lunedì 11 novembre 2013

"Madagascar" A piedi nudi nella foresta

La volta stellata dell'emisfero australe, nella sua incommensurabile bellezza, illuminava le profonde orme nella sabbia che mano a mano mi lasciavo alle spalle lungo la costa.
La brezza oceanica alleviava appena, nonostante fosse tarda notte, il pesante senso di soffocamento e di elevata umidità presenti a quelle latitudini. Era il mese di ottobre, l'inizio dell'estate per l'isola del Madagascar, e la costa orientale dove il mio viaggio aveva inizio era particolarmente rinomata per le sue condizioni climatiche estreme. Avevo raggiunto Antalaha, una fatiscente cittadina che tra un edificio ed un altro lasciava intravedere un passato tipicamente coloniale come la maggior parte degli insediamenti costiero/urbani che si affacciano lungo tutto l’Oceano Indiano. L’unico denominatore che sembra caratterizzare tra loro questi insediamenti è il comune stato di degrado sottolineato dal totale abbandono delle strutture, in continua balia tra eventi naturali e la totale noncuranza di chi oggi, cinquant’anni dopo un’indipendenza tanto cercata, ha deciso di vivere il presente come se niente e nessuno mai avesse raggiunto queste lontane terre. Una città di pescatori caratterizzata dalla presenza lungo tutto il tratto costiero di cantieri navali popolati da abili maestri d’ascia che con la propria abilità tramandata di padre in figlio costruiscono imbarcazioni di grossa stazza destinate alla pesca fuori dalla barriera corallina e quindi costruite solidamente per resistere alle sollecitazioni dell’oceano. Chiaramente quando faccio riferimento al termine cantiere non intendo certo quello che siamo soliti immaginare dalle nostre parti, ma comunque nonostante le limitate condizioni riscontrai con stupore una certa organizzazione e dei risultati di tutto rispetto, segno di una profonda scuola e tradizione. Divenuta negli anni capitale nella produzione della vaniglia, Antalaha , ad oggi si presentava come una profumata e spensierata meta assolutamente fuori dalle già poco frequentate rotte turistiche dell’isola rossa, anche grazie al fatto che le sue acque non risultavano particolarmente rinomate, rispetto ad altre rotte della costa occidentale, in quanto poco limpide e di ancor meno sicura balneazione. Avevo raggiunto questa meta per mezzo di un volo interno organizzato dalla TAM, la compagnia di risposta all’unica presente nell’isola battente bandiera malgascia , collegato con la capitale e una volta arrivato all’aeroporto non ebbi nessuna difficoltà a trovare un mezzo per percorrere la strada che divideva la pista di atterraggio dall’abitato. Ero semplicemente l’unico bianco sceso dall’aereo assieme ad un’altra dozzina di locali e una volta ritirato il bagaglio non feci in tempo a mettere la testa fuori dalla struttura che venni praticamente investito da gli unici cinque autisti privati presenti in quel momento che quasi si strattonarono nell’intento di rivolgermi per primo il saluto. Nel vedermi arrivare attraversarono come spettri gli altri viaggiatori che mi precedevano di qualche passo, come se fossero invisibili o più semplicemente meno interessanti. Chiaramente mi resi conto che in quella circostanza ero un tenero bocconcino di gran lunga più allettante rispetto ad un locale, per farla in breve qualcuno a cui richiedere il doppio o addirittura il triplo di quello che era prassi richiedere per la tratta in questione. Iniziammo le contrattazioni di rito, accompagnate dal crescente gesticolare della combriccola che cercavano di assicurarsi in qualche modo parte del bagaglio che gelosamente e saldamente trattenevo sulle mie spalle. Giunto al di fuori dell’aeroporto con il seguito sempre serrato, scorsi una nuvola di polvere procedere rumorosamente verso di noi. Aveva tutta l’aria di essere il bus locale o perlomeno qualcosa che dovesse avere la medesima funzione. Un furgone vetrato, trasformato probabilmente con l’ausilio di un flessibile, che aveva dato modo di piazzare dei vetri di recupero con al suo interno una serie di sedili di varia natura saldati tra loro come un patcword . Mano a mano che il polverone, sollevato dalla pista in terra battuta dal pesante mezzo, procedeva nella nostra direzione il potere contrattuale aumentava proporzionalmante alla distanza che ci separava, rincarato dal mio sguardo interessato ed al tronco mutismo nel quale mi ero istantaneamente calato. Il rumore dei freni, accompagnati dallo stantuffo idraulico del dispositivo di apertura del vano laterale del bus, furono interrotti dalla squillante voce del tassista “allora va bene …. 10.000 franchi monsieur” prontamente accompagnata dalla sua mano nel prendermi il pesante zaino dalle spalle, mentre con l’altra si aggiustava gli occhiali a specchio modello Rayban di chiara fabbricazione cinese con le stanghette rinforzate da un vistoso schotc ingiallito dalle temperature e rivolgeva un sorriso agli altri rimasti all’asciutto di clienti. La settimana di scuola nella capitale aveva dato i primi frutti e così mi diressi preceduto dall’autista nel piazzale antistante in direzione delle poche vetture presenti.


Caricammo i due zaini nel portellone posteriore e mi accomodai sulle scricchiolanti poltrone della Renault 4 da dove era possibile constatare la fuoriuscita delle molle ormai arrugginite. Osservai l’autista che prontamente allacciava i fili sotto il cruscotto, seguiti dallo screpitio dei fili che al contatto produssero la scintilla e il classico odore di bruciato. E via, lungo la pista contornata da filari interminabili di palme che si ergevano imponenti da un lato e dall’altro della strada in direzione della cittadina . Lungo il tragitto cominciai a scorgere le abitazioni di alcuni pescatori disseminate lungo la strada per favorire la vendita dei prodotti ittici ai veicoli di passaggio. Le costruzioni interamente realizzate in materiale vegetale erano incorniciate da una lussureggiante vegetazione dalla quale svettava in lontananza una linea degradante di un intenso colore blu. Erano poste a poca distanza dall’oceano di cui si udiva il fragore delle onde che frangeva la barriera corallina. Sui lati delle capanne si susseguivano in controluce lunghi filari di splendide e colorate reti da pesca stese al sole intervallate da silouette di figure maschili intente al rammendo. Nelle immediate vicinanze donne e bambini attendevano all’ombra il rallentare dei pochi veicoli in transito facendo sfoggio del pescato giornaliero esposto su di alcuni essiccatoi in bambù al bordo della strada. Via via, che percorrendo la pista dissestata, ci avvicinavamo al centro le capanne lasciavano il passo a costruzioni in muratura con il tetto in metallo e cominciavamo ad addentrarci nell’area adibita a mercato dove era possibile transitare a passo d’uomo tanto era il traffico generato da pedoni , bestiame, cani, bambini ed ogni genere di mercanzia appoggiata ai lati della strada. Saliva un forte odore di spezie e frutta misto ai meno profumati olezzi provenienti dalle macellerie sparse lungo la strada.....
Fonte: natgeoadventure.it
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