Stato dell’informazione degli italiani residenti all’estero: criticità
e proposte
Un programma credibile per l’emigrazione italiana vecchia e
nuova non può che partire da un’analisi critica di quanto avvenuto negli ultimi
anni: nel corso della legislatura 2008-2012 ci siamo trovati di fronte ad un
progressivo, quanto rapido e drastico ridimensionamento di tutte le risorse
destinate agli italiani nel mondo.
Il taglio lineare operato dall’ultimo governo Berlusconi sull’intero ventaglio di capitoli di spesa tradizionali in capo al Ministero degli Affari Esteri è arrivato a superare il 75%. Essi hanno riguardato i capitoli relativi alla Scuola e alla Cultura all’estero, all’Assistenza diretta e indiretta, alla Rete Consolare, alla Stampa, al finanziamento degli istituti di rappresentanza Comites e CGIE dei quali si attende il rinnovo da oltre tre anni e che è stato ulteriormente rimandato dal Governo Monti al 2014.
Stallo completo sul fronte degli interventi di formazione professionale (programma in capo del Ministero del Lavoro), fermo al 2007, pur essendo presenti consistenti residui non spesi ammontanti a circa 35 milioni di Euro. Sul fronte dell’insegnamento della lingua italiana, è programmato il dimezzamento del corpo insegnanti all’estero (da circa 1200 a 600) entro il 2014. Quanto al sostegno all’ associazionismo, vera spina dorsale dell’emigrazione italiana, esso era stato del tutto cancellato fin dall’ inizio degli anni 2000 già dai precedenti governi. L'ulteriore riduzione del contributo ai patronati, inaugurata con Berlusconi e proseguita con Monti, si scarica fortemente sulle reti estere di questi fondamentali punti di riferimento per le comunità.
Tutto ciò fa registrare un quadro di complessivo abbandono di una concreta politica per l’emigrazione italiana, a cui, la novità della rappresentanza parlamentare non è riuscita, purtroppo, a porre un argine concreto. Anche questo fatto, lascia registrare il permanente deficit di conoscenza delle realtà migratorie, dei diritti inalienabili di cui sono portatori i nostri emigrati e, al contempo,delle grandi opportunità che questa presenza offre all’Italia in uno scenario globale soprattutto sotto il profilo della costruzione di nuovi e positivi rapporti di cooperazione culturale, sociale ed economica tra l’Italia e i paesi di accoglimento.
Alcune proposte:
1) Il ripristino, su valori di spesa accettabili, dei capitoli di spesa tradizionali per gli italiani all’estero riguardanti le note materie afferenti a Scuola, Assistenza, Informazione, Formazione professionale, Associazionismo, Rete Consolare, Servizi di assistenza (Patronati), funzionamento dei Comites e del CGIE.
2) L’indizione di una seconda conferenza nazionale dell’emigrazione, (l’ultima è del 2000) da tenersi entro il 2014, in cui mettere a punto la strategia nazionale in questo settore, tenendo presente in particolare, la crescita dei flussi di nuova emigrazione verso l’estero, caratterizzati non più da accordi bilaterali, come è avvenuto per l’emigrazione del dopoguerra, ma da una ricorsività dei flussi determinata esclusivamente dai movimenti di capitale internazionale, senza che si assista, almeno al momento, ad alcuna attenzione o mediazione politica e istituzionale, né tantomeno, ad alcun abbozzo di efficace azioni di tutela, orientamento o assistenza. La nuova conferenza dovrebbe rimodulare e rinnovare l’intero approccio istituzionale, centrale e regionale, rispetto a questi nuovi scenari, da una parte garantendo i diritti inalienabili dei cittadini migranti italiani e dall’altra individuando come obiettivo centrale di questa azione, la valorizzazione dell’emigrazione storicamente stanzializzata nei rispettivi paesi e la strutturazione di contatti permanenti e di proficuo scambio con la nuova emigrazione giovanile, che costituisce, oggettivamente, una risorsa nazionale che non può essere definitivamente perduta o lasciata alla mercé della logica di valorizzazione del capitale transnazionale.
3) Sul piano delle questioni legate alla rappresentanza va superata ogni ambiguità legata alla cosiddetta sovrapposizione dei momenti di rappresentanza: la presenza dei parlamentari dell’estero non svuota, anzi accresce la necessità di momenti di rappresentanza di base (COMITES) e intermedi (CGIE). Il CGIE non può che diventare il momento più alto di rappresentanza sociale (associazionismo, sindacati, patronati) che interloquisce in piena autonomia con la rappresentanza politico-istituzionale degli eletti in parlamento, con i partiti, con le istituzioni dello Stato centrale e delle Regioni.
4) Quanto alla realtà associativa, essa va tutelata istituzionalmente, nelle forme del volontariato e della cittadinanza attiva, innanzitutto perché ha prodotto e continua a produrre coesione e dialogo intergenerazionale nel tessuto sociale dell’emigrazione. Rispetto ai nuovi flussi migratori, vi sono da ricercare occasioni e formule nuove e adeguate ai nuovi scenari che cominciano a delinearsi, affinché questo patrimonio di risorse umane resti legato al paese e costituisca l’occasione di rinnovamento di tutta la rete di organizzazioni che negli ultimi 50-60 anni siamo stati in grado di costruire. In un’ottica di nuova Europa sociale e di relazioni multilaterali da ricostruire dopo il fallimento del neoliberismo, la presenza della nuova e della più antica emigrazione (tra le quali va incentivato la reciproca conoscenza e comunicazione) costituiscono un valore incontestabile da riprendere in mano ciascuno nel suo ambito e di cui esigere la giusta e redditizia valorizzazione a vantaggio soprattutto del paese.
5) Consentire agli italiani all’estero e a i loro figli l’apprendimento della lingua italiana. Un’altra Italia, della stessa dimensione numerica o addirittura ancora più grande, chiede di accedere alla lingua e al patrimonio storico, artistico e di produzione culturale del nostro paese. Dare risposte a queste domande ha un valore in sé e concorrerebbe certamente in modo positivo a dare ulteriore senso e significato sociale alla politica di crescita di cui ha bisogno l’Italia. Tale domanda è espressione di un nuovo bisogno di identità ed insieme di una competenza capace di allargare le opportunità di inserimento lavorativo e di cittadinanza attiva. Si ritiene che un programma per la crescita del Paese non possa prescindere dall’offrire risposte concrete ad aspettative così sentite e rilevanti. Occorre in tal senso definire nuove normative a partire dalla riforma della legislazione attuale, strumenti operativi ed efficaci, risorse e progetti specifici valorizzando anche i mezzi pubblici di comunicazione di massa e le nuove tecnologie che caratterizzano tanta parte della produzione di qualità.
6) Un servizio pubblico per tutti gli italiani all’estero. Lo stato italiano ha il dovere anche tramite la RAI, il servizio pubblico radiotelevisivo, di dare una risposta a questa domanda. Oggi non è così: i continui tagli e il peggioramento della situazione della RAI hanno portato non ad un miglioramento, ma ad una contrazione in qualità e quantità dell’offerta d’informazione verso l’estero. Occorre invertire questo trend, individuando obiettivi, strumenti e risorse necessarie. Gli obiettivi devono riguardare la diffusione e la conoscenza della lingua e della cultura italiana; informare le comunità sui diritti, l’evoluzione della storia e del costume; valorizzare l’immagine del nostro paese all’estero; differenziare l’offerta: l’emigrazione del passato, i loro discendenti e le nuove generazioni che stanno emigrando in questi anni per motivi di lavoro e di studio. Per fare questo occorre ridefinire il contratto di servizio della RAI, la convenzione tra Presidenza del Consiglio e RAI.
Le proposte per i pensionati e gli anziani italiani residenti all’estero
L’assegno di solidarietà
Oggi il nostro Stato riconosce il diritto a prestazioni di carattere prettamente assistenziale solo ai pensionati in condizioni di bisogno residenti in Italia. Non esiste quindi una misura organica in grado di aiutare i nostri connazionali anziani in difficoltà residenti all’estero. E’ sempre più necessario richiedere il riconoscimento di un assegno di solidarietà per le persone anziane nate in Italia e residenti all’estero in condizioni di povertà, una richiesta condivisa anche dalle comunità italiane all’estero. Nel corso della precedente legislatura erano state presentate da parlamentari di tutti gli schieramenti diverse proposte di legge che sostanzialmente concordavano sugli obiettivi di fondo.
L’assegno sociale
I requisiti per avere diritto all’assegno sociale sono stati modificati dalla legge n. 133 del 2008, che ha introdotto l’obbligo dei dieci anni di soggiorno in via continuativa in Italia. Questo requisito è una condizione impossibile da realizzare per chi torna in Italia in situazione di bisogno dopo essere emigrato bambino insieme alla famiglia. Chiediamo dunque l’abrogazione di questa norma discriminatoria nei confronti dei nostri emigranti più poveri ed anziani e il ripristino della possibilità per gli anziani italiani che rientrano in patria di usufruire dell’assegno sociale senza l’obbligo dei dieci anni di residenza continuativa.
Il pagamento delle pensioni all’estero
Negli ultimi anni, pur in presenza di uno sforzo di normalizzazione, il pagamento delle pensioni all’estero è stato fonte di disagi e difficoltà. L’azione dell’Inps e della Citibank si è prevalentemente concentrata sulla certificazione degli aventi diritto (esistenza in vita) e delle loro condizioni di reddito (Red Est), con qualche risultato nella diminuzione delle “aree grigie” e delle omesse denuncie reddituali. Tali campagne hanno però comportato problemi e disagi per tutti coloro che a causa di condizioni ambientali sfavorevoli, mancata informazione, disguidi postali, rigidità burocratiche e assenza di strutture di assistenza (patronati, consolati, ecc.) non riescono ad adempiere alle procedure nei modi e nei tempi previsti. Si rende quindi necessario l'emanazione di direttive e impegni precisi perché le strutture all’estero forniscano ai pensionati tutta l’assistenza necessaria riducendo al massimo le complicazioni burocratiche.
Il valore delle pensioni all’estero
Il problema del mantenimento del valore reale delle pensioni all’estero si pone sempre più come un problema rilevante, sia per i tassi di cambio, che per legislazioni locali particolarmente rigide e punitive (Argentina e Venezuela), che per transazioni e pagamenti effettuati forzatamente in dollari o in valuta locale, anziché in euro, a cui si possono accompagnare anche spese bancarie o di cambio. Il Ministero degli Affari Esteri, l’Inps e la Citibank, dovrebbero quindi intervenire ognuno per le proprie competenze.
L’Imu per i residenti all’estero
Il pagamento della tassa sugli immobili all’estero riguarda molte persone pensionate e anziane, la cui casa di proprietà in Italia è la casa di origine, usata spesso per le sole occasioni di ritorno in Italia. Considerata per anni come “abitazione principale”, con l’introduzione dell’Imu la casa in Italia viene ormai ritenuta seconda casa a tutti gli effetti, anche se non affittata, utilizzata pochi giorni all’anno e se già su di essa si pagano le tariffe dei servizi comunali per intero. Quello che era uno degli ultimi e principali legami con il paese di origine si sta trasformando in un costo insostenibile anche per i pensionati residenti in Paesi con economie avanzate, spingendone molti a considerarne la vendita.
Gli indebiti pensionistici
Dal 2009 anche per i pensionati residenti all’estero è entrata a regime la verifica annuale dei redditi, come già per i loro coetanei in Italia. Chiediamo una sanatoria degli indebiti pensionistici maturati senza dolo dai pensionati residenti all’estero, una richiesta che oggi è ancora più pertinente, essendo nel frattempo andati a soluzione molti dei problemi legati a “posizioni silenti” e tenuto conto che non si è di fronte a una spesa, ma piuttosto a una mancata entrata e che molti di questi indebiti sono ormai difficilmente esigibili.
La ratifica degli accordi e delle convenzioni internazionali
Le Convenzioni internazionali bilaterali servono ai diversi Paesi per regolamentare norme, diritti e prestazioni sociali da erogare ai cittadini migranti di entrambi gli Stati. Esponenti di Governo e dei partiti dei diversi schieramenti concordano sulla rilevanza di tali intese e sulle ricadute positive che queste hanno sui lavoratori e sui pensionati italiani. L’Italia, tuttavia, si sta purtroppo distinguendo per i ritardi, l’approssimazione e la scarsa volontà politica nella ratifica di molte Convenzioni internazionali. E’ invece quanto mai necessario pervenire a una revisione di tali convenzioni, spesso vecchie di decine d’anni e inattuali, per offrire alla vecchia e nuova emigrazione condizioni e normative utili alla mobilità e ai cambiamenti epocali in corso.
Necessità di difesa, qualificazione e ampliamento del welfare
L’Italia è da anni il fanalino di coda in ogni tipo di “classifica” europea per ciò che riguarda gli investimenti nella sicurezza sociale. Mentre in tutta Europa, negli ultimi anni e anche in piena crisi economica, la spesa per il welfare è aumentata di quasi 4 punti di PIL, in Italia si è ridotta progressivamente. Se le cifre ufficiali dicono che la spesa italiana per il welfare è in media con la UE (circa il 29%), l’analisi approfondita del dato ci racconta una realtà ben diversa e preoccupante. In Italia, infatti, oltre il 60% della spesa per la sicurezza sociale è costituita da pensioni di vecchiaia e reversibilità, nonché dai TFR: prestazioni destinate solo ad una parte di popolazione e, soprattutto, calcolate al “lordo”, quindi comunque poi tassate dallo Stato.
L’Italia è tra i Paesi che spendono in assoluto di meno per disoccupazione, sanità, invalidità, infanzia. Ed è l’ultimo in Europa per investimenti in edilizia sociale e lotta all’esclusione.
Tutto ciò allontana sempre più l’Italia dalla costruzione e dal rafforzamento dello Stato Sociale, da quel modello di cittadinanza, inclusione e sicurezza sociale che – nato nel vecchio continente - sempre più viene perseguito non solo dalle nazioni economicamente emergenti, ma anche da quelle – come nel Nord America - tradizionalmente caratterizzate da una feroce economia liberista.
I mancati investimenti sul welfare e contemporaneamente i tagli operati su alcuni capitoli come ad esempio le pensioni, infatti, da una parte colpiscono direttamente anche i nostri pensionati residenti all’estero; dall’altra aggravano drammaticamente la condizione dei giovani italiani, devastati da tassi di disoccupazione che sfiorano ormai il 40%.
Giovani costretti, di conseguenza, a ripopolare in modo sempre più massiccio il flusso di emigrazione dal nostro Paese verso altre mete: e se fino ad alcuni anni fa ci si poteva lamentare che dall’Italia fuggissero solo giovani con alta o altissima scolarizzazione, in cerca di lavori adeguati alla loro preparazione, oggi tornano ad emigrare ragazze e ragazzi alla ricerca di un lavoro qualsiasi, di un impiego e di un reddito che permetta loro di vivere, magari verso Paesi che hanno – appunto - una rete di protezione sociale tale da garantirgli in ogni caso condizioni di vita dignitose.
Anche per questo chiediamo alle Autorità diplomatiche italiane all’estero di conformarsi allo spirito del “Manifesto per un welfare del XXI secolo”. Presentato dalla Rivista per le Politiche Sociali, il “Manifesto” ha lo scopo di rilanciare l’idea di welfare anche nel XXI secolo, come risposta alle ingiustizie e alle diseguaglianze sociali, promuovendo un ampio movimento di forze politiche, sociali, studiosi, associazioni a difesa della visione centrale e strategica del welfare.
L’idea portante del “Manifesto” è che il welfare funzioni non solamente come sistema di protezione dai rischi, ma soprattutto come grande motore di crescita e sviluppo – economico, sociale, umano. Che la sua tutela e rafforzamento siano ancor più necessari negli anni di crisi economica e che solo attraverso il suo ampliamento è possibile garantire anche ai grandi fenomeni di migrazione un approccio giusto, equo, inclusivo.
(Link: http://www.ediesseonline.it/riviste/rps/eventi/manifesto-un-welfare-del-xxi-secolo)
Questa nuova sensibilità ai temi del welfare deve inserirsi in una prospettiva di cambiamento, di impegno sociale, di costruzione di un sistema più equo e giusto, per tutti i nostri concittadini: per quelli residenti in Italia, per quelli residenti all’estero, per quelli – sempre di più - che hanno intenzione di migrare dal nostro Paese e per quelli che, da altri Paesi, vengono in Italia.
Il taglio lineare operato dall’ultimo governo Berlusconi sull’intero ventaglio di capitoli di spesa tradizionali in capo al Ministero degli Affari Esteri è arrivato a superare il 75%. Essi hanno riguardato i capitoli relativi alla Scuola e alla Cultura all’estero, all’Assistenza diretta e indiretta, alla Rete Consolare, alla Stampa, al finanziamento degli istituti di rappresentanza Comites e CGIE dei quali si attende il rinnovo da oltre tre anni e che è stato ulteriormente rimandato dal Governo Monti al 2014.
Stallo completo sul fronte degli interventi di formazione professionale (programma in capo del Ministero del Lavoro), fermo al 2007, pur essendo presenti consistenti residui non spesi ammontanti a circa 35 milioni di Euro. Sul fronte dell’insegnamento della lingua italiana, è programmato il dimezzamento del corpo insegnanti all’estero (da circa 1200 a 600) entro il 2014. Quanto al sostegno all’ associazionismo, vera spina dorsale dell’emigrazione italiana, esso era stato del tutto cancellato fin dall’ inizio degli anni 2000 già dai precedenti governi. L'ulteriore riduzione del contributo ai patronati, inaugurata con Berlusconi e proseguita con Monti, si scarica fortemente sulle reti estere di questi fondamentali punti di riferimento per le comunità.
Tutto ciò fa registrare un quadro di complessivo abbandono di una concreta politica per l’emigrazione italiana, a cui, la novità della rappresentanza parlamentare non è riuscita, purtroppo, a porre un argine concreto. Anche questo fatto, lascia registrare il permanente deficit di conoscenza delle realtà migratorie, dei diritti inalienabili di cui sono portatori i nostri emigrati e, al contempo,delle grandi opportunità che questa presenza offre all’Italia in uno scenario globale soprattutto sotto il profilo della costruzione di nuovi e positivi rapporti di cooperazione culturale, sociale ed economica tra l’Italia e i paesi di accoglimento.
Alcune proposte:
1) Il ripristino, su valori di spesa accettabili, dei capitoli di spesa tradizionali per gli italiani all’estero riguardanti le note materie afferenti a Scuola, Assistenza, Informazione, Formazione professionale, Associazionismo, Rete Consolare, Servizi di assistenza (Patronati), funzionamento dei Comites e del CGIE.
2) L’indizione di una seconda conferenza nazionale dell’emigrazione, (l’ultima è del 2000) da tenersi entro il 2014, in cui mettere a punto la strategia nazionale in questo settore, tenendo presente in particolare, la crescita dei flussi di nuova emigrazione verso l’estero, caratterizzati non più da accordi bilaterali, come è avvenuto per l’emigrazione del dopoguerra, ma da una ricorsività dei flussi determinata esclusivamente dai movimenti di capitale internazionale, senza che si assista, almeno al momento, ad alcuna attenzione o mediazione politica e istituzionale, né tantomeno, ad alcun abbozzo di efficace azioni di tutela, orientamento o assistenza. La nuova conferenza dovrebbe rimodulare e rinnovare l’intero approccio istituzionale, centrale e regionale, rispetto a questi nuovi scenari, da una parte garantendo i diritti inalienabili dei cittadini migranti italiani e dall’altra individuando come obiettivo centrale di questa azione, la valorizzazione dell’emigrazione storicamente stanzializzata nei rispettivi paesi e la strutturazione di contatti permanenti e di proficuo scambio con la nuova emigrazione giovanile, che costituisce, oggettivamente, una risorsa nazionale che non può essere definitivamente perduta o lasciata alla mercé della logica di valorizzazione del capitale transnazionale.
3) Sul piano delle questioni legate alla rappresentanza va superata ogni ambiguità legata alla cosiddetta sovrapposizione dei momenti di rappresentanza: la presenza dei parlamentari dell’estero non svuota, anzi accresce la necessità di momenti di rappresentanza di base (COMITES) e intermedi (CGIE). Il CGIE non può che diventare il momento più alto di rappresentanza sociale (associazionismo, sindacati, patronati) che interloquisce in piena autonomia con la rappresentanza politico-istituzionale degli eletti in parlamento, con i partiti, con le istituzioni dello Stato centrale e delle Regioni.
4) Quanto alla realtà associativa, essa va tutelata istituzionalmente, nelle forme del volontariato e della cittadinanza attiva, innanzitutto perché ha prodotto e continua a produrre coesione e dialogo intergenerazionale nel tessuto sociale dell’emigrazione. Rispetto ai nuovi flussi migratori, vi sono da ricercare occasioni e formule nuove e adeguate ai nuovi scenari che cominciano a delinearsi, affinché questo patrimonio di risorse umane resti legato al paese e costituisca l’occasione di rinnovamento di tutta la rete di organizzazioni che negli ultimi 50-60 anni siamo stati in grado di costruire. In un’ottica di nuova Europa sociale e di relazioni multilaterali da ricostruire dopo il fallimento del neoliberismo, la presenza della nuova e della più antica emigrazione (tra le quali va incentivato la reciproca conoscenza e comunicazione) costituiscono un valore incontestabile da riprendere in mano ciascuno nel suo ambito e di cui esigere la giusta e redditizia valorizzazione a vantaggio soprattutto del paese.
5) Consentire agli italiani all’estero e a i loro figli l’apprendimento della lingua italiana. Un’altra Italia, della stessa dimensione numerica o addirittura ancora più grande, chiede di accedere alla lingua e al patrimonio storico, artistico e di produzione culturale del nostro paese. Dare risposte a queste domande ha un valore in sé e concorrerebbe certamente in modo positivo a dare ulteriore senso e significato sociale alla politica di crescita di cui ha bisogno l’Italia. Tale domanda è espressione di un nuovo bisogno di identità ed insieme di una competenza capace di allargare le opportunità di inserimento lavorativo e di cittadinanza attiva. Si ritiene che un programma per la crescita del Paese non possa prescindere dall’offrire risposte concrete ad aspettative così sentite e rilevanti. Occorre in tal senso definire nuove normative a partire dalla riforma della legislazione attuale, strumenti operativi ed efficaci, risorse e progetti specifici valorizzando anche i mezzi pubblici di comunicazione di massa e le nuove tecnologie che caratterizzano tanta parte della produzione di qualità.
6) Un servizio pubblico per tutti gli italiani all’estero. Lo stato italiano ha il dovere anche tramite la RAI, il servizio pubblico radiotelevisivo, di dare una risposta a questa domanda. Oggi non è così: i continui tagli e il peggioramento della situazione della RAI hanno portato non ad un miglioramento, ma ad una contrazione in qualità e quantità dell’offerta d’informazione verso l’estero. Occorre invertire questo trend, individuando obiettivi, strumenti e risorse necessarie. Gli obiettivi devono riguardare la diffusione e la conoscenza della lingua e della cultura italiana; informare le comunità sui diritti, l’evoluzione della storia e del costume; valorizzare l’immagine del nostro paese all’estero; differenziare l’offerta: l’emigrazione del passato, i loro discendenti e le nuove generazioni che stanno emigrando in questi anni per motivi di lavoro e di studio. Per fare questo occorre ridefinire il contratto di servizio della RAI, la convenzione tra Presidenza del Consiglio e RAI.
Le proposte per i pensionati e gli anziani italiani residenti all’estero
L’assegno di solidarietà
Oggi il nostro Stato riconosce il diritto a prestazioni di carattere prettamente assistenziale solo ai pensionati in condizioni di bisogno residenti in Italia. Non esiste quindi una misura organica in grado di aiutare i nostri connazionali anziani in difficoltà residenti all’estero. E’ sempre più necessario richiedere il riconoscimento di un assegno di solidarietà per le persone anziane nate in Italia e residenti all’estero in condizioni di povertà, una richiesta condivisa anche dalle comunità italiane all’estero. Nel corso della precedente legislatura erano state presentate da parlamentari di tutti gli schieramenti diverse proposte di legge che sostanzialmente concordavano sugli obiettivi di fondo.
L’assegno sociale
I requisiti per avere diritto all’assegno sociale sono stati modificati dalla legge n. 133 del 2008, che ha introdotto l’obbligo dei dieci anni di soggiorno in via continuativa in Italia. Questo requisito è una condizione impossibile da realizzare per chi torna in Italia in situazione di bisogno dopo essere emigrato bambino insieme alla famiglia. Chiediamo dunque l’abrogazione di questa norma discriminatoria nei confronti dei nostri emigranti più poveri ed anziani e il ripristino della possibilità per gli anziani italiani che rientrano in patria di usufruire dell’assegno sociale senza l’obbligo dei dieci anni di residenza continuativa.
Il pagamento delle pensioni all’estero
Negli ultimi anni, pur in presenza di uno sforzo di normalizzazione, il pagamento delle pensioni all’estero è stato fonte di disagi e difficoltà. L’azione dell’Inps e della Citibank si è prevalentemente concentrata sulla certificazione degli aventi diritto (esistenza in vita) e delle loro condizioni di reddito (Red Est), con qualche risultato nella diminuzione delle “aree grigie” e delle omesse denuncie reddituali. Tali campagne hanno però comportato problemi e disagi per tutti coloro che a causa di condizioni ambientali sfavorevoli, mancata informazione, disguidi postali, rigidità burocratiche e assenza di strutture di assistenza (patronati, consolati, ecc.) non riescono ad adempiere alle procedure nei modi e nei tempi previsti. Si rende quindi necessario l'emanazione di direttive e impegni precisi perché le strutture all’estero forniscano ai pensionati tutta l’assistenza necessaria riducendo al massimo le complicazioni burocratiche.
Il valore delle pensioni all’estero
Il problema del mantenimento del valore reale delle pensioni all’estero si pone sempre più come un problema rilevante, sia per i tassi di cambio, che per legislazioni locali particolarmente rigide e punitive (Argentina e Venezuela), che per transazioni e pagamenti effettuati forzatamente in dollari o in valuta locale, anziché in euro, a cui si possono accompagnare anche spese bancarie o di cambio. Il Ministero degli Affari Esteri, l’Inps e la Citibank, dovrebbero quindi intervenire ognuno per le proprie competenze.
L’Imu per i residenti all’estero
Il pagamento della tassa sugli immobili all’estero riguarda molte persone pensionate e anziane, la cui casa di proprietà in Italia è la casa di origine, usata spesso per le sole occasioni di ritorno in Italia. Considerata per anni come “abitazione principale”, con l’introduzione dell’Imu la casa in Italia viene ormai ritenuta seconda casa a tutti gli effetti, anche se non affittata, utilizzata pochi giorni all’anno e se già su di essa si pagano le tariffe dei servizi comunali per intero. Quello che era uno degli ultimi e principali legami con il paese di origine si sta trasformando in un costo insostenibile anche per i pensionati residenti in Paesi con economie avanzate, spingendone molti a considerarne la vendita.
Gli indebiti pensionistici
Dal 2009 anche per i pensionati residenti all’estero è entrata a regime la verifica annuale dei redditi, come già per i loro coetanei in Italia. Chiediamo una sanatoria degli indebiti pensionistici maturati senza dolo dai pensionati residenti all’estero, una richiesta che oggi è ancora più pertinente, essendo nel frattempo andati a soluzione molti dei problemi legati a “posizioni silenti” e tenuto conto che non si è di fronte a una spesa, ma piuttosto a una mancata entrata e che molti di questi indebiti sono ormai difficilmente esigibili.
La ratifica degli accordi e delle convenzioni internazionali
Le Convenzioni internazionali bilaterali servono ai diversi Paesi per regolamentare norme, diritti e prestazioni sociali da erogare ai cittadini migranti di entrambi gli Stati. Esponenti di Governo e dei partiti dei diversi schieramenti concordano sulla rilevanza di tali intese e sulle ricadute positive che queste hanno sui lavoratori e sui pensionati italiani. L’Italia, tuttavia, si sta purtroppo distinguendo per i ritardi, l’approssimazione e la scarsa volontà politica nella ratifica di molte Convenzioni internazionali. E’ invece quanto mai necessario pervenire a una revisione di tali convenzioni, spesso vecchie di decine d’anni e inattuali, per offrire alla vecchia e nuova emigrazione condizioni e normative utili alla mobilità e ai cambiamenti epocali in corso.
Necessità di difesa, qualificazione e ampliamento del welfare
L’Italia è da anni il fanalino di coda in ogni tipo di “classifica” europea per ciò che riguarda gli investimenti nella sicurezza sociale. Mentre in tutta Europa, negli ultimi anni e anche in piena crisi economica, la spesa per il welfare è aumentata di quasi 4 punti di PIL, in Italia si è ridotta progressivamente. Se le cifre ufficiali dicono che la spesa italiana per il welfare è in media con la UE (circa il 29%), l’analisi approfondita del dato ci racconta una realtà ben diversa e preoccupante. In Italia, infatti, oltre il 60% della spesa per la sicurezza sociale è costituita da pensioni di vecchiaia e reversibilità, nonché dai TFR: prestazioni destinate solo ad una parte di popolazione e, soprattutto, calcolate al “lordo”, quindi comunque poi tassate dallo Stato.
L’Italia è tra i Paesi che spendono in assoluto di meno per disoccupazione, sanità, invalidità, infanzia. Ed è l’ultimo in Europa per investimenti in edilizia sociale e lotta all’esclusione.
Tutto ciò allontana sempre più l’Italia dalla costruzione e dal rafforzamento dello Stato Sociale, da quel modello di cittadinanza, inclusione e sicurezza sociale che – nato nel vecchio continente - sempre più viene perseguito non solo dalle nazioni economicamente emergenti, ma anche da quelle – come nel Nord America - tradizionalmente caratterizzate da una feroce economia liberista.
I mancati investimenti sul welfare e contemporaneamente i tagli operati su alcuni capitoli come ad esempio le pensioni, infatti, da una parte colpiscono direttamente anche i nostri pensionati residenti all’estero; dall’altra aggravano drammaticamente la condizione dei giovani italiani, devastati da tassi di disoccupazione che sfiorano ormai il 40%.
Giovani costretti, di conseguenza, a ripopolare in modo sempre più massiccio il flusso di emigrazione dal nostro Paese verso altre mete: e se fino ad alcuni anni fa ci si poteva lamentare che dall’Italia fuggissero solo giovani con alta o altissima scolarizzazione, in cerca di lavori adeguati alla loro preparazione, oggi tornano ad emigrare ragazze e ragazzi alla ricerca di un lavoro qualsiasi, di un impiego e di un reddito che permetta loro di vivere, magari verso Paesi che hanno – appunto - una rete di protezione sociale tale da garantirgli in ogni caso condizioni di vita dignitose.
Anche per questo chiediamo alle Autorità diplomatiche italiane all’estero di conformarsi allo spirito del “Manifesto per un welfare del XXI secolo”. Presentato dalla Rivista per le Politiche Sociali, il “Manifesto” ha lo scopo di rilanciare l’idea di welfare anche nel XXI secolo, come risposta alle ingiustizie e alle diseguaglianze sociali, promuovendo un ampio movimento di forze politiche, sociali, studiosi, associazioni a difesa della visione centrale e strategica del welfare.
L’idea portante del “Manifesto” è che il welfare funzioni non solamente come sistema di protezione dai rischi, ma soprattutto come grande motore di crescita e sviluppo – economico, sociale, umano. Che la sua tutela e rafforzamento siano ancor più necessari negli anni di crisi economica e che solo attraverso il suo ampliamento è possibile garantire anche ai grandi fenomeni di migrazione un approccio giusto, equo, inclusivo.
(Link: http://www.ediesseonline.it/riviste/rps/eventi/manifesto-un-welfare-del-xxi-secolo)
Questa nuova sensibilità ai temi del welfare deve inserirsi in una prospettiva di cambiamento, di impegno sociale, di costruzione di un sistema più equo e giusto, per tutti i nostri concittadini: per quelli residenti in Italia, per quelli residenti all’estero, per quelli – sempre di più - che hanno intenzione di migrare dal nostro Paese e per quelli che, da altri Paesi, vengono in Italia.
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