mercoledì 21 novembre 2012

Quando la fotografia diventa « ARTE »


La Mostra Fotografica Luci e Colori del Madagascar racconta l’esperienza fotografica e umana di Giuseppe Schintu, profondamente innamorato di questa terra generosa e solare, che merita di essere conosciuta anche al di fuori delle mete patinate dei tour operator.

Il primo contatto con il Madagascar di Giuseppe Schintu è stato casuale: un suo amico Beppe Siragusa apre un nuovo albergo a Nosy Be, la perla del Madagascar, e desidera che Pino Schintu faccia un servizio fotografico, nel modo come soltanto lui sa fare, per presentare il “Marlin Club” di Nosy Be.




Pino arriva in Madagascar e si mette subito al lavoro e oltre alle foto per il “Marlin Club” scatta alcune centinaia di foto di questa Isola Rossa. Sono foto che ritraggono la povertà di questo popolo, l'infanzia abbandonata, il lavoro nei campi, le risaie ecc.



Sono una testimonianza indescrivibile che Schintu porta con se al ritorno in Italia e che quando stampa queste foto affollano la sua mente di una triste mestizia. Decide allora che deve fare qualcosa per questo popolo malgascio e trova nell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Genova la disponibilità ad aiutarlo per pubblicare in un libro queste foto.
Quando il libro “ “Luci e Colori del Madagascar”, è pronto, comincia a proporlo personalmente agli amici e alla cerchia dei suoi conoscenti, fino a quando riesce a ricavare da questa vendita i primi 5000 euro. Con questo ricavato torna in Madagascar e mette in atto il suo primo progetto: la costruzione di una scuola elementare per 90 bimbi nel villaggio Antanyfotsy, nella regione Amoron Imania. La scuola è subito funzionante perchè è già dotata degli arredi e anche dei servizi igienici.



Dopo quel primo progetto Schintu ha portato avanti altri progetti e non si ferma perchè spera, grazie anche agli aiuti che continua a ricevere dagli amici, di realizzare tanti altri progetti.
Trovate la storia di tutti i progetti nel sito dell'Associazione Onlus: www.madagascar82.com

Giuseppe Schintu, genovese, arriva alla fotografia professionale e artistica dopo avere partecipato e vinto parecchi concorsi, citiamo solamente quello bandito dalla trasmissione domenicale di Maurizio Costanzo e quella di Mike Bongiorno.
I temi che ha impresso sono quelli di vita vissuta, la vita quotidiana: la povertà, la fame nel mondo, la donna incinta.

Le sue opere sul Madagascar recentemente sono state esposte allo Spazio Eventi Top Market di Genova, ricevendo un grandissimo consenso di pubblico e di critica sui giornali italiani. AS


Le foto riportate in questo servizio sono solamente un sunto, coloro che desiderano contribuire e acquistare il libro a soli 12 euro, possono farne richiesta a unsemepercrescere@yahoo.it










‘ Linee della nuova politica sanitaria nazionale per il trattamento e il reinserimento sociale dei malati mentali’


La CANTINE di AMBOKALA

L’attività della cantine di Ambokala è ufficialmente iniziata il mezzogiorno del  17 giugno scorso. Da allora tutti i giorni cuciniamo e distribuiamo 3 pasti caldi al giorno agli ammalati più poveri e alle loro famiglie che li assistono.  Attualmente  71 ammalati (su un totale di 90) e 46 familiari beneficiano della cucina. Occorre circa un’ora per distribuire a tutti riso e  laoka (accompagnamento al riso) . Poi ancora un'altra mezz’ora  per la ranomapango che è  la tipica ’acqua da tavola’ in Madagascar: praticamente è acqua fatta bollire nelle pentole ancora sporche di riso bruciacchiato. Non siete invogliati? in realtà  è molto digestiva ..e poi qui  non è salutare per il corpo bere acqua fredda né, per le tasche,  bere acqua in bottiglia Il nostro menù è molto vario, a parte il riso che è il  piatto forte  di tutti e tre i pasti della giornata.       
 Approfittando delle attività della cucina, abbiamo seguito (o forse precorso?..) le ‘ Linee della nuova politica sanitaria nazionale per il trattamento e il reinserimento sociale dei malati mentali’ cercando di affidare  loro qualche semplice attività quotidiana da fare insieme ai gardmalades:                                                                                 Ogni giorno c’è un  primo gruppo che pulisce il riso dalla pula e dai sassi: e c’é da lavorare… pensate che mangiamo circa 70 kg di riso al giorno! Ogni mattina,quando arrivo all’ospedale è bellissimo  vedere donne, uomini e bambini  assorti in questo lavoro di precisione: sono tutti seduti vicini vicini all’ombra di un albero, alcuni con  gli  occhiali più improbabili …  visti da lontano sembra stiano facendo una cernita di pietre preziosissime.
Un secondo gruppo attinge acqua al pozzo per la cucina, cioè mattina, mezzogiorno e sera… in attesa di trovare un serbatoio capiente. L’altro giorno un gruppo ha chiesto di fare una piccola riunione con noi responsabili, perché la discussione era questa: “Isahay reraky ny fanafody!”dicevano i giovani ammalati,”Ary isahay reraky ny fahanteranay!!”rispondevano le gardmalades. Che significa: “Noi siamo stanchi  a causa delle medicine”, “E noi per la vecchiaia!” … in effetti hanno le loro ragioni. Anche io, che non sono né malata, né anziana faccio una gran fatica a sollevare a mano una quindicina di secchi di 10 l da 17 m di profondità … La soluzione, per ora, è stata comprare secchi più piccoli e fare in modo che la stessa  persona non sollevi  più di 2 secchi di fila … in attesa di sistemare il pozzo. Comunque non possiamo lamentarci perché , grazie a Dio, l’acqua pulita non ci manca.
 Un altro gruppo è addetto ad aiutare le cuoche a preparare la laoka: uccidere i polli, pulire e tagliare il pesce, preparare le verdure, tagliare gli spaghetti(…qui vanno di moda della lunghezza degli stuzzicadenti). A parte qualche litigio con le cuoche direi che su questo fronte andiamo piuttosto bene..                                            
C’è poi chi ha il compito di  lavare i  pentoloni: in genere usiamo acqua e sapone , ma quando sono molto unti  mi hanno insegnato che è più efficace la sabbia…                                                                                                   Infine  c’è da fare legna, cioè cercarla e tagliarla adeguatamente. E’ di certo l’attività più ambita per gli uomini perché  ”Questo sì che è un lavoro da uomini, mica pulire il riso o lavare le pentole” mi ha detto Roman e poi se riesci a tagliare la legna sei già considerato tra quelli che stanno bene .. ma è anche il lavoro  più difficile perché richiede molte energie e perché  la legna qui intorno comincia a scarseggiare. Pensate che qualche settimana fa, esasperati dalla infruttuosa ricerca , Jean Baptist, suo fratello Jean Noel e Fiacre, 3 malati giovani e aitanti , hanno abbattuto un bellissimo palo della luce di legno! Fortunatamente non era ancora stata attivata la corrente..
Nell’ultima  riunione mensile con tutti ammalati Theogene si è fatto portavoce di questa proposta: “ Siamo pronti a rinunciare al pollo per una domenica e a sostituirlo con i fagioli, così con la differenza puoi comprare un po’ di legna  e riempire la legnaia, prima che comincino le piogge “ . Non ho  potuto accettare per questioni di  ‘dieta’ dei malati…ma mi sono quasi commossa , per l’intenzione…  devo dire che è una delle proposte più lungimiranti e volte al bene comune che ho sentito da quando sono qui….e vogliamo chiamarli malati mentali???
Alle nostre attività ordinarie, da circa un mese, si è aggiunta una grande novità: con il preziosissimo aiuto dei campisti (gruppo di giovani venuti dall’Italia per conoscere le attività di RTM… e accompagnati dalla Leti) ora possiamo dire di avere un orto!                                                                                                                               Pensate che in  un giorno i campisti(16)+ servi della chiesa(3)+ noi volontarie Manakara(4)+ ammalati + amici vari , armati di vanghe, rastrelli..e  tanta buona volontà, sotto la guida esperta dell’equipe tecnica di  Ampa (6), abbiamo recintato,pulito e dissodato un terreno usato fino ad allora come discarica. Poi è stato diviso in parcelle, creato un piccolo semenzaio e sono stati piantati cetrioli, fagiolini, pomodori e bietole. Abbiamo anche fatto una buca per fare il compost  (..per la verità  qui da noi i resti organici sono giusto le bucce ‘trasparenti’ delle verdure).   Gli ammalati sono rimasti molto impressionati da tutta questa gente che non conoscevano e che ha lavorato sodo.. e hanno preso sul serio l’impegno dell’orto.
Per ora ho dato l’incarico a 4 malati di fiducia: Gitorix, Zakafeno, Pascalin e Arsene  di innaffiarlo tutti i pomeriggi, verso le cinque.  Sono talmente “mazoto”(diligenti )che a volte bisogna fermarli… innaffiano anche sotto alla pioggia!!                                                                                                                                                                                      Ad oggi, i cetrioli crescono bene, i pomodori e le bietole sono stati trapiantati e vanno a meraviglia e ogni volta che passa a Manakara qualcuno dell’equipe tecnica di Ampa, ne approfittiamo per fare una piccola formazione. Lunedì scorso ci hanno insegnato come si tolgono le erbacce. I malati erano serissimi nel seguire le indicazioni degli insegnanti e contenti di  avere qualche piccola responsabilità..già  immagino la soddisfazione quando vedremo i primi frutti!!!
La struttura della cucina continua a ‘farmi tribolare’ un pò : abbiamo  sostituito con mattoni e cemento una delle pareti  di chinino, dopo che ha seriamente rischiato di prendere fuoco…adesso il problema è risolto, ma i forni a legna sono a fuoco massimo  per 12 ore al giorno… e qui non è facile trovare mattoni che non si sbriciolino dopo una settimana…In sostanza ci sono spesso dei lavori in corso, ma non ci hanno mai impedito di cucinare…Anzi, anche gli operai sono diventati dei nostri…no,non si sono ammalati, ma mi hanno confessato che i malati mentali visti da vicino non fanno poi quella paura …

·           Sosteniamo il progetto AMBOKALA
·         in Madagascar gestito da Enrica Salsi
·          
·         A partire dal mese di gennaio 2012, la
·         nostra Unità Pastorale si è impegnata a
·         sostenere il progetto che Enrica Salsi
·         sta portando avanti a Manakara in Madagascar.
·         Si tratta di dare un aiuto alla mensa
·         dell’ospedale psichiatrico di Ambokala per gli
·         ammalati più poveri, lì ricoverati assieme alle
·         loro famiglie come è consuetudine in Madagascar.
·         Sono quasi 150 le persone da assistere, compresi
·         gli adulti ed i bambini, per cui l’impegno economico
·         è considerevole, dal momento che
·         l’intervento dello Stato è pressoché inesistente.
·         La raccolta di fondi verrà effettuata l’ultima
·         domenica di ogni mese e il Centro Missionario
·         Diocesano provvederà ad inviare quanto raccolto
·         ad Enrica.
·         Si chiede un libero contributo costante ogni mese
·         per dare continuità al servizio svolto. Questo
·         progetto sostituisce il sostegno per le famiglie
·         povere in Albania, preso in carico da altre Comunità
·         parrocchiali.

La Povertà


E’ mangiare quando ce n’è e quando non ce n’è bere un po’ di tè e andare a letto, che domani è un altro giorno..dice semplicemente Madame Panette.  E’ trasformare una sgualcita maglia da donna in un vestito con cintura di corda per tua figlia perché non ha vestiti  decenti per andare a scuola…è avere una unica coperta in 3 persone, rattoppata con pezzi di rafia( che non è stoffa …) … è un tetto fatto di brandelli di sacchetti di plastica, è l’abilità di  mangiare il brodo per anni  in un piatto con un buco da un lato tenendolo sempre inclinato al punto giusto… è tagliare la stoffa sulla schiena della propria maglia per fare dei pantaloncini per tuo figlio e poi continuare ad usarla come se niente fosse..è non toccare un telefonino di plastica perché di giocattoli non ne hai mai avuti ed è già bello solo da guardare..è andare a scuola con due ciabatte diverse e sentirsi fortunato perché ” stavolta ne ho trovate una destra e una sinistra….”mi diceva Angelo tutto contento.  E’ forse allevare uccellini e cavallette perché non ci sono bamboline e macchinine? E’ leccare per settimane una carta di caramella trovata a terra convinti di gustare ancora lo zucchero…?
Sì, è povertà … i miei amici sono molto poveri….ma non è questa la miseria o la desolazione.

 Insieme  a  loro  tocco tutti i giorni qualcosa che credo abiti  da sempre nel cuore di tutti : la voglia di essere famiglia. Di scambiarsi attenzioni quotidiane che ti fanno sentire prezioso ..e  se c’è qualcuno con te , se hai qualcuno di cui prenderti cura, se c’è un posto dove ti senti a casa , dove qualcuno aspetta proprio te … anche solo  per darti il tuo  piatto di riso e fare due chiacchiere..non vivi la miseria o la disperazione.  Sei povero, ma riesci a vivere  la consolazione ..Ho visto nascere famiglie bellissime, poco canoniche … ma meravigliose.  Compagni di camera che diventano fratelli, sorelle, madri e figli…
Sarebbe bello poter essere famiglia per quelli che non l’hanno.
E’ quello che tutti cercano per essere felici..è una esigenza  naturale..ed è anche un talento  che Il Signore ci ha dato come uomini e donne!

domenica 18 novembre 2012

L’ultimo saluto a Martial


Un altro avvenimento significativo  degli ultimi tempi, che volevo raccontarvi, è la morte di Martial il ray aman-dreny di Ambokala.  Lo chiamavamo “chef de Region”perché ha lo stesso nome del ricco e prepotente capo della Vatovavy- Fitovinany (la nostra regione) al potere dopo il colpo di stato del 2009.
Ma in comune hanno solo il nome.  Il nostro Martial era un uomo  di età imprecisata (alcuni parlavano di 100 anni…), molto povero, supersolitario, che si era scelto come dimora la baracca più disastrata di Ambokala. Niente porte, né finestre, né pavimento…solo tante e tante pulci. Non ha mai accettato di abitare con nessuno(onestamente  non c’era la fila…) e non abbiamo mai visto nessuno che lo venisse a trovare in questi ultimi anni…Da quando è stata aperta la cantine era diventato un po’ più socievole, se non altro perché nel ritirare il cibo aveva qualche contatto umano ...era il primo a ricevere la sua razione e ringraziava sempre. Ultimamente non camminava quasi più e si appisolava dovunque, anche sotto il sole cocente. Accettava di farsi portare il cibo dai vicini di stanza e di farsi lavare dagli scout e da una sola gardmalade, M.me Paoline .
Quando è morto aveva addosso 6 maglie … tolte quelle sarà pesato 30 kg.  L’abbiamo lavato, rivestito a festa ed avvolto in 2 teli e in due stuoie, come è tradizione quaggiù. Poi è stato deposto in una stanza  mezza scoperchiata, perché le altre erano  tutte piene..è stata accesa una candela  e malati e gardmalades  hanno cominciato i turni di veglia. Non è mancata neanche la  pioggia notturna che batteva sulle  stuoie ... Abbiamo cercato invano i suoi parenti e fatto un annuncio per radio perché si presentasse qualcuno del  suo gruppo etnico (lui è originario del sud di Vangaindrano,molto lontano da qui) per  dirci cosa fare. Purtroppo non c’è stata risposta e allora il terzo giorno noi di Ambokala, i suoi ‘parenti ‘degli ultimi anni, con il prete omonière  abbiamo fatto un piccolo funerale all’ ospedale…qualunque fosse la sua fede…. Le  mie compagne di Manakara, Chiara, Cecilia e Giulia  c’erano tutte. Tanti malati hanno partecipato e sono stati proprio loro: Gy, Pascalin, Arsene, Pascal, Mahasitrà e  gli altri a scavare la fossa. Poi è stato il turno delle donne: hanno creato un sofficissimo letto di foglie su cui è stato adagiato il corpo. ” Martial non ha mai avuto un giacilio così accogliente “pensavo io.
Il  terreno in cui l’abbiamo sepolto è stato donato (da qualcuno molto avanti …)per tutti quei malati che non hanno tanin-drazana su questa terra, cioè che,  una volta morti, nessuno viene prendere : soprattutto tubercolotici, lebbrosi e  malati mentali … Ci sono tanti  mucchietti di terra dentro ad una piccola foresta .Sono tutti anonimi. “Tanto  il Signore li  conosce per nome , meglio di tutti gli altri “…pensavo io.
Alla fine ci sarebbe voluta, secondo la tradizione, toaka gasy per tutti.. ma abbiamo pensato di sostituirla con un buon tè caldo..niente contro la tradizione, ma il rhum non va  d’accordissimo  con i neurolettici ..
Contenta di condividere qualcosa della nostra vita qui con tutti voi.
Vi abbraccio!
Erri

In Madagascar un grande patrimonio di biodiversità tutto da ammirare


In Madagascar possiamo rintracciare un grande patrimonio di biodiversità tutto da ammirare. Non a caso infatti i naturalisti definiscono quest’isola “l’ottavo continente”. Visitando quest’ambiente naturale, ci possiamo rendere conto che ci troviamo di fronte ad una grande varietà di specie sia animali che vegetali, che rappresentano il 5% della totalità delle specie viventi del mondo. Una caratteristica peculiare di queste forme di biodiversità consiste nel fatto che esse possono svilupparsi e vivere soltanto in questo luogo. Un insieme di risorse naturali che suscita stupore. Lo stesso WWF mette in evidenza che nel corso degli ultimi 10 anni in Madagascar sono state scoperte 615 nuove specie viventi. La biodiversità è un valore da tutelare. Basti pensare che, in termini di biodiversità, solo in Italia ci sono 58.000 specie animali a rischio estinzione. Per questo occorre mettere in atto strategie adeguate di tutela ambientale.
In tema di biodiversità l’estinzione a volte può essere più veloce dell’evoluzione. Ma in Madagascar sembra possibile rintracciare una grande ricchezza, dal valore inestimabile: pesci, invertebrati,anfibi, rettilimammiferipiante. È comunque vero che molte di queste specie sono già in pericolo. Si calcola che, per ciò che concerne la biodiversità, esiste un rischio di estinzione per una pianta su cinque.
Gli esperti fanno notare che le principali cause che mettono a rischio la biodiversità sono costituite dalla deforestazione, dalla pesca eccessiva, dal bracconaggio e dall’erosione delle barriere coralline. Un’altra minaccia degli habitat naturali del Madagascar è rappresentata dall’instabilità politica del Paese.

Biodiversità: estinzione più veloce dell’evoluzione
Ancora una volta il mondo deve temere una minaccia. Proprio come era successo con la scomparsa dei dinosauri sulla terra, noi uomini stiamo portando flora e fauna all’estinzione. Prima ancora che esse possano evolversi per abituarsi alle nuove condizioni di vita cui sono sottoposte. L’annuncio è stato dato al Guardian da Simon Stuart, presidente della Species Survival Commission dell’IUCN, l’organismo che monitora ufficialmente le specie minacciate ed estinte. E di lui c’è da fidarsi, dato che si tratta di uno dei maggiori esperti di biodiversità a livello mondiale.
Biodiversità: rischio estinzione per una pianta su cinque
Tutelare la biodiversità significa anche cercare di ridurre il rischio di estinzione per le piante. E a quanto pare questo rischio c’è, almeno per una pianta su cinque. È questa la conclusione a cui è giunto uno studio portato avanti dal Royal Botanic Gardens, Kew, dal Natural History Museum di Londra e dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. Una minaccia che va affrontata in maniera consapevole e mediante la messa in atto delle giuste strategie in nome dellatutela ambientale e dell’ecosistema. Anche perché l’azione dell’uomo è responsabile di questo pericolo.
Quella della tutela ambientale non è una questione che può passare inosservata. La natura ha bisogno di essere protetta dai comportamenti sconsiderati degli uomini, che spesso non tengono conto dei danni ambientali che possono provocare. Gli studiosi hanno esaminato numerose specie di vegetali, raccogliendo su di esse precise informazioni botaniche. Attraverso appositi confronti e analisi hanno potuto delineare un quadro chiaro sul rischio di estinzione che interessa le piante conosciute.
Le piante sono a rischio soprattutto perché stanno perdendo il loro habitat a causa del fatto che l’uomo sta sempre più convertendo gli ambienti naturali in spazi dedicati all’agricoltura e all’allevamento. Le piante più a rischio sono le gimnosperme e quelle che fanno parte dellaforesta pluviale tropicale. Una sostenibilità ambientale delle azioni umane che non sembra sia riuscita in tutto. Non si può non recepire l’appello lanciato dal professor Stephen Hopper, direttore del Royal Botanic Gardens:
Non possiamo stare a guardare le specie vegetali che spariscono. Le piante sono la base di tutta la vita sulla Terra, forniscono aria pulita, acqua, cibo e carburante. Tutta la vita degli animali e uccelli dipende da loro, e così anche noi.
Fonte | Ecologiae

L’Ansa ha accennato a una notizia che non ha avuto eco qui da noi.


In Madagascar - a Fort Dauphin, nel sud-est dell’isola – c’è stato un crudele massacro legato a dei furti. Furti non di denaro ma di zebù. Qui, infatti, lo zebù è la vera ricchezza della gente: una famiglia è tanto più ricca e potente quanti più zebù possiede e in molte tribù si stipulano ancora i matrimoni barattando la donna con l’animale. Tanto più la ragazza è giovane, quanti più zebù occorrono per ‘comprarla’ come sposa, ebbene sì!
Per colpa degli zebù, ieri sono morte centinaia di persone: almeno novanta dahalos – così si chiamano tradizionalmente i ladri di bestiame – sono stati uccisi durante due spedizioni punitive condotte dagli abitanti dei villaggi depredati.

Se la notizia rimbalza indifferente alla maggior parte di noi, risucchiati come siamo da catastrofi socio-economiche ben più clamorose – personalmente mi si stringe il cuore. Non solo per quelle persone semplici e istintivamente pacifiche ma anche per i poveri zebù che, alla fine, sono quelli che faranno la fine peggiore.
“Non si butta via niente dello zebù! E’ come il maiale per voi ...” mi spiegavano i ragazzi malgasci, quando, quest’estate a Nosy Be, m’intenerivo e accarezzavo rapita le gobbe gommose di ogni zebù che mi capitava sotto tiro. Sono animali docili e mansueti: a guardarli negli occhi grandi e acquosi, leccati da lunghe e folte ciglia, mi sembrava di sprofondare in uno stato d’animo umano, grato e compassionevole. Purtroppo, credo d’essere l’unica creatura al mondo che si pone in silente dialogo con uno zebù e che, oltretutto, lo confessa pubblicamente senza vergogna.
La realtà è ben diversa, lo zebù è cibo e ricchezza. Nella capitale, Hellville, c’è persino uno Zeburger, popolare quanto un nostro Burger King o McDonald e mi hanno assicurato che gli hamburger di zebù non hanno nulla da invidiare a quelli di manzo consumati da noi (sempre che di manzo si tratti).

Sarà! Io preferisco pensarla come Montaigne (che amava e rispettava moltissimo tutti gli animali), quando riferendosi alla sua cara gatta, pensava: “Chissà se quando gioco con la mia gatta, non sia lei a giocare con me?”
Ebbene, forse anche gli zebù hanno un linguaggio e sono animati da pensieri, sentimenti, sogni, speranze, paure. Magari si prendono gioco di noi quando ci ammazziamo per un pezzo di carne; certamente soffrono quando vengono sacrificati per i piaceri degli umani; ma forse si commuovono anche, quando qualcuno, amorevolmente, li guarda negli occhi, carezzando con dolcezza le loro gommose gobbe.
Fonte: paolacerana.blogspot.com

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Quando il francobollo conviene


“Il vero simbolo, a mio parere, dell’efficienza svizzera è un’automobile strana: colore giallo e guida a destra; la macchina della Posta. Strano vero? Un auto con la guida a destra in un Paese che ha il codice della strada uguale a quello italiano, che prevede la circolazione di auto con la guida a sinistra. Eppure, in Svizzera vedi circolare queste auto della posta di marca tedesca, acquistate dai parchi auto destinati al mercato inglese o dove è previsto il guidatore a destra. Stravaganza…macchè!”. A spiegarne il perché da Zurigo è Massimo Pillera nella sua consueta rubrica curata per Il Fatto Quotidiano di Antonio Padellaro.
“Le macchine della posta elvetica, non perdono un secondo”, si legge nell'articolo che riportiamo di seguito in versione integrale. “Quando ritirano la posta spedita, contenuta negli appositi box collocati per strada, l’autista non deve parcheggiare, aprire lo sportello con il pericolo che un auto lo investa o aspettare che le auto nella carreggiata finiscano. Si ferma, scende dal lato destro direttamente sul marciapiede, scarica il box e fila via senza intoppi perché l’auto è predisposta per questo servizio, con il posto guidatore appunto a destra a favor di marciapiede.


Ma sono auto fatte a posta così? No. Qualche dirigente intelligente ha proposto di comprare quelle previste per altri mercati con la guida a destra. Quelle magari stoccate ed invendute, perché questi mercati sono forse saturi. Che idea! Risparmiare e rendere più efficiente un servizio. La posta in Svizzera è una istituzione più che un servizio. È possibile spedire, da casa, qualsiasi cosa che con certezza matematica arriva il giorno dopo a destinazione alla tale ora. È possibile con 1 solo francobollo fare tutti i pagamenti di utenze, operazioni bancarie, ordini, bonifici, spedendo una semplice lettera. Andare in centro con un bus costa due volte e mezzo l’importo di un francobollo per cui puoi fare tutto da casa. Andare in macchina costa cinque volte di più, tra carburante e parcheggio, mentre puoi fare tutto con una semplice spedizione. Non esistono le raccomandate; o, meglio, esistono, ma nessuno le usa perché con la prioritaria che costa pochi centesimi in più della normale, hai la certezza assoluta che ciò che mandi arrivi. Con la affrancatura normale imbuchi alle 8 di mattina ed arriva il giorno dopo. Con la prioritaria puoi spedire di sera tardi ed arriva a destinazione in mattinata. Questo anche grazie alle strane macchine con guida a destra.
Gli anziani, ma non solo, sono i maggiori fruitori di un servizio che rende meno complicate un po’ tutte le faccende riguardanti pagamenti e spedizioni varie, così come il ricevimento dei pacchi. Anche la spesa puoi farla per posta così come puoi ricevere i medicinali in pacco postale. Ma l’incredibile mi è successo quando una volta in un ristorante non mi funzionò una carta di credito perché smagnetizzata. Il gestore non mi chiese di lavare i piatti, mi chiese solo l’indirizzo di casa. Il giorno dopo mi arrivò il conto con la Posta e rispedii in buca l’importo a spese del gestore. La sera il conto era saldato in un ristorante di Basilea, mentre abitavo a Zurigo. Insomma la posta si muove da decenni in Svizzera in una sorta di rete organizzata talmente bene che resta competitiva ancora oggi alla rete online. E non ha bisogno di antivirus!
Per noi italiani, poi, essa rappresenta, il collegamento con il Paese di provenienza. Quando i nostri connazionali lasciavano mogli (le vedove bianche) e figli giù, anzi come ancora oggi si usa dire in gergo migrante “sotto”, la lettera che arrivava periodicamente era il ponte sentimentale che teneva in piedi la famiglia. Ma questa… è un’altra storia”.                Massimo Pillera (aise)


A piedi nudi nelle favole


Quando avevo quindici anni, l’età di mio figlio oggi, avevo già viaggiato un po’. Conoscevo il sapore dell’esotico e, animata da un’istintiva esterofilia, pensavo che avrei speso tutta la vita a vedere il mondo, tanto mi sembrava più affascinante quello che stava lontano rispetto a ciò che avevo vicino.
Allora, però, non mi rendevo conto di essere un fardello per i miei involontari compagni di viaggio. Un inconsapevole fardello, un’adolescente incompiuta e impreparata alla vita, accollata a lontani parenti che, per senso del dovere o di gratitudine verso i miei genitori (evidentemente disinteressati ai viaggi), accettavano di portarmi con sé durante le loro puntuali esplorazioni transoceaniche. Non erano contrari alla mia presenza, forse, ma di certo indifferenti, visto che non ci univa né un autentico legame affettivo, né una reciproca simpatia, ma solo l’anagrafe. Si partiva col sorriso di circostanza e una pacca sulla spalla ma poi, una volta decollati, ecco che sorgeva un muro invisibile tra loro e me, che si dilatava per tutta la durata del viaggio. L’incomunicabilità tra di noi veniva comunque compensata dalla mia istintiva comunicazione con il ‘diverso’, dalla curiosità per lo ‘sconosciuto’, e le scoperte meravigliose che avrei fatto una volta arrivata a destinazione mi davano sempre un’impagabile soddisfazione.
Scoperte meravigliose ma talvolta, anche, dolorose.
Per esempio, le prime volte, non essendo stata informata che il sole scotta molto ai Tropici, mi bruciavo regolarmente, ostentando tuttavia indifferenza per non sentirmi ancora più ridicola. Oppure, non sapendo che i coralli irritano e che certi insetti non perdonano, mi è capitato di sperimentare ulteriori brucianti sofferenze, anch’esse taciute ma poi lenite da altre dolci carezze della Natura. Scoprire che il plancton la notte brilla come le lucciole, che certi pesci volano a tratti come gli uccelli, che esistono granchi blu grossi come palle da football mi esaltava, amplificando a dismisura il mio stupore per questo mondo tanto vivace.
Insomma, incautamente abbandonata a me stessa, non per volontà ma per umana distrazione, ho imparato a muovermi con disinvoltura lontano da casa, illudendomi così di stare molto meglio altrove. Camminare a piedi nudi su sabbie remote era, per me, come camminare a piedi nudi nelle favole, senza provare nostalgia di tornare indietro, con l’illogica fiducia che la favola successiva sarebbe stata ancor più bella. Così, non mi sono mai sentita spaesata lontano da casa.
Oggi le cose sono molto diverse. Le responsabilità si sono invertite e ho imparato ad amare ciò che mi circonda, scoprendo il valore profondo degli affetti famigliari. Questo aggiunge inevitabilmente una dolorosa nostalgia ad ogni partenza ma anche un’immensa gioia ad ogni ritorno. Mi sono interiormente riappacificata con me stessa e con chi mi ha cresciuto, anzi, sono riconoscente per tutte le esperienze che mi sono state offerte. Ora so che quelle spinte avrebbero rappresentato il mio futuro bene e ora ne faccio tesoro. Dopo tanti anni e tanti viaggi alle spalle (non più condivisi con quei lontani parenti che ripenso col sorriso), parto ogni volta con nuovo entusiasmo e con una ritrovata serenità, consapevole che quelle prime avventure nel mondo sedimentano il mio bagaglio emotivo e caratteriale. Porto spesso con me mio figlio Gabriele, e ad ogni partenza colgo nei suoi occhi quella stessa luce che brilla in me. Anche lui, a quindici anni, ha già conosciuto parecchi aeroporti, spiagge, deserti e giungle e lo rivedo ancora muovere i suoi primi baldanzosi passi, equipaggiato di passaporto, di qualche frase in un primitivo inglese e di tanta curiosità.
E’ tempo d’Africa ora, la culla dell’Umanità. Insieme, lui e io, partiremo presto per una nuova avventura alla scoperta del Madagascar, di una parte almeno, visto che è un’isola molto grande. Sarà, tuttavia, un’esperienza sufficiente per farci assaporare un angolo di mondo a noi ancora sconosciuto, fatto di lemuri, tartarughe, baobab e di gente fiera, dignitosa e accogliente.
Ora, spero che anche quest’ennesimo viaggio convinca mio figlio che la vita è molto più di un comodo tran tran speso nella nostra ovattata quotidianità; che il modo va toccato, respirato e non solo sorseggiato attraverso il filtro della virtualità; che le nostre attuali incertezze economiche e sociali sono serie, è vero, ma che sono nulla rispetto alla realtà di chi poco o nulla ha; e che la gente lontano da noi ha sempre tanto da insegnarci, a partire dallo sguardo, basta imparare a guardare e, soprattutto, ad ascoltare. Perché la voglia di conoscere sconfiggerà sempre la paura di non sapere.
Ma, sopra ogni cosa, io spero che Gabriele trovi in me una vera compagna di viaggio. Un viaggio che durerà il più a lungo possibile e che lui, poi, proseguirà senza di me, sentendosi improvvisamente pronto e forte. In fondo, un po’ egoisticamente, nutro la speranza che mi sia grato un giorno di quest’iniziazione alla vita, con il segreto auspicio che lui abbia sentito in me ciò che, forse, io da piccola non sono riuscita a sentire a sufficienza in nessun adulto: un punto di riferimento chiaro, una guida affettuosa e fedele in cui specchiarsi senza smarrirsi.Buon viaggio Gabri, si parte per una nuova favola
Fonte: paolacerana.blogspot.com

Progetto La Carriere, Madagascar


La  Carrière è un villaggio sviluppatosi in seguito alla lavorazione locale del marmo. Migliaia di persone provenienti dalle campagne circostanti giunsero in questo luogo per lavorare come spaccapietre nelle cave.  Le loro condizioni di vita rimasero però sempre di estrema povertà a causa del diffondersi di malattie infettive e al basso livello di scolarizzazione e alfabetismo.
Con l’arrivo delle Suore di San Giuseppe di Aosta, più di quarant’anni fa, venne avviato un programma di formazione e di educazione collettiva basato sulla creazione di un centro sociale, tutt’oggi fulcro del villaggio, nel quale si svilupparono le seguenti attività e progetti:
 - Educazione primaria per più di seicento bambini
 - Programma di formazione professionale per avviare i ragazzi al  lavoro agricolo e di falegnameria
 - Cooperativa artigianale per la produzione di manufatti di alta qualità destinati ai mercati occidentali
Oggi le Suore di San Giuseppe di Aosta continuano a impegnarsi giornalmente per garantire il miglioramento delle condizioni di vita di questa popolazione accettando con coraggio nuove sfide per rafforzare lo sviluppo locale come, ad esempio, il nuovo programma edilizio. Con questo ultimo progetto, la Congregazione sta garantendo, mediante la costruzione di nuove case, un alloggio per tutte quelle famiglie che hanno raggiunto l’autosufficienza economica: ad oggi, sono state costruite già quaranta unità abitative!
Prospettive e futuro del Progetto:
Dal 2010 L’Associazione Capramagra Onlus è al fianco delle Suore di San Giuseppe di Aosta nella realizzazione del progetto NOUVEL ELAN il quale promuove:
- La realizzazione di una scuola agricola
- Lo sviluppo della coltura di riso e patate
La scuola delle suore di San Giuseppe di Aosta promuove la formazione professionale al lavoro agricolo e di falegnameria.


L’obiettivo di questo percorso formativo è quello di garantire ai futuri capofamiglia una professione certa che permetterà loro di trasferirsi nei nuovi villaggi dove gli verranno assegnati una casa e una terreno da coltivare.
L’Associazione Capramagra Onlus ha deciso di focalizzare i propri sforzi e le proprie attività a  sostegno di questo progetto di educazione e di sviluppo nel Madagascar.

Fonte sito dell’associazione: http://www.capramagra.org/