sabato 9 novembre 2013

Il Buono, Il Brutto e il Cattivo

Reportage da Antananarivo-Madagascar

Incontro il mio interlocutore, un diplomatico malgascio, nel più lussuoso ristorante di Tana  – così gli abitanti chiamano affettuosamente la capitale del Madagascar, Antananarivo -, ricavato in quella che era la vecchia stazione coloniale dei treni, nel cuore della città.
E’ già lì e sorseggia una limonata mentre legge un quotidiano posato su un luccicante tavolo di palissandro, un po’ defilato, a fianco di una finestra aperta che guarda a un giardino splendidamente curato.
Per il tramite di un amico belga ero riuscito ad ottenere il contatto allo scopo di farmi spiegare le cause dell’attuale turbolenza politica che vive il suo paese. Mostrando grande disponibilità, l’uomo ha accettato di incontrarmi, a condizione di rimanere nell’anonimato.
“La politica del Madagascar si potrebbe sintetizzare con il titolo di un film del vostro connazionale Sergio Leone: ‘Il Buono, Il Brutto e il Cattivo’…” Debutta con ironia il mio ospite.
L’ironia, in effetti, è una caratteristica saliente dei malgasci, e costituisce una delle molte ragioni per cui questo popolo mi ha conquistato.
Il “Buono” secondo lui, sarebbe Marc Ravalomanana, l’ex presidente del Madagascar costretto all’esilio nel 2009 dopo un coup orchestrato dall’attuale presidente Andry Rajoelina (il “Cattivo”). Ravalomanana è in realtà un politico controverso: amato e odiato in ugual misura, è capace di  influenzare la politica nazionale anche dal Sud Africa, dove al momento risiede. Nato come venditore di yogurt, riesce ben presto a espandere l’industria di famiglia sino a renderla la principale azienda casearia e una delle più importanti del Paese. Un self made man  che dal formaggio passerà alla politica divenendo nel 1999 sindaco di Tana. Si afferma Presidente nel 2001 quando, a seguito di un conteso risultato elettorale scandito da ricorsi di diritto e di piazza, il suo contendente, l’anziano presidente Ratsiraka (il “Brutto”) getta la spugna e intraprende la via dell’esilio.
“La dinamica della politica nella Grande Isola è sorprendentemente ciclica” continua il mio ospite, “sin da quando il Paese ottenne l’indipendenza dalla madre patria francese, il 26 Giugno del 1960: i suoi presidenti salgono al potere con elezioni più o meno regolari per venire poi destituiti da moti di piazza, sapientemente orchestrati da altri membri dell’elite politica o dall’esercito (spesso, da entrambi).” Accadde col Primo Presidente, il leader storico del movimento d’indipendenza Philibert Tsiranana (destituito da moti di piazza nel ’72) e continua così ancora oggi. I perdenti intraprendono la via dell’esilio mentre il Presidente di turno riesce in qualche modo a legittimare il proprio regime attraverso nuove elezioni.

“Ma che interesse vi sarebbe a indire elezioni in cui, chi ha cacciato il suo predecessore rischia poi di perdere?” Chiedo.
“Qui in Madagascar occorre osservare le cose con un prisma diverso.” Ammicca il diplomatico e capisco bene cosa voglia intendere.
In primo luogo, l’enorme corruzione  (endemica in questo paese)  fa si che i presidenti – per quanto breve la loro permanenza in carica possa essere – assicurino a se stessi e al loro entourage(familiare e di apparato) l’opportunità di procurarsi grande ricchezza. In secondo luogo, un governo che è salito al potere con la forza, può riuscire a legittimarsi attraverso libere elezioni, sfruttando anche l’appartenenza etnica che in Madagascar è ancora fortemente sentita, in specie nella contrapposizione altipiani-zona costiera. Il paese conta infatti 18 etnie, ciascuna delle quali ha un proprio dialetto, che hanno rappresentato altrettanti centri di potere autonomi almeno fino all’unificazione avvenuta nel XIX secolo sotto un unico regno Merina (dalla stirpe dell’aristocrazia degli altipiani, i Merina appunto).

“Con Ravalomanana speravamo poter voltare pagina rispetto a un passato segnato dall’isolamento internazionale e dalle perenni crisi economiche ereditate dal suo successore Ratsiraka”, dice il mio interlocutore, mentre attendiamo la nostra portata di sogliola alla salsa di cocco, che, assicura, non ha eguali, per prelibatezza, in tutta la capitale.
Didier Ratsiraka, allora giovane ministro degli esteri, salì al potere nel 1975 dopo una serie di colpi di stato militari e vi rimase per oltre 17 anni, segnando il passaggio del paese alla così detta “Terza Repubblica”. Le politiche di Ratsiraka furono caratterizzate da una commistione di nazionalismo e  socialismo che si tradusse sul piano interno in ondate di nazionalizzazioni e sul piano internazionale nella rottura di ogni rapporto con la Francia (tanto da escludere il Francese dall’insegnamento nelle scuole) e nel repentino avvicinamento all’Unione Sovietica. Ma la guerra fredda segnò anche la fine del governo Ratsiraka. Nel 1991 proteste popolari iniziarono a chiedere a gran voce le dimissioni del Presidente, che provò a mitigarle intavolando negoziati con le principali forze di opposizione (una manovra, questa, che vedremo ripetersi 10 anni dopo).  Malgrado la  riluttanza ad abbandonare il potere, nuove elezioni vennero infine indette nel 1993 e segnarono la vittoria del candidato delle opposizioni. Tuttavia, a sorpresa, Ratsiraka si ripresentò alle elezioni successive, nel 1999 ed ebbe la meglio, rimanendo al potere fin quando la vittoria di Ravalomanana nel 2001 non lo costrinse all’esilio.
“Con Ravalomanana il paese decise di inseguire un ruolo di primo piano a livello regionale, cercando di accreditarsi ambiziosamente come “ponte” tra l’Africa sud-orientale e est con gli arcipelaghi dell’Oceano Indiano. Anche in  economia si scorgevano segnali incoraggianti: non solo gli aiuti della comunità internazionale, ma anche una diversa gestione delle finanze facevano ben sperare in un futuro diverso da quello orientato alla mera sussistenza.” Agli inizi del duemila l’economia del paese cominciò a crescere a un tasso annuo del 7% e nel 2006, riconfermato presidente, Ravalomanana varò un ambizioso piano di ripresa chiamato Madagascar Action Plan, inteso a rilanciare lo sviluppo economico iniziato durante il suo primo mandato. Venne inoltre introdotto l’Aryary (la nuova valuta nazionale) e molti investitori stranieri furono attratti nel paese grazie a una politica fiscale molto vantaggiosa.

Forse un po’ troppo vantaggiosa, se è vero che proprio questa decisione di “svendere” risorse naturali agli stranieri ha rappresentato il vulnus della presidenza Ravalomanana. Questi infatti aveva concesso alla giapponese Deawoo logics lo sfruttamento per 90 anni di 13.000 Kmq di terreno coltivabile – quasi la metà di quello di cui dispone il paese – al fine di impiantarvi colture intensive di mais. Tale decisione non solo avrebbe compromesso il delicato ecosistema del Madagascar, ma venne percepito anche come un vero e proprio sacrilegio dalla  grande maggioranza della popolazione. Infatti secondo il sistema di credenze animiste del paese (trasfuse in parte anche  nella componente cristiana), scavare laddove sono sepolti gli antenati rappresenta un fadi ( un tabù) la cui violazione avrebbe scatenato le ire degli spiriti dei morti.  Cosi, nel 2009 la rivolta capeggiata dal sindaco della capitale – e attuale presidente – Andry Rajoelina ha avuto ragione sia del ‘sacrilegio’ (accordo cancellato) che del sacrilego Ravalomanana, costretto all’esilio in Sud Africa.

“Certamente la decisione di Ravalomanana fu un grave errore perche provocò la reazione della parte più tradizionalista del Paese, che è poi la maggioranza” fa notare il mio anonimo commensale. “Ma certo, non fu la sola ragione che determinò la crisi successiva. Il comportamento sempre più autoritario di Ravalomanana si concretizzò nella chiusura di alcuni giornali e televisioni, una delle quali apparteneva al capo dell’opposizione, Rajoelina. Questi ebbe gioco facile nel gridare alla dittatura, mentre allo stesso tempo provava a coagulare intorno alla sua persona i vari gruppi di opposizione.”
L’atteggiamento intollerante di Ravalomanana non fece che accelerare la crisi. Alla folla che si accalcava fuori dal palazzo presidenziale la polizia rispose con le pallottole, che lasciarono sul terreno 40 persone, e in breve tutto il paese fu in subbuglio, incendiato dalla lotta tra sostenitori e  oppositori del presidente. Dopo mesi di sanguinosi scontri, con il beneplacito dell’esercito Ravalomanana si dimise e ripiegò in Sud Africa, lasciando il potere a un Collegio di militari. Questi, a loro volta, lo consegnarono prontamente a Rajoelina che, nel Marzo del 2009 si auto-proclamò  Presidente ad Interim.
L’attuale impasse politico ed economico del Madagascar è una diretta conseguenza degli episodi del 2009.
Il colpo di stato (perché tale, nei fatti, fu quello attuato da Rajoelina) fu accompagnato, come spesso accade in tali convulsi frangenti, da saccheggi e atti di vandalismo.
Gli stipendi vennero congelati e la pubblica amministrazione, elefantiaca e corrotta, smise quasi completamente di funzionare. L’assenza di forze di polizia nelle zone rurali fece ri-emergere il ruolo carismatico dei “capi-tribù” cui tradizionalmente il villaggio faceva riferimento, contribuendo così all’incremento di alternativi centri di potere a carattere etnico-tribale.
“Nei primi mesi del 2009 la situazione era diventata incandescente in città e ogni settimana si contavano i caduti” continua il diplomatico. “Oggi è possibile constatare un miglioramento sul piano dell’ordine pubblico, anche se il paese continua a pagare un prezzo altissimo per la mancanza di una normalizzazione democratica”.
Se infatti Ravalomanana era riuscito, nel bene o nel male, a proiettare il paese verso uno scenario di più ampio respiro internazionale, gli eventi del 2009 diedero un colpo di spugna ai progressi compiuti. La Comunità Internazionale, capeggiata dall’Unione Europea e, a livello regionale, dall’Unione Africana e dalla Southern African Development Community (SADC) non riconobbe  come legittimo il nuovo presidente e il suo governo, congelando ogni aiuto finanziario. La cessazione dei sussidi che fino al 2009 rappresentavano il 50% del budget statale ha contribuito non poco a far ripiombare il paese in una profonda crisi economica.  Al blocco degli aiuti, e alla conseguente chiusura di alcune delle maggiori imprese del paese, si è aggiunta infine la crisi dell’industria turistica, settore da sempre trainante dell’economia malgascia, e ciò ha causato il tracollo finanziario.

Se infatti Ravalomanana era riuscito, nel bene o nel male, a proiettare il paese verso uno scenario di più ampio respiro internazionale, gli eventi del 2009 diedero un colpo di spugna ai progressi compiuti. La Comunità Internazionale, capeggiata dall’Unione Europea e, a livello regionale, dall’Unione Africana e dalla Southern African Development Community (SADC) non riconobbe  come legittimo il nuovo presidente e il suo governo, congelando ogni aiuto finanziario. La cessazione dei sussidi che fino al 2009 rappresentavano il 50% del budget statale ha contribuito non poco a far ripiombare il paese in una profonda crisi economica.  Al blocco degli aiuti, e alla conseguente chiusura di alcune delle maggiori imprese del paese, si è aggiunta infine la crisi dell’industria turistica, settore da sempre trainante dell’economia malgascia, e ciò ha causato il tracollo finanziario.
Il Madagascar oggi rimane una delle nazioni più povere al mondo, con il 69% dei suoi 19 milioni di abitanti che vive al di sotto della soglia di povertà (meno di 1$ al giorno).
La corruzione continua a regnare sovrana, estendendosi persino sul controllo delle poche strade che collegano il paese, dove vige un sistema di “pedaggio informale” gestito dalla polizia. Quanto ai rapporti a Est son gli arcipelaghi indiani, su cui molto puntava Ravalomanana, essi sono quasi esclusivamente appannaggio dei predoni che gestiscono un lucroso contrabbando di mandrie di Zebù, depredate con grave danno economico ai contadini delle zone costiere e rivendute nelle isole Comore.
Malgrado questo quadro poco incoraggiante, sorprende che la percezione del Paese da parte del viaggiatore sia tutt’altro che drammatica. La vita nelle città,così come nelle campagne, si sussegue con gli stessi identici ritmi di sempre, nell’un caso frenetici e caotici, nell’altro lenti e consuetudinari. Manifestazioni di protesta, durante la mia permanenza, non ne ho viste, né ho percepito traccia alcuna di tensione o di allerta. Al contrario, mi sono compiaciuto nel notare l’allegra industriosità della gente, il commercio, florido per quanto possa esserlo quello di un paese del terzo mondo, nei suoi mercati e bazar.
“Per noi Malgasci la vita è tutto un mercato, e da bravi commercianti quali siamo, riusciamo ancora a far sì che la politica, anche se diventa violenta, non comprometta l’essenza del nostro stile di vita.” Spiega la mia guida.
Sarà anche per questa ragione che gli esponenti della borghesia urbana sono facilmente individuabili (dal loro abbigliamento curato e dall’aria distinta) nelle strade, nei mercati e nei negozi. I negozi sono molti e dei più diversi (almeno nelle grandi città come Tana o Tamatave): negozi di moda, di articoli da viaggio, erboristerie e bigiotterie. Per non parlare dei luoghi di ritrovo come piscine, campi da tennis, cinema, teatri, ristoranti e pizzerie.

L’impressione è che si stia consolidando un nocciolo duro, costituito dalla borghesia urbana e legata al commercio (ma anche all’industria delle trasformazione e dei servizi) come in passato testimoniato dalla scalata al potere  di quel Ravalomanana, già  produttore e venditore di yogurt.
Per altro il Madagascar è un paese benedetto dalle risorse naturali. La foreste che ricoprono il suo territorio racchiudono una biodiversità tra le più ricche e peculiari del globo. Il sottosuolo trabocca di risorse minerarie: petrolio, oro, cromo e nikel. E tuttavia questa ricchezza rappresenta anche il maggior rischio per un ecosistema delicatissimo e purtroppo mal rispettato. Il disboscamento è una piaga seria: il manto forestale è stato talmente eroso negli ultimi decenni da rappresentare appena il 22% del territorio dell’Isola. Causa principale ne è il traffico illegale di palissandro (si stima che siano dai 100 ai 200 il numero di alberi abbattuti al giorno), cui il governo ha recentemente cercato di porre un argine, ma con incerti risultati.
“L’uscita dall’impasse politica riuscirà a sbrigliare le redini del potenziale di questo paese?” Chiedo al mio ospite, giunti ormai al dessert (soufflé al cioccolato e banane fritte).
“Certo, l’industria dovrebbe riconvertirsi verso un mercato domestico, e in questo non è certo aiutata dalla mancanza pressoché totale di collegamenti interni (solo il 20% delle strade sono asfaltate, e stiamo parlando di un’isola grande quanto la Francia e il Benelux insieme). Ma è la lotta alla corruzione quella che dovrebbe costituire la vera priorità del prossimo presidente. Per questo è fondamentale che, chiunque esso sia,  rompa una volta per tutte con la struttura clientelare del Buono, del Brutto e del Cattivo” .
Per uscire dalla crisi (e forse nella speranza di rimanere al potere) Rajoelina si era incontrato, nel Settembre del 2011, con i suoi predecessori, Ravalomanana e Ratsiraka, e sotto i buoni auspici del Sud Africa e della SADC era stata tracciata una road map al fine di traghettare il paese verso nuove elezioni. Allora gli accordi prevedevano che nessuno dei tre si sarebbe ri-candidato e a scanso di equivoci, il Consiglio Elettorale, che di lì a poco si era formato per supervisionare le future elezioni, aveva stabilito alcune regole ferree, una delle quali imponeva che ogni contendente dovesse risiedere nel paese da almeno sei mesi, tanto per evitare la tentazione a Ravalomanana o a Ratsiraka di correre dal loro esilio. Tanto ferree si sono dimostrate queste regole che la Commissione Elettorale, indicendo le elezioni per il Maggio 2013 (spostate poi a Luglio), ha ammesso la candidatura sia di Ratsiraka che di Ravalomanana  - per quest’ultimo anzi, si è presentata la moglie, Lao Ravalomanana, per altro anch’essa in esilio con il marito -. Al qual punto anche Rajoelina ha confermato la propria candidatura.
Le pressioni da parte della comunità internazionale perché si rispettassero gli  accordi contenuti nella road map sono state molto forti. Sia la SADC che l’Unione Africana hanno ammonito che se il terzetto correrà per le elezioni, essi non ne riconosceranno l’esito. La Francia, dal canto suo, ha deciso di imporre un bando a coloro che “blocchino il processo di transizione violando gli accordi della road map”, con riferimento ai tre presidenti contendenti. E anche l’Unione Europea ha minacciato di imporre  sanzioni.
Le pressioni hanno funzionato. Nell’Agosto di quest’anno, la Commissione Elettorale ha abrogato la candidatura  dei tre presidenti (assieme a quella di altri 5 candidati); il che ha comportato un ulteriore slittamento delle elezioni, ora programmate per il 25 Ottobre. Un secondo turno, con elezioni legislative, sarebbe previsto il 20 Dicembre.
“A questo punto nessuno potrà dire con certezza se e quando avranno luogo le elezioni presidenziali. A parole, i tre contendenti hanno dichiarato di accettare la decisione della commissione, per il bene del Madagascar…” commenta con scetticismo il mio ospite mentre sorseggiamo il caffè.
“E’ vero che le piazze sono sempre divise, e che tre anni di strisciante guerra civile hanno innescato  meccanismi perversi (aumento della criminalità nelle città e revival di etno-localismi nelle campagne) che saranno difficili da domare. Quello che occorrerebbe” chiosa il diplomatico concludendo il nostro colloquio “ è un processo di pacificazione nazionale, sull’esempio di quel che si è visto nel Sud-Africa post Apartheid. Il retaggio politico e culturale del Buono, Brutto e Cattivo dev’essere definitivamente rimosso perché il Madagascar, che ne ha tutti i mezzi, possa affrontare il futuro con rinnovato ottimismo.”
Un rinnovamento culturale, quindi, prima ancora che politico, è il gravoso compito che spetta  a chiunque governerà questo magnifico e complesso Paese. Riuscirà una nuova generazione di politici ad emergere e a costruire sulle macerie lasciate dalla guerra tra il Buono, il Brutto e il Cattivo?

Testo e foto di Eddy Sanfilippo http://www.erodoto108.com
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