quel modello di cittadinanza, inclusione e sicurezza
sociale che – nato nel vecchio continente - sempre più viene perseguito non
solo dalle nazioni economicamente emergenti, ma anche da quelle – come nel Nord
America - tradizionalmente caratterizzate da una feroce economia liberista.
I mancati investimenti sul welfare e contemporaneamente i tagli operati su
alcuni capitoli come ad esempio le pensioni, infatti, da una parte colpiscono
direttamente anche i nostri pensionati residenti all’estero; dall’altra
aggravano drammaticamente la condizione dei giovani italiani, devastati da
tassi di disoccupazione che sfiorano ormai il 40%.
Giovani costretti, di conseguenza, a ripopolare in modo sempre più massiccio il
flusso di emigrazione dal nostro Paese verso altre mete: e se fino ad alcuni
anni fa ci si poteva lamentare che dall’Italia fuggissero solo giovani con alta
o altissima scolarizzazione, in cerca di lavori adeguati alla loro
preparazione, oggi tornano ad emigrare ragazze e ragazzi alla ricerca di un
lavoro qualsiasi, di un impiego e di un reddito che permetta loro di vivere,
magari verso Paesi che hanno – appunto - una rete di protezione sociale tale da
garantirgli in ogni caso condizioni di vita dignitose.
Anche per questo chiediamo alle Autorità diplomatiche italiane all’estero di
conformarsi allo spirito del “Manifesto per un welfare del XXI secolo”.
Presentato dalla Rivista per le Politiche Sociali, il “Manifesto” ha lo scopo
di rilanciare l’idea di welfare anche nel XXI secolo, come risposta alle
ingiustizie e alle diseguaglianze sociali, promuovendo un ampio movimento di
forze politiche, sociali, studiosi, associazioni a difesa della visione
centrale e strategica del welfare.
L’idea portante del “Manifesto” è che il welfare funzioni non solamente come
sistema di protezione dai rischi, ma soprattutto come grande motore di crescita
e sviluppo – economico, sociale, umano. Che la sua tutela e rafforzamento siano
ancor più necessari negli anni di crisi economica e che solo attraverso il suo
ampliamento è possibile garantire anche ai grandi fenomeni di migrazione un
approccio giusto, equo, inclusivo.
(Link:
http://www.ediesseonline.it/riviste/rps/eventi/manifesto-un-welfare-del-xxi-secolo)
Questa nuova sensibilità ai temi del welfare deve inserirsi in una prospettiva
di cambiamento, di impegno sociale, di costruzione di un sistema più equo e
giusto, per tutti i nostri concittadini: per quelli residenti in Italia, per
quelli residenti all’estero, per quelli – sempre di più - che hanno intenzione
di migrare dal nostro Paese e per quelli che, da altri Paesi, vengono in
Italia.