Una terra
dai mille colori, dalla vegetazione lussureggiante, dal mare cristallino,
popolato da simpatici abitanti, che supera di gran lunga l'immaginario
collettivo e che alimenta sempre di più il mal d'Africa
Scendo dall’aereo ancora stordita dopo nove ore di volo e mi ritrovo in una
stanza adibita ad aeroporto in cui il rullo che trasporta le valigie è umano,
formato da una decina di malgasci che in coro ci chiedono: “mancia, mancia”.
Anche questa è una delle mille sfaccettature che caratterizzano questa
splendida terra.
Saliamo nel pulmino che ci porta nella località di Andilana, una delle zone
più belle di Nosy Be e dove è situato il nostro villaggio turistico e veniamo
catturati da quello stile di vita così lento e pacato, ben diverso dalla
conosciuta frenesia.
Percorriamo Hellville, il capoluogo dell’isola e tutto è un susseguirsi di
colori contrastanti: le strade asfaltate ma coperte di terra mista a polvere, i
negozietti locali che pullulano di primizie a chilometri zero tra cui banane,
ananas, mango, papaya, un paradiso per gli amanti della frutta, intervallati da
qualche localino tipico, bianco e azzurro, adibito a ristorantino con appesi in
strada baguette e pesci. Più in là il verde intenso degli alberi e delle palme,
che fanno da sfondo a questo pittoresco ritratto.
Sono le otto del mattino ed il sole è già alto nel cielo. Poco fuori dalla
città ammiriamo la vera essenza del Madagascar: prati stepposi dove pascolano
pacatamente gli zebù, o simpaticamente chiamati da loro “zio bù”. Sono le
nostre mucche, molto più magre e con una strana gobba dietro alla testa,
considerata tra l’altro, la parte più prelibata del bovino.
Più in là un gruppo di
fortunati bambini con lo zainetto in spalla, si avviano con molta calma a
scuola. Eh si, il loro motto è “more more” ovvero “calma calma”; d’altronde qui
le giornate scorrono con un ritmo decisamente più lento.
Anche le donne, tutte
pitturate in viso con una pasta particolare per proteggersi dal sole, si danno
il loro da fare. Fuori dalle loro piccole ma graziose capanne elevate da terra,
accendono dei fuochi sopra ai quali ci sono dei catini di ferro dove bolle del
riso, elemento base della loro alimentazione. Qualcuna accudisce i bambini più
piccoli, qualche altra ricama magnifici parei colorati con tanto di pizzi e
merletti. Gli uomini invece intagliano il legno che abbonda in Madagascar.
Ogni tanto qualcuno
guarda il nostro pulmino ed emette un timido “ciao”.
Arriviamo nel villaggio e ciò che
notiamo immediatamente è un giardino zoologico di un verde che sembra finto. Ci
allontaniamo dal caos di valigie e ci inoltriamo in un susseguirsi di palme e
alberi. Tutto intorno c’è un silenzio magico, interrotto dai versi di qualche
animale che non riusciamo a decifrare. Poco dopo sbuca da dietro un albero un
simpatico omino, tutto di verde vestito che ci fa notare una famiglia di
camaleonti, tassativamente mimetizzati tra le piante. Ne prende uno in mano e
ce lo mostra. Non avevo mai visto prima un essere simile, così strano e bello
allo stesso tempo. Gli occhi girano a 360 gradi, la coda si attorciglia lungo
la mano e di tanto in tanto estrae una lingua degna di nota. Il suo colore
varia dal verde scuro, al verde smeraldo sino ad un rosso vermiglio e penso a
come il nostro Creatore abbia potuto inventare tanto. Senza che nemmeno ce lo
chiedesse, il nostro nuovo amico si arrampica atleticamente su una palma alta
circa venti metri e ci fa avere un cocco appena raccolto. Taglia la dura
corteccia con un arnese simile ad un’ascia e ci fa assaporare una delizia che
prima d’ora non avevamo mai assaggiato: il latte di cocco. Mangiamo anche il
frutto, ben diverso da quello che troviamo al supermercato
Ringraziato per la dolce sorpresa, ci avviamo verso la reception,
oltrepassiamo la scenografica piscina e ci avviamo verso una magnifica laguna
di acqua cristallina dove veniamo immancabilmente presi d’assalto dai beach
boys, simpatici ragazzi malgasci che inizialmente possono sembrare insistenti,
ma in realtà non fanno altro che tentare di portare a casa dei soldi offrendoci
delle escursioni ben organizzate.
Prenotiamo immediatamente la gita a Nosy Iranja per il giorno seguente e
Nosy Tanikely e Nosy Kombe per la domenica.
Siamo pronti all’escursione con tanto di cappellini e creme solari e
salpiamo a bordo di uno scafo, piccolo ma confortevole verso Nosy Iranja, o
anche isola delle tartarughe e dopo circa due ore di navigazione vediamo
davanti ai nostri occhi ciò che mai avremo potuto immaginare. Un vero e proprio
paradiso terrestre formato da due isolette ricche di vegetazione e collegate
tra loro da una striscia di sabbia bianchissima che ci acceca e tutto
circondato da una mare celeste da cartolina: una libidine per la vista.
Scendiamo ancora impressionati da tanta bellezza e ci tuffiamo in quelle
acque calde senza esitazione, sentendoci degli dei nati da quel mare. Il nostro
assaggio non dura granché perché veniamo richiamati dalla guida, il nostro
beach boy malgascio, ad addentrarci all’interno del villaggio locale ed anche
lì è una sorpresa continua. Veniamo accolti da una moltitudine di tovaglie
colorate svolazzanti e da bambini urlanti e festosi che ci salutano con un
“ciao mozzarelline”.
Percorriamo un tratto di foresta in salita, ricca di piante di vaniglia e
cannella, dove si può scorgere, tra le fitte ramificazioni, un pezzetto di blu
del mare e raggiungiamo una scuola pullulante di bambini che stanno imparando i
giorni della settimana in francese, ma la loro attenzione viene distolta dalla
nostra presenza e in un batter d’occhio veniamo circondati da manine in attesa
di una penna o di una caramella. Non avendo portato nulla con noi, diamo loro
dei braccialettini in gomma colorati e nei loro occhi esplode una gran gioia
che ci dimostrano scrivendo sulle lavagnette: “grazie”. Banali fatti che
riempiono il cuore.
Poco dopo saliamo su un faro lì vicino dal quale è possibile vedere
l’immensità del mare fino alla costa del Madagascar. Anche la lingua di sabbia
è ben visibile, sembra un fascio di luce che da lì a poco andrà a scomparire a
causa della marea.
Ci affrettiamo a scendere per goderci ancora un po’ il mare e per riempirci
la pancia di riso e aragosta in compagnia di simpatici paperi pronti a
punzecchiare il terreno alla ricerca di qualche chicco.
Ed ecco la mascotte dell’isola da ben centocinquanta anni: la tartaruga
gigante. Ebbene si, chissà quanti volti avrà visto in tutti questi anni di
vita.
Nosy Iranja è anche l’isola delle tartarughe marine che ogni primavera
vengono lì a deporre le uova.
La giornata è ormai finita, risaliamo nella nostra barchetta dove ci
attende il “marinaio” con il bottino del giorno: una cernia di cinquanta chili!
Il Madagascar non ha ancora finito di stupirci e lungo il tragitto,
percorrendo parte del Canale del Mozambico, vediamo la regina del mare, in
tutta la sua magnificenza: la balena che volteggia tranquilla ad una decina di
metri dalla nostra barca, che mai prima d’ora sembra così piccola.
I giorni in villaggio trascorrono piacevolmente, tra giochi in spiaggia e
spettacoli serali, ma attendiamo con ansia la domenica per goderci ancora
quest’angolo di paradiso.
Salpiamo, sempre in compagnia del nostro ormai amico beach boy, alla volta
di Nosy Tanikely (isola piccola) e, armati di maschera e boccaglio ci
immergiamo in un acquario a misura d’uomo, meno ricco dei fondali del Mar
Rosso, ma comunque coralli dorati, anemoni adornati da pesci pagliaccio, pesci
pappagallo e ricci di mare non mancano
Nosy Kombe (isola dei lemuri) è invece l’isola dei lemuri, simpaticissime
scimmiette che vivono in mezzo alla foresta, insieme al serpente boa, ma che
interagiscono tranquillamente con l’uomo. Così mi faccio prendere dall’euforia
e do loro delle banane da mangiare. Non occorre nemmeno chiamarli, dato che uno
di loro mi balza in spalla, facendomi quasi cadere dallo spavento e mi toglie
di mano la banana che accuratamente sbuccia. Un altro ancora mi sale in testa.
È facile distinguere il maschio dalla femmina. Il primo è tutto nero, la
seconda marrone rossiccia. Uno tutto bianco invece salta acrobaticamente di
ramo in ramo volendosi così distinguere dagli altri non solo per il colore.
Le escursioni naturalistiche sono al loro termine, ma non la nostra
giornata.
È domenica e i malgasci fanno grande festa bevendo rum e altri alcolici, ma
lo spettacolo più atteso è la “Moraingj” ovvero la lotta malgascia.
La guida ci accompagna a Dzamanzar, suo paese natale, in una arena gremita
di gente, in cui noi spiccavamo per il nostro colorito. Ed ecco che la calma
domenicale viene interrotta da questi uomini provenienti da villaggi limitrofi
che si sfidano tra loro. Lo sfidante passeggia attorno ad un cerchio lanciando
sguardi di sfida finché non trova qualcuno che accetta. Questo tipo di lotta
comporta agilità e rapidità di movimenti ed è accompagnata da suoni, canti e
dalle urla degli spettarti che incitano i giovani. Notiamo che molti di loro
masticano qualcosa e ci viene spiegato che si tratta di foglie di Kat, una
pianta eccitante che aiuta a non sentire il dolore. Restiamo impressionati da
tanta ferocia, ma per loro è come assistere ad una partita di calcio.
Terminiamo la giornata partecipando ad una messa cantata in coro da tutti i
fedeli ed il tutto è così bello che ci viene da andarci più spesso.
Che dire, il Madagascar è una terra dai
mille colori, dalla vegetazione lussureggiante, dal mare cristallino, popolato
da simpatici abitanti, che ha superato di gran lunga le nostre aspettative e
che porteremo sempre nel cuore, alimentando sempre più il nostro mal d'Africa.
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