La
volta stellata dell'emisfero australe, nella sua incommensurabile bellezza,
illuminava le profonde orme nella sabbia che mano a mano mi lasciavo alle
spalle lungo la costa.
La
brezza oceanica alleviava appena, nonostante fosse tarda notte, il pesante
senso di soffocamento e di elevata umidità presenti a quelle latitudini. Era il
mese di ottobre, l'inizio dell'estate per l'isola del Madagascar, e la costa
orientale dove il mio viaggio aveva inizio era particolarmente rinomata per le
sue condizioni climatiche estreme. Avevo raggiunto Antalaha, una fatiscente
cittadina che tra un edificio ed un altro lasciava intravedere un passato
tipicamente coloniale come la maggior parte degli insediamenti costiero/urbani
che si affacciano lungo tutto l’Oceano Indiano. L’unico denominatore che sembra
caratterizzare tra loro questi insediamenti è il comune stato di degrado
sottolineato dal totale abbandono delle strutture, in continua balia tra eventi
naturali e la totale noncuranza di chi oggi, cinquant’anni dopo un’indipendenza
tanto cercata, ha deciso di vivere il presente come se niente e nessuno mai
avesse raggiunto queste lontane terre. Una città di pescatori caratterizzata
dalla presenza lungo tutto il tratto costiero di cantieri navali popolati da
abili maestri d’ascia che con la propria abilità tramandata di padre in figlio
costruiscono imbarcazioni di grossa stazza destinate alla pesca fuori dalla
barriera corallina e quindi costruite solidamente per resistere alle
sollecitazioni dell’oceano. Chiaramente quando faccio riferimento al termine
cantiere non intendo certo quello che siamo soliti immaginare dalle nostre
parti, ma comunque nonostante le limitate condizioni riscontrai con stupore una
certa organizzazione e dei risultati di tutto rispetto, segno di una profonda
scuola e tradizione. Divenuta negli anni capitale nella produzione della
vaniglia, Antalaha , ad oggi si presentava come una profumata e spensierata
meta assolutamente fuori dalle già poco frequentate rotte turistiche dell’isola
rossa, anche grazie al fatto che le sue acque non risultavano particolarmente
rinomate, rispetto ad altre rotte della costa occidentale, in quanto poco
limpide e di ancor meno sicura balneazione. Avevo raggiunto questa meta per
mezzo di un volo interno organizzato dalla TAM, la compagnia di risposta
all’unica presente nell’isola battente bandiera malgascia , collegato con la
capitale e una volta arrivato all’aeroporto non ebbi nessuna difficoltà a trovare
un mezzo per percorrere la strada che divideva la pista di atterraggio
dall’abitato. Ero semplicemente l’unico bianco sceso dall’aereo assieme ad
un’altra dozzina di locali e una volta ritirato il bagaglio non feci in tempo a
mettere la testa fuori dalla struttura che venni praticamente investito da gli
unici cinque autisti privati presenti in quel momento che quasi si
strattonarono nell’intento di rivolgermi per primo il saluto. Nel vedermi
arrivare attraversarono come spettri gli altri viaggiatori che mi precedevano
di qualche passo, come se fossero invisibili o più semplicemente meno
interessanti. Chiaramente mi resi conto che in quella circostanza ero un tenero
bocconcino di gran lunga più allettante rispetto ad un locale, per farla in
breve qualcuno a cui richiedere il doppio o addirittura il triplo di quello che
era prassi richiedere per la tratta in questione. Iniziammo le contrattazioni
di rito, accompagnate dal crescente gesticolare della combriccola che cercavano
di assicurarsi in qualche modo parte del bagaglio che gelosamente e saldamente
trattenevo sulle mie spalle. Giunto al di fuori dell’aeroporto con il seguito
sempre serrato, scorsi una nuvola di polvere procedere rumorosamente verso di
noi. Aveva tutta l’aria di essere il bus locale o perlomeno qualcosa che
dovesse avere la medesima funzione. Un furgone vetrato, trasformato
probabilmente con l’ausilio di un flessibile, che aveva dato modo di piazzare
dei vetri di recupero con al suo interno una serie di sedili di varia natura
saldati tra loro come un patcword . Mano a mano che il polverone, sollevato
dalla pista in terra battuta dal pesante mezzo, procedeva nella nostra
direzione il potere contrattuale aumentava proporzionalmante alla distanza che
ci separava, rincarato dal mio sguardo interessato ed al tronco mutismo nel
quale mi ero istantaneamente calato. Il rumore dei freni, accompagnati dallo
stantuffo idraulico del dispositivo di apertura del vano laterale del bus,
furono interrotti dalla squillante voce del tassista “allora va bene …. 10.000
franchi monsieur” prontamente accompagnata dalla sua mano nel prendermi il pesante
zaino dalle spalle, mentre con l’altra si aggiustava gli occhiali a specchio
modello Rayban di chiara fabbricazione cinese con le stanghette rinforzate da
un vistoso schotc ingiallito dalle temperature e rivolgeva un sorriso agli
altri rimasti all’asciutto di clienti. La settimana di scuola nella capitale
aveva dato i primi frutti e così mi diressi preceduto dall’autista nel piazzale
antistante in direzione delle poche vetture presenti.
Caricammo
i due zaini nel portellone posteriore e mi accomodai sulle scricchiolanti
poltrone della Renault 4 da dove era possibile constatare la fuoriuscita delle
molle ormai arrugginite. Osservai l’autista che prontamente allacciava i fili
sotto il cruscotto, seguiti dallo screpitio dei fili che al contatto produssero
la scintilla e il classico odore di bruciato. E via, lungo la pista contornata
da filari interminabili di palme che si ergevano imponenti da un lato e
dall’altro della strada in direzione della cittadina . Lungo il tragitto
cominciai a scorgere le abitazioni di alcuni pescatori disseminate lungo la
strada per favorire la vendita dei prodotti ittici ai veicoli di passaggio. Le
costruzioni interamente realizzate in materiale vegetale erano incorniciate da
una lussureggiante vegetazione dalla quale svettava in lontananza una linea
degradante di un intenso colore blu. Erano poste a poca distanza dall’oceano di
cui si udiva il fragore delle onde che frangeva la barriera corallina. Sui lati
delle capanne si susseguivano in controluce lunghi filari di splendide e
colorate reti da pesca stese al sole intervallate da silouette di figure
maschili intente al rammendo. Nelle immediate vicinanze donne e bambini
attendevano all’ombra il rallentare dei pochi veicoli in transito facendo
sfoggio del pescato giornaliero esposto su di alcuni essiccatoi in bambù al
bordo della strada. Via via, che percorrendo la pista dissestata, ci
avvicinavamo al centro le capanne lasciavano il passo a costruzioni in muratura
con il tetto in metallo e cominciavamo ad addentrarci nell’area adibita a
mercato dove era possibile transitare a passo d’uomo tanto era il traffico
generato da pedoni , bestiame, cani, bambini ed ogni genere di mercanzia
appoggiata ai lati della strada. Saliva un forte odore di spezie e frutta misto
ai meno profumati olezzi provenienti dalle macellerie sparse lungo la
strada.....
Fonte: natgeoadventure.it
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