Reportage da Antananarivo-Madagascar
Incontro il
mio interlocutore, un diplomatico malgascio, nel più lussuoso ristorante di
Tana – così gli abitanti chiamano affettuosamente la capitale del
Madagascar, Antananarivo -, ricavato in quella che era la vecchia stazione
coloniale dei treni, nel cuore della città.
E’ già lì e
sorseggia una limonata mentre legge un quotidiano posato su un luccicante
tavolo di palissandro, un po’ defilato, a fianco di una finestra aperta che
guarda a un giardino splendidamente curato.
Per il
tramite di un amico belga ero riuscito ad ottenere il contatto allo scopo di
farmi spiegare le cause dell’attuale turbolenza politica che vive il suo paese.
Mostrando grande disponibilità, l’uomo ha accettato di incontrarmi, a
condizione di rimanere nell’anonimato.
“La politica
del Madagascar si potrebbe sintetizzare con il titolo di un film del vostro
connazionale Sergio Leone: ‘Il Buono, Il Brutto e il Cattivo’…” Debutta con
ironia il mio ospite.
L’ironia, in
effetti, è una caratteristica saliente dei malgasci, e costituisce una delle
molte ragioni per cui questo popolo mi ha conquistato.
Il “Buono”
secondo lui, sarebbe Marc Ravalomanana, l’ex presidente del Madagascar
costretto all’esilio nel 2009 dopo un coup orchestrato dall’attuale presidente Andry
Rajoelina (il “Cattivo”). Ravalomanana è in realtà un
politico controverso: amato e odiato in ugual misura, è capace di
influenzare la politica nazionale anche dal Sud Africa, dove al momento
risiede. Nato come venditore di yogurt, riesce ben presto a espandere
l’industria di famiglia sino a renderla la principale azienda casearia e una
delle più importanti del Paese. Un self
made man che dal formaggio passerà alla politica divenendo
nel 1999 sindaco di Tana. Si afferma Presidente nel 2001 quando, a seguito di
un conteso risultato elettorale scandito da ricorsi di diritto e di piazza, il
suo contendente, l’anziano presidente Ratsiraka (il “Brutto”) getta la spugna e
intraprende la via dell’esilio.
“La dinamica
della politica nella Grande Isola è sorprendentemente ciclica” continua il mio
ospite, “sin da quando il Paese ottenne l’indipendenza dalla madre patria
francese, il 26 Giugno del 1960: i suoi presidenti salgono al potere con
elezioni più o meno regolari per venire poi destituiti da moti di piazza,
sapientemente orchestrati da altri membri dell’elite politica o dall’esercito
(spesso, da entrambi).” Accadde col Primo Presidente, il leader storico del
movimento d’indipendenza Philibert Tsiranana (destituito da moti di piazza nel
’72) e continua così ancora oggi. I perdenti intraprendono la via dell’esilio
mentre il Presidente di turno riesce in qualche modo a legittimare il proprio
regime attraverso nuove elezioni.
“Ma che
interesse vi sarebbe a indire elezioni in cui, chi ha cacciato il suo
predecessore rischia poi di perdere?” Chiedo.
“Qui in
Madagascar occorre osservare le cose con un prisma diverso.” Ammicca il
diplomatico e capisco bene cosa voglia intendere.
In primo
luogo, l’enorme corruzione (endemica in questo paese) fa si che i
presidenti – per quanto breve la loro permanenza in carica possa essere –
assicurino a se stessi e al loro entourage(familiare
e di apparato) l’opportunità di procurarsi grande ricchezza. In secondo luogo,
un governo che è salito al potere con la forza, può riuscire a legittimarsi
attraverso libere elezioni, sfruttando anche l’appartenenza etnica che in
Madagascar è ancora fortemente sentita, in specie nella contrapposizione
altipiani-zona costiera. Il paese conta infatti 18 etnie, ciascuna delle quali
ha un proprio dialetto, che hanno rappresentato altrettanti centri di potere
autonomi almeno fino all’unificazione avvenuta nel XIX secolo sotto un unico
regno Merina (dalla stirpe dell’aristocrazia degli altipiani, i Merina
appunto).
“Con
Ravalomanana speravamo poter voltare pagina rispetto a un passato segnato
dall’isolamento internazionale e dalle perenni crisi economiche ereditate dal
suo successore Ratsiraka”, dice il mio interlocutore, mentre attendiamo la
nostra portata di sogliola alla salsa di cocco, che, assicura, non ha eguali,
per prelibatezza, in tutta la capitale.
Didier
Ratsiraka, allora giovane ministro degli esteri, salì al potere nel 1975 dopo
una serie di colpi di stato militari e vi rimase per oltre 17 anni, segnando il
passaggio del paese alla così detta “Terza Repubblica”. Le politiche di
Ratsiraka furono caratterizzate da una commistione di nazionalismo e
socialismo che si tradusse sul piano interno in ondate di nazionalizzazioni e
sul piano internazionale nella rottura di ogni rapporto con la Francia (tanto
da escludere il Francese dall’insegnamento nelle scuole) e nel repentino
avvicinamento all’Unione Sovietica. Ma la guerra fredda segnò anche la fine del
governo Ratsiraka. Nel 1991 proteste popolari iniziarono a chiedere a gran voce
le dimissioni del Presidente, che provò a mitigarle intavolando negoziati con
le principali forze di opposizione (una manovra, questa, che vedremo ripetersi
10 anni dopo). Malgrado la riluttanza ad abbandonare il potere,
nuove elezioni vennero infine indette nel 1993 e segnarono la vittoria del
candidato delle opposizioni. Tuttavia, a sorpresa, Ratsiraka si ripresentò alle
elezioni successive, nel 1999 ed ebbe la meglio, rimanendo al potere fin quando
la vittoria di Ravalomanana nel 2001 non lo costrinse all’esilio.
“Con
Ravalomanana il paese decise di inseguire un ruolo di primo piano a livello
regionale, cercando di accreditarsi ambiziosamente come “ponte” tra l’Africa
sud-orientale e est con gli arcipelaghi dell’Oceano Indiano. Anche in
economia si scorgevano segnali incoraggianti: non solo gli aiuti della comunità
internazionale, ma anche una diversa gestione delle finanze facevano ben
sperare in un futuro diverso da quello orientato alla mera sussistenza.” Agli
inizi del duemila l’economia del paese cominciò a crescere a un tasso annuo del
7% e nel 2006, riconfermato presidente, Ravalomanana varò un ambizioso piano di
ripresa chiamato Madagascar
Action Plan, inteso a rilanciare lo sviluppo economico iniziato
durante il suo primo mandato. Venne inoltre introdotto l’Aryary (la nuova
valuta nazionale) e molti investitori stranieri furono attratti nel paese
grazie a una politica fiscale molto vantaggiosa.
Forse un po’
troppo vantaggiosa, se è vero che proprio questa decisione di “svendere”
risorse naturali agli stranieri ha rappresentato il vulnus della presidenza
Ravalomanana. Questi infatti aveva concesso alla giapponese Deawoo logics lo sfruttamento
per 90 anni di 13.000 Kmq di terreno coltivabile – quasi la metà di quello di
cui dispone il paese – al fine di impiantarvi colture intensive di mais. Tale
decisione non solo avrebbe compromesso il delicato ecosistema del Madagascar,
ma venne percepito anche come un vero e proprio sacrilegio dalla grande
maggioranza della popolazione. Infatti secondo il sistema di credenze animiste
del paese (trasfuse in parte anche nella componente cristiana), scavare
laddove sono sepolti gli antenati rappresenta un fadi ( un tabù) la cui violazione avrebbe scatenato le ire
degli spiriti dei morti. Cosi, nel 2009 la rivolta capeggiata dal sindaco
della capitale – e attuale presidente – Andry Rajoelina ha avuto ragione sia
del ‘sacrilegio’ (accordo cancellato) che del sacrilego Ravalomanana, costretto
all’esilio in Sud Africa.
“Certamente
la decisione di Ravalomanana fu un grave errore perche provocò la reazione
della parte più tradizionalista del Paese, che è poi la maggioranza” fa notare
il mio anonimo commensale. “Ma certo, non fu la sola ragione che determinò la
crisi successiva. Il comportamento sempre più autoritario di Ravalomanana si
concretizzò nella chiusura di alcuni giornali e televisioni, una delle quali
apparteneva al capo dell’opposizione, Rajoelina. Questi ebbe gioco facile nel
gridare alla dittatura, mentre allo stesso tempo provava a coagulare intorno
alla sua persona i vari gruppi di opposizione.”
L’atteggiamento
intollerante di Ravalomanana non fece che accelerare la crisi. Alla folla che
si accalcava fuori dal palazzo presidenziale la polizia rispose con le
pallottole, che lasciarono sul terreno 40 persone, e in breve tutto il paese fu
in subbuglio, incendiato dalla lotta tra sostenitori e oppositori del
presidente. Dopo mesi di sanguinosi scontri, con il beneplacito dell’esercito
Ravalomanana si dimise e ripiegò in Sud Africa, lasciando il potere a un
Collegio di militari. Questi, a loro volta, lo consegnarono prontamente a
Rajoelina che, nel Marzo del 2009 si auto-proclamò Presidente ad Interim.
L’attuale impasse politico ed economico
del Madagascar è una diretta conseguenza degli episodi del 2009.
Il colpo di
stato (perché tale, nei fatti, fu quello attuato da Rajoelina) fu accompagnato,
come spesso accade in tali convulsi frangenti, da saccheggi e atti di
vandalismo.
Gli stipendi
vennero congelati e la pubblica amministrazione, elefantiaca e corrotta, smise
quasi completamente di funzionare. L’assenza di forze di polizia nelle zone
rurali fece ri-emergere il ruolo carismatico dei “capi-tribù” cui
tradizionalmente il villaggio faceva riferimento, contribuendo così
all’incremento di alternativi centri di potere a carattere etnico-tribale.
“Nei primi
mesi del 2009 la situazione era diventata incandescente in città e ogni settimana
si contavano i caduti” continua il diplomatico. “Oggi è possibile constatare un
miglioramento sul piano dell’ordine pubblico, anche se il paese continua a
pagare un prezzo altissimo per la mancanza di una normalizzazione democratica”.
Se infatti Ravalomanana
era riuscito, nel bene o nel male, a proiettare il paese verso uno scenario di
più ampio respiro internazionale, gli eventi del 2009 diedero un colpo di
spugna ai progressi compiuti. La Comunità Internazionale, capeggiata
dall’Unione Europea e, a livello regionale, dall’Unione Africana e dalla Southern African Development Community (SADC)
non riconobbe come legittimo il nuovo presidente e il suo governo,
congelando ogni aiuto finanziario. La cessazione dei sussidi che fino al 2009
rappresentavano il 50% del budget statale ha contribuito non poco a far
ripiombare il paese in una profonda crisi economica. Al blocco degli
aiuti, e alla conseguente chiusura di alcune delle maggiori imprese del paese,
si è aggiunta infine la crisi dell’industria turistica, settore da sempre
trainante dell’economia malgascia, e ciò ha causato il tracollo finanziario.
Se infatti Ravalomanana
era riuscito, nel bene o nel male, a proiettare il paese verso uno scenario di
più ampio respiro internazionale, gli eventi del 2009 diedero un colpo di
spugna ai progressi compiuti. La Comunità Internazionale, capeggiata
dall’Unione Europea e, a livello regionale, dall’Unione Africana e dalla Southern African Development Community (SADC)
non riconobbe come legittimo il nuovo presidente e il suo governo,
congelando ogni aiuto finanziario. La cessazione dei sussidi che fino al 2009
rappresentavano il 50% del budget statale ha contribuito non poco a far
ripiombare il paese in una profonda crisi economica. Al blocco degli
aiuti, e alla conseguente chiusura di alcune delle maggiori imprese del paese,
si è aggiunta infine la crisi dell’industria turistica, settore da sempre
trainante dell’economia malgascia, e ciò ha causato il tracollo finanziario.
Il
Madagascar oggi rimane una delle nazioni più povere al mondo, con il 69% dei
suoi 19 milioni di abitanti che vive al di sotto della soglia di povertà (meno
di 1$ al giorno).
La
corruzione continua a regnare sovrana, estendendosi persino sul controllo delle
poche strade che collegano il paese, dove vige un sistema di “pedaggio
informale” gestito dalla polizia. Quanto ai rapporti a Est son gli arcipelaghi
indiani, su cui molto puntava Ravalomanana, essi sono quasi esclusivamente
appannaggio dei predoni che gestiscono un lucroso contrabbando di mandrie di
Zebù, depredate con grave danno economico ai contadini delle zone costiere e
rivendute nelle isole Comore.
Malgrado
questo quadro poco incoraggiante, sorprende che la percezione del Paese da
parte del viaggiatore sia tutt’altro che drammatica. La vita nelle città,così
come nelle campagne, si sussegue con gli stessi identici ritmi di sempre,
nell’un caso frenetici e caotici, nell’altro lenti e consuetudinari.
Manifestazioni di protesta, durante la mia permanenza, non ne ho viste, né ho
percepito traccia alcuna di tensione o di allerta. Al contrario, mi sono
compiaciuto nel notare l’allegra industriosità della gente, il commercio,
florido per quanto possa esserlo quello di un paese del terzo mondo, nei suoi
mercati e bazar.
“Per noi
Malgasci la vita è tutto un mercato, e da bravi commercianti quali siamo,
riusciamo ancora a far sì che la politica, anche se diventa violenta, non
comprometta l’essenza del nostro stile di vita.” Spiega la mia guida.
Sarà anche
per questa ragione che gli esponenti della borghesia urbana sono facilmente
individuabili (dal loro abbigliamento curato e dall’aria distinta) nelle
strade, nei mercati e nei negozi. I negozi sono molti e dei più diversi (almeno
nelle grandi città come Tana o Tamatave): negozi di moda, di articoli da
viaggio, erboristerie e bigiotterie. Per non parlare dei luoghi di ritrovo come
piscine, campi da tennis, cinema, teatri, ristoranti e pizzerie.
L’impressione
è che si stia consolidando un nocciolo duro, costituito dalla borghesia urbana
e legata al commercio (ma anche all’industria delle trasformazione e dei
servizi) come in passato testimoniato dalla scalata al potere di quel
Ravalomanana, già produttore e venditore di yogurt.
Per altro il
Madagascar è un paese benedetto dalle risorse naturali. La foreste che
ricoprono il suo territorio racchiudono una biodiversità tra le più ricche e
peculiari del globo. Il sottosuolo trabocca di risorse minerarie: petrolio,
oro, cromo e nikel. E tuttavia questa ricchezza rappresenta anche il maggior
rischio per un ecosistema delicatissimo e purtroppo mal rispettato. Il
disboscamento è una piaga seria: il manto forestale è stato talmente eroso
negli ultimi decenni da rappresentare appena il 22% del territorio dell’Isola.
Causa principale ne è il traffico illegale di palissandro (si stima che siano
dai 100 ai 200 il numero di alberi abbattuti al giorno), cui il governo ha recentemente
cercato di porre un argine, ma con incerti risultati.
“L’uscita
dall’impasse politica
riuscirà a sbrigliare le redini del potenziale di questo paese?” Chiedo al mio
ospite, giunti ormai al dessert (soufflé
al cioccolato e banane fritte).
“Certo, l’industria
dovrebbe riconvertirsi verso un mercato domestico, e in questo non è certo
aiutata dalla mancanza pressoché totale di collegamenti interni (solo il 20%
delle strade sono asfaltate, e stiamo parlando di un’isola grande quanto la
Francia e il Benelux insieme). Ma è la lotta alla corruzione quella che
dovrebbe costituire la vera priorità del prossimo presidente. Per questo è
fondamentale che, chiunque esso sia, rompa una volta per tutte con la
struttura clientelare del Buono, del Brutto e del Cattivo” .
Per uscire
dalla crisi (e forse nella speranza di rimanere al potere) Rajoelina si era
incontrato, nel Settembre del 2011, con i suoi predecessori, Ravalomanana e
Ratsiraka, e sotto i buoni auspici del Sud Africa e della SADC era stata
tracciata una road map al
fine di traghettare il paese verso nuove elezioni. Allora gli accordi
prevedevano che nessuno dei tre si sarebbe ri-candidato e a scanso di equivoci,
il Consiglio Elettorale, che di lì a poco si era formato per supervisionare le
future elezioni, aveva stabilito alcune regole ferree, una delle quali imponeva
che ogni contendente dovesse risiedere nel paese da almeno sei mesi, tanto per
evitare la tentazione a Ravalomanana o a Ratsiraka di correre dal loro esilio.
Tanto ferree si sono dimostrate queste regole che la Commissione Elettorale,
indicendo le elezioni per il Maggio 2013 (spostate poi a Luglio), ha ammesso la
candidatura sia di Ratsiraka che di Ravalomanana - per quest’ultimo anzi,
si è presentata la moglie, Lao Ravalomanana, per altro anch’essa in esilio con
il marito -. Al qual punto anche Rajoelina ha confermato la propria
candidatura.
Le pressioni
da parte della comunità internazionale perché si rispettassero gli
accordi contenuti nella road map sono
state molto forti. Sia la SADC che l’Unione Africana hanno ammonito che se il
terzetto correrà per le elezioni, essi non ne riconosceranno l’esito. La
Francia, dal canto suo, ha deciso di imporre un bando a coloro che “blocchino
il processo di transizione violando gli accordi della road map”, con riferimento ai tre
presidenti contendenti. E anche l’Unione Europea ha minacciato di imporre
sanzioni.
Le pressioni
hanno funzionato. Nell’Agosto di quest’anno, la Commissione Elettorale ha
abrogato la candidatura dei tre presidenti (assieme a quella di altri 5
candidati); il che ha comportato un ulteriore slittamento delle elezioni, ora
programmate per il 25 Ottobre. Un secondo turno, con elezioni legislative,
sarebbe previsto il 20 Dicembre.
“A questo
punto nessuno potrà dire con certezza se e quando avranno luogo le elezioni
presidenziali. A parole, i tre contendenti hanno dichiarato di accettare la
decisione della commissione, per il bene del Madagascar…” commenta con
scetticismo il mio ospite mentre sorseggiamo il caffè.
“E’ vero che
le piazze sono sempre divise, e che tre anni di strisciante guerra civile hanno
innescato meccanismi perversi (aumento della criminalità nelle città
e revival di
etno-localismi nelle campagne) che saranno difficili da domare. Quello che
occorrerebbe” chiosa il diplomatico concludendo il nostro colloquio “ è un
processo di pacificazione nazionale, sull’esempio di quel che si è visto nel
Sud-Africa post Apartheid. Il retaggio politico e culturale del Buono, Brutto e
Cattivo dev’essere definitivamente rimosso perché il Madagascar, che ne ha
tutti i mezzi, possa affrontare il futuro con rinnovato ottimismo.”
Un
rinnovamento culturale, quindi, prima ancora che politico, è il gravoso compito
che spetta a chiunque governerà questo magnifico e complesso Paese.
Riuscirà una nuova generazione di politici ad emergere e a costruire sulle
macerie lasciate dalla guerra tra il Buono, il Brutto e il Cattivo?
Articoli correlati
Nessun commento:
Posta un commento