Freeanimal
Lasciate
che i bibi vengano a me fa il verso alla più famosa frase evangelica
che ultimamente si usa spesso, con una emme al centro, in riferimento ai preti
pedofili. In realtà, bibi in malgascio significa animale e Tina è già
qualche anno che mi chiama “bibi professeur”. E infatti, la molla che mi spinse
nell’estate del 2006 a decidere di fare una capatina in Madagascar, dove ero
già stato una prima volta nel 2003, prima di affrontare l’Africa vera e
propria, furono gli animali, che studio e ammiro fin da bambino. Tuttavia,
stante i condizionamenti mentali della mia guida, che riesce ad aver paura
anche quando non serve e che mi contagia con le sue paranoie, in questo mio
decimo viaggio in Madagascar non sono andato molto alla ricerca di animali e
Tina non si sbatte più di tanto per accondiscendere ai miei desideri. La
foresta di manghi che abbiamo vicino casa, per esempio, a suo dire è
frequentata dai malaso anche di giorno. Figuriamoci di notte. Se
dunque posso dire addio ai lemuri notturni come il microcebo murino o al fossa
che lemure non è, posso almeno sperare di vedere e magari anche fotografare
animali diurni, se non altro quelli che incontriamo durante le passeggiate su
percorsi a suo dire sicuri. E’ stato così che abbiamo trovato un grosso
granchio sulla spiaggia di Itampolo, che cercava di difendersi dal ragazzino
aguzzino di turno, che lo voleva trafiggere con un bastone.
Il
bambino non si è lamentato quando gli ho sottratto l’oggetto dei suoi sadici
trastulli e nessuno mi ha visto, anche perché il sole stava tramontando e la
luce scemava, mentre depositavo il crostaceo lontano, sulla battigia,
aspettando che le onde lo recuperassero portandolo nelle sicure, per lui,
profondità marine. Anche i due camaleonti che stazionavano ciascuno su un
differente albero nel giardino del Sud Sud non ho fatto molta fatica a
incontrarli, perché praticamente sono venuti loro a cercare me. Per la verità,
a scovarli fra le fronde è stata Tina, con il suo occhio clinico e addestrato,
e se non fosse stato per lei io non li avrei notati. Ecco che si evidenzia una
dote in più, in Tina, che la renderebbe una guida turistica, nonché
naturalistica, perfetta, se solo non fosse così spaventata
dai malaso e non si lasciasse andare un po’ troppo, dal mio punto di
vista di occidentale, alla diffusa e naturale pigrizia dei malgasci, che con il
lavoro e la fatica hanno un pessimo rapporto. Come tutti gli esseri umani del
resto.
Quando
abitavo ad Ankilibe andavo tutte le mattine in cerca di fossili e altri
fenomeni naturali e mi capitava di trovare anche isangorita, i camaleonti. E
così anche nella foresta spinosa di Mangily. E così a Betioki. E perfino su una
strada di città di Tulear, dove transitavo in bicicletta e c’era una donna che
ne stava scopando fuori dal cortile della sua casa un paio, di discrete
dimensioni, spostandoli in mezzo alla strada e non facendo loro, così, un buon
servizio, dato che le macchine li avrebbero prima o poi schiacciati, sempre che
prima non fossero intervenuti i soliti ragazzini aguzzini a farne scempio.
L’unico posto dove non mi è mai capitato di incontrare camaleonti è la capitale
Tana, che però in questi giorni, a detta del telegiornale, è alle prese con un
fenomeno nuovo, insolito e anche un po’ inquietante: l’invasione delle locuste.
I camaleonti, in questi miei viaggi in Madagascar, posso dire di averli
fotografati in tutte le salse, ma anche di foto di cavallette ne ho una bella
collezione. Camaleonti e cavallette, benché siano piuttosto distanti tra loro
sulla scala evolutiva, hanno una cosa in comune: non amano farsi fotografare.
Quando se ne trova uno su un ramo, si sposta dall’altra parte, si nasconde, e
se per un camaleonte, con i suoi occhietti mobili è comprensibile che ci abbia
messo a fuoco, noi e la nostra macchina fotografica, non si capisce come
le valala possano accorgersi di noi e capire che siamo un pericolo
potenziale, con i loro rudimentali sensi, ovvero con quei loro occhietti
minuscoli. Riuscire quindi ad ottenere una bella foto, con un camaleonte o una
cavalletta in piena evidenza e non celati dietro qualche rametto, è un’impresa
non facile.
Una
cosa che non ho mai capito, delle tante che non capisco del comportamento dei
malgasci, è perché il governo abbia istituito un ente per la diffusione del veleno
anti-valala quando le valala mavo, cioè le cavallette marroni,
costituiscono il cibo per gli abitanti della brousse nei periodi di
carestia. Lo fanno, evidentemente, perché uno sciame che atterri su un campo di
manioca o di mais distrugge il raccolto in pochi minuti, ma se invece di
avvelenarle, con i rischi per l’ambiente e non ultima la salute umana che ciò
comporta, le si catturasse e le si destinasse all’alimentazione, come già si
fa, sarebbe senz’altro più ragionevole. E io, in questo momento, sto ragionando
come un ambientalista e non come un animalista, poiché se dipendesse da me
lascerei che le valala mavo si mangiassero i raccolti e istituirei un
fondo di indennizzi per gli agricoltori colpiti, come si fa in Europa da anni,
e da noi in particolare, con gli indennizzi per i pastori a cui lupi e orsi
mangino qualche pecora. Il fondo per indennizzare i contadini malgasci sarebbe
facilmente trovato impiegando i soldi con cui vengono comprati lussuosi
fuoristrada, usati da funzionari nullafacenti e vanagloriosi, ma chiedere uno
scatto di lucidità e di intelligenza, ai funzionari preposti a prendere questo
genere di decisioni, è pura utopia.
E’
meglio puntare sulla diffusione di insetticidi, che magari nel mondo
occidentale sono proibiti da anni, come il famigerato DDT. E’ meglio lasciare
che l’ambiente, terrestre o marino, sia devastato dalle mire speculative di
privati piccoli e grandi, di funzionari malgasci e di multinazionali estere. Di
sicuro le industrie chimiche che producono gli insetticidi sono contente. E’
meglio lasciare che i cinesi, nuovi arrivati, dettino legge in fatto di
sfruttamento dell’ambiente e che si portino via tutte le oloturie, le pinne di
squalo, dopo che si è dato il permesso a commercianti europei e americani di
raccogliere conchiglie per i collezionisti e pesci tropicali per gli amanti di
acquariologia. Per non parlare di giapponesi e coreani che scorrazzano in lungo
e in largo nel Canale di Mozambico, spazzolando via tutto ciò che trovano e
mettendo in crisi la pesca malgascia di piccolo cabotaggio. Se io fossi un
pescatore Sakalava andrei a bruciare l’ufficio governativo del ministero della
pesca, oppure non voterei più alle elezioni presidenziali, per farmi prendere
in giro regolarmente dal politico di turno. Un anno fa i malaso, per fare
un dispetto allo Stato, hanno bruciato la foresta del parco nazionale di
Ranomafana. E dunque, i criminali dilettanti distruggono, mentre i criminali
professionisti si fanno eleggere al parlamento e distruggono ancora di più.
Le
cavallette che in questi giorni, prima volta nella sua storia, hanno invaso
Antananarivo, si sono permesse di entrare anche nell’ufficio presidenziale,
dopo che pochi giorni fa un corto circuito vi aveva provocato un principio
d’incendio (sette funzionari dell’azienda idroelettrica furono interrogati
dalla polizia, per questo). Questi eventi fortuiti hanno indotto qualcuno a
pensare in senso magico che qualche rivale politico di Monsieur Hery si sia
rivolto ad un ombiasy cattivo, affinché facesse gri gri al
presidente in carica. Ma qualcuno ancora più superstizioso è arrivato a pensare
che, prima il cortocircuito, e poi anche le bibliche cavallette, siano un segno
di Zanahary, per nulla contento dell’operato del nuovo presidente. Costoro
pensano che Hery non sia l’uomo giusto e che le elezioni di dicembre che lo
hanno eletto siano state truccate.
Io,
da razionalista occidentale, so che le elezioni, truccate o meno che siano,
sono immancabilmente una presa in giro per gli elettori, a cui viene fatto
credere di contare qualcosa, mentre in realtà non contano una beata oloturia.
So che le invasioni di cavallette si verificavano fin dai tempi dei dinosauri e
non hanno portato al pericolo di far scomparire la vita sulla Terra. So che il
Madagascar, come altre parti dell’Africa, è da sempre soggetto a questi
fenomeni periodici, anche se è strano che si siano spinte fino ai 1700 metri di
altitudine media di Antananarivo.
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