venerdì 30 novembre 2012

Proviamo a farci in casa chinotto o Coca-Cola naturista


Ieri al supermercato sono stato colpito dalla quantità di bottigliette di chinotto esposte sugli scaffali. E dire che la ritenevo una bibita sparita. L’ultima volta che l’ho bevuto, avrò avuto otto anni. Il frutto del chinotto (Citrusaurantium, var. myrtifolia) è un piccolo e raro agrume simile a un mandarino (ma con scorza spessa, molto odorosa, e polpa poco succosa e amara) importato come curiosità botanica dalla “China”, come dice il nome, secoli fa, forse  nel Rinascimento. Oggi è coltivato solo in Liguria, soprattutto nel Savonese, ma è ormai in via di estinzione. I suoi frutti, immangiabili al naturale, sono stati utilizzati soprattutto per produrre canditi, liquori, marmellate e mostarde. La prima bottega di canditura fu aperta nel 1877 a Savona, dove alla fine del secolo fu fondata la Società Cooperativa dei Chinotti. Oggi, solo la pasticceria savonese Besio candisce ancora le scorze dei chinotti. Squisite anche le marmellate che hanno il seducente gusto dolce-amarognolo delle marmellate di arancia amara, ma con un aroma in più.
Da questo già si capisce che la parte utile del frutto del chinotto, la “droga” direbbero gli erboristi, è la scorza. Buono a sapersi per coloro che vogliono cimentarsi avventurosamente a farsi la bibita di chinotto in casa. Questa bibita deve essere nata, sull’esempio di tante bibite analoghe, più o meno curative e dolci-amare prodotte dai farmacisti (una sola, però, avrebbe avuto grande successo: la pozione “per tutti i mali”, con estratti di noce di cola e foglie di coca, prodotta dal farmacista John Pemberton ad Atlanta, Usa, già nell’Ottocento), agli inizi del Novecento. Quello era il periodo in cui i severi “amari” medicinali dell’Ottocento spartano si addolcivano e diventavano bevande blande e zuccherine. Fatto sta che la bibita di chinotto divenne negli anni Cinquanta una tipica bevanda da “caffé” (così si chiamavano i futuri bar) da conservare in pesanti ghiacciaie di legno zincato dove il freddo veniva dato da grossi pezzi di ghiaccio. Famoso il marchio Chinotto Neri, con fabbrica a Capranica (Viterbo). Poi, dopo gli anni 60, col “miracolo economico e l’entrata nel consumismo in stile americano, allora considerato sinonimo di progresso, già ci fu la prima sconfitta d’un prodotto italiano per la globalizzazione: cominciò a diffondersi la Coca Cola, che ormai priva di coca era di fatto un dolcissimo chinotto con un po’ di caffeina in più. Dopo decenni di oblio in cui a chiedere un chinotto al bar erano solo pochi provinciali, dagli anni 90 si assiste ad una curiosa “riscoperta”, sull'onda d'una, come dire, reazione "nazional-popolare" alla Coca Cola, tanto che si sono formati addirittura dei club di fans, e i supermercati più popolari oggi lo mettono in evidenza.
Ma che alternativa è? Sempre d'una bevanda artificiale e industriale si tratta. Coca-Cola e chinotto pari sono. Ed entrambe si sono molto degradate nei decenni. Coca Cola e Chinotto hanno ormai solo gli aromi, seppure, dei frutti esotici da cui prendono nome. Infatti alcuni marchi di “chinotto”, fateci caso leggendo l’etichetta, non hanno l’estratto di chinotto tra i componenti. Va bene che, in fondo, visto che si tratta solo di scorze, una scorza di agrume vale l’altra (anche come contenuti di oli essenziali), e vista la penuria di chinotti è più che legittimo usare gli aromi delle scorze di arancia siciliana, come oggi accade in molti casi. Inoltre, il colore della bevanda è assurdo, e già da solo dovrebbe sconsigliarne l’acquisto: il pochissimo succo della scorza dovrebbe essere giallastro-verdognolo e la molta acqua di diluizione trasparente. Lo stesso per la Coca Cola. Comunque, vogliamo proprio imitare la Coca Cola? Ecco il massiccio ricorso al colorante artificiale "caramello", molto più economico del caramello vero (zucchero cotto). 
Fatto sta che oggi le due bevande si assomigliano troppo: sono solo acqua, zucchero, conservanti, coloranti e aromi. Così tutti sono buoni a fare una bevanda. Anche noi. Anzi, noi la faremo sicuramente meglio dal punto di vista salutistico. E non ci vuole molto.
Poiché a noi appassionati di alimentazione piace "pasticciare" in cucina sperimentando le cose più strane, visto che Coca-Cola e chinotto sono del tutto innaturali, ma hanno formule elementari, perché non proviamo a prepararli in casa con ingredienti sani e naturali?
Per stare al gioco e stupire gli amici dobbiamo imitare soprattutto due cose: gusto, aroma, colore (anche se è sbagliato, imposto dalla psicologia del marketing: nessuno acquisterebbe una bevanda alla cola o al chinotto davvero sincere, cioè “color sciacquatura di piatti”…
Per il gusto serve qualcosa di amaro forte (decotto di luppolo, suggerisce un amico birraio, io aggiungo anche caffè, così battiamo anche la Coca Cola), o amarognolo-dolce (melassa, che è anche un buon colorante) e di dolce (zucchero integrale scuro Muscovado o Panela). Altro colorante il caffè d’orzo o una delle miscele di surrogati di caffè. Per il gusto è fondamentale qualcosa di acidulo che ricordi l’arancia. La formula che propongo è una mia scelta personale, e comprende acqua minerale molto frizzante, zucchero nero Moscovado o Panela, melassa di canna, succo di limone o di arancia, scorza di arancia e di limone in quantità (i famosi aromi)non trattata, caffè. E’ tutto. Mescolando questi componenti nelle giuste proporzioni otterrete una "Coca-Cola naturista" o un Chinotto più sano. Le proporzioni? Le ho trovate – perfette – per un bicchiere da bibita, ma in Italia i bicchieri da bibita non sono standardizzati e hanno le capienze più diverse. Perciò non so dirvi le proporzioni per litro. Sperimentiamo, proviamo. Se sbagliate proporzioni potete avere una vera schifezza, se le indovinate farete restare a bocca aperta gli amici.
Sulle modalità di lavorazione suggerisco per praticità di lavorare tutto a freddo, non a caldo come fa l’industria. Con buon senso, direi di non superare le tue tazzine di caffè per litro. La melassa è un buon colorante e insaporente naturale, ma si scioglie con lentezza nell’acqua fredda: diluitela nel caffè in tazzine prima che diventi freddo. Per cominciare, provate sciogliendo bene vari cucchiai di melassa in 2 tazzine colme di caffè bollente, insieme con alcuni cucchiai colmi di zucchero nero. Lasciar freddare. Aggiungere almeno il succo filtrato di 1-2 arance. Infine, come facevamo da bambini a tavola, spruzzare l’essenza aromatica della buccia di 1 arancia e di 1 limone direttamente nel liquido (per una preparazione artigianale più seria, ovviamente non è questo il metodo…). Versare questa mistura in una bottiglia semi-piena di acqua minerale fredda molto gassata, contenente solo mezzo litro di acqua. E cominciare a provare il gusto. Se troppo leggero o troppo forte, regolare l’acqua minerale o raddoppiare i componenti di base.
Insomma, sperimentiamo. Ricordatevi che il sapore dolce si attenua molto col freddo. Ma impariamo anche a non dolcificare troppo le bibite: la bevanda dovrebbe risultare amarognola (il che non è facile, lo ammetto, senza ricorrere anche al luppolo; altrimenti dovrebbe bastare la triade caffè-melassa-orzo o cicoria, tanto più che lo zucchero nero è meno dolce). A me una bottiglietta di mezzo litro è venuta benissimo: molto più gustosa e sana di Coca-Cola e chinotti vari. Aveva, però, un colore bruno medio. Buon esperimento (e fate sapere le vostre proporzioni esatte finali per un litro).
Fonte Nico Valerio http://alimentazione-naturale.blogspot.it

Pirelli lancia la nuova gomma “intelligente”


In casa Pirelli si sono messi in testa di portare il mondo digitale anche dentro quel vecchio pezzo di gomma nera che chiamiamo pneumatico. Ecco come 3 cm 3 di tecnologia cambieranno per sempre il nostro modo di guidare
"La potenza è nulla senza controllo". 
Mentre si entra nel centro ricerca della Pirelli, alla periferia di Milano, è impossibile non pensare a quella pubblicità degli anni ’90 un po’ kitsch con il supercampione della velocità Carl Lewis in tacchi a spillo rossi. Il claim però è ancora perfetto per riassumere ciò che sta succedendo qui. Nei laboratori accanto alla palazzina che nel 1872 ospitava il quartier generale del fondatore Giovanni Battista Pirelli, è in corso una rivoluzione, tanto silenziosa quanto dirompente, per il settore dell’auto. 
Lo pneumatico, fino a un decennio fa terreno di gioco esclusivo di chimici e specialisti di mescole e polimeri, sta rapidamente diventando 
un oggetto cibernetico, 
destinato a cambiare radicalmente non solo come utilizziamo auto, moto e camion, ma perfino la loro progettazione e i processi industriali alla base della loro produzione. Il nome del progetto, Cyber Tyre, trasmette solo una piccola parte di quello che vedremo in strada tra quattro o cinque anni. L’idea è trasformare il pneumatico, che anche nelle auto più intelligenti (come quelle che abbiamo raccontato nel numero dello scorso aprile) è rimasto l’ultimo baluardo privo di elettronica, in una delle terminazioni nervose più cruciali e sofisticate del veicolo. Perché, proprio come le piante dei piedi di un centometrista, quei pochi centimetri di battistrada sono il punto da cui si scarica a terra tutta la potenza. In questi laboratori, dove in pochi mesi sono nati i pneumatici da Formula Uno che la casa milanese è tornata a produrre dopo 20 anni, il dilemma controllo-potenza è ben conosciuto. 

"Oggi la misurazione delle forze che agiscono sulle gomme è completamente indiretta", spiega
Maurizio Boiocchi, Chief Technical Officer di Pirelli (è tra i padri dei pneumatici della linea PZero). "I sistemi Abs, per esempio, sprecano la prima parte della frenata bloccando le ruote finché non slittano per poche frazioni di secondo. È inefficiente, ma è l’unico modo per capire la forza che posso applicare alla frenata". Il Cyber Tyre, invece, permetterà di conoscere in tempo reale le forze effettivamente in gioco nei punti di contatto tra il battistrada e l’asfalto. Per chi sta al volante sarà una rivoluzione: potrà adattare il suo stile di guida alle condizioni del fondo stradale oppure l’auto stessa potrà intervenire, per esempio evitando le accelerazioni o le frenate più brusche se il fondo stradale è bagnato e scivoloso, oppure lasciare che i sistemi di guida intelligente modulino per lui i comandi.
Per un produttore di gomme, la scelta di evolversi è un obbligo, ma anche un’opportunità: "I veicoli sono sempre più sofisticati: le sospensioni sono diventate intelligenti e i motori sempre più potenti", osserva Boiocchi. "La Lamborghini Aventador, per esempio, arriva a 700 cavalli… Ma la superficie di appoggio a terra dei suoi pneumatici è praticamente la stessa delle auto con la metà della potenza. È per questo che le gomme devono fare un balzo in avanti. E visto che non possiamo aumentare la superficie di contatto a terra, dobbiamo capire come sfruttare al meglio quella che abbiamo a disposizione".Boiocchi, vero veterano di casa Pirelli, entrato in azienda nel 1971, quando si disegnava tutto a mano e le gomme venivano scolpite applicandovi una sorta di trasferello, è uno che sa vedere lontano: fin dal 2002 intuì l’importanza di investire in ricerche che intersecano quelle sulle reti neurali e l’intelligenza artificiale. 

Il Cyber Tyre arriverà per primo sulle automobili di alta gamma, ma è destinato a diffondersi a tutti i livelli, soprattutto con l’ampliamento del parco di veicoli ibridi o elettrici. Per le auto convenzionali alimentate da carburanti fossili, 
promette un abbattimento dei consumi. Su quelle dotate di un motore elettrico permetterà di spingere le gomme al limite dell’aderenza senza mai arrivare allo slittamento, riuscendo così a sfruttare al meglio l’altissima coppia ai bassi regimi e la frenata per ricaricare le batterie. 

Il cuore del Cyber Tyre è un sensore del diametro di poco inferiore a quello di un tappo di bottiglia e alto meno di due centimetri. 
"Il suo costo? Al momento è ancora alto, ma una volta industrializzato sarà meno del 10 per cento del costo del pneumatico. Così basso che la maggiorazione di prezzo sarà più che ripagata dalle nuove funzioni avanzate di sicurezza preventiva e di controllo del veicolo", dice Marco Sabatini, 45 anni, direttore del programma Cyber Tyre.Sabatini è un ex-cervelli in fuga che, prima di approdare in Pirelli, ha vissuto quasi dieci anni in Silicon Valley, specializzandosi all’Università di Berkeley, in California, lavorando in start up nel campo dei sensori e in STMicroelectronics dove ha contribuito a sviluppare i primi sensori Cmos che oggi troviamo in tutte le telecamere ad alta definizione. 

Il Cyber Tyre è l’evoluzione degli attuali sistemi conosciuti come Tms,  tyre monitoring system. I Tms oggi in commercio sono in grado di 
controllare temperatura e pressione delle gomme. Si tratta di un filone di ricerca battuto da un po’ tutti i grandi produttori, come Continental e Bridgestone. Pirelli, però, sembra vantare i risultati più avanzati, grazie a sostanziosi investimenti in ricerca, che nell’ultimo anno si attestano intorno ai 170 milioni di euro (il 7 per cento dei ricavi del settore Premium, che vale più di un miliardo di euro l’anno). Rispetto ai sistemi Tms attuali, il Cyber Tyre è l’unico già in grado di raccogliere una valanga di dati sulle forze che si scaricano a livello del battistrada, permettendo all’elettronica della macchina di capire quanta potenza è possibile scaricare sulle gomme, mantenendo sempre la massima sicurezza. "È un cambio di paradigma reso possibile dalla diffusione dell’elettronica sulle auto. Non sarebbe servito a nulla avere dati dai pneumatici, senza la capacità di elaborarli", continua con la sua spiegazione Boiocchi. 

Prima ancora di arrivare al prototipo di sensore che ora è sul suo tavolo, l’innovazione più importante di Sabatini è stata la messa a punto di un modello di gestione dei progetti che integra molto della teoria del caos e che gli ha permesso di coordinare una rete impressionante di centri di ricerca, dai Politecnici di Milano e Torino all’Università di Berkeley, ai laboratori industriali sparsi un po’ in tutto il mondo, dall’Asia all’Europa, come se fosse una piccola start-up. La scommessa ha funzionato: questo team globale ha bruciato le tappe di uno sviluppo che oggi Sabatini stima di almeno 
due anni in anticipo rispetto ai concorrenti. "Cyber Tyre è molto più di un sensore", spiega nel suo ufficio. "È un sistema complesso, fatto di almeno tre tecnologie differenti, che devono raggiungere tutte livelli di affidabilità aeronautica, perché da esse dipenderà la sicurezza del veicolo".

La prima è il sensore posizionato all’interno della gomma nel quale sono combinati, in meno di tre centimetri cubi, un accelerometro, una batteria e un sistema di trasmissione dati. L’accelerometro miniaturizzato in grado di rilevare forze fino a 3mila volte l’accelerazione di gravità. Il dispositivo, più piccolo di una moneta da un centesimo è stato ridisegnato di sana pianta sulle specifiche di Sabatini perché l’unica cosa disponibile sul mercato era un sistema per applicazioni militari non sufficentemente sensibile e con 
un costo di 2500 dollari a pezzo. Il sistema di trasmissione è un’antenna a banda ultra larga – anche questo uno standard militare – che, prima che il team di Sabatini lo concepisse, non esisteva con queste caratteristiche di bassissimo consumo richieste dall'applicazione. Infine c’è la batteria che alimenta sia l’accelerometro sia l’antenna e che si è rivelata la sfida più difficile. "Oggi ci approssimiamo alla durata del pneumatico, ma stiamo sviluppando anche sistemi in grado di trasformare in energia le vibrazioni trasmesse dai pneumatici, garantendo un’alimentazione praticamente illimitata ai sensori", spiega Sabatini. 

Il secondo pilastro del Cyber Tyre è l’elaborazione dei dati che arrivano dal battistrada per dargli senso e ricavarne informazioni. Il terzo, infine, è tutto l’insieme di software e interfacce che permettono di integrare queste informazioni nella guida, trasmettendole al conducente o all’elettronica dell’auto. Ciò significa sviluppo di software, ma anche design di nuove applicazioni legate alla performance di guida, al risparmio energetico e, soprattutto, alla sicurezza, destinata a diventare – finalmente – davvero preventiva. "Questo è un aspetto sul quale stiamo già lavorando con una grande casa di auto d’alta gamma nordeuropea", dice Boiocchi. "Ma sono convinto che tutti i costruttori vorranno integrare la gestione di questo tipo di dati nella loro prossima generazione di automobili, quelle che vedremo 
nei concessionari nel 2016-2017".

Forse è proprio qui la ricaduta più radicale del lavoro di Boiocchi e Sabatini. Il Cyber Tyre promette di trasformare le aziende di pneumatici da fornitori di scarpe (per quanto tecnologiche e avanzatissime), a co-progettisti e sviuppatori delle case automobilistiche. Non solo, la gestione della sensoristica e l’interpretazione dei dati apre nuovi business. Un esempio è la sperimentazione attualmente in corso su una flotta di camion commerciali in Brasile dove Cyber Fleet, una versione semplificata del Cyber Tyre che arriverà sul mercato entro la fine dell’anno, permette di monitorare in tempo reale e direttamente da Milano la pressione, il funzionamento e l’usura di centinaia di gomme che rotolano nell’altro emisfero e dare indicazioni su dove intervenire. 
"Il monitoraggio remoto delle gomme di una flotta di veicoli pesanti è un servizio molto interessante per una grande azienda di trasporti, ma anche per realtà più piccole, visto che un singolo pneumatico da camion costa almeno 1500 euro e migliorarne l’efficienza abbatte i consumi", osserva Boiocchi. 

Complessivamente, il programma Cyber Tyre ha già prodotto decine di brevetti che pongono Pirelli anni avanti ai concorrenti e promettono ricadute in moltissimi altri settori, dai videogame all’elettronica di consumo, ma a chi gli chiede se queste innovazioni faranno dell’azienda milanese un dominatore del mercato nei prossimi anni, Boiocchi risponde con molta calma: "Sì, ci danno un vantaggio e una visibilità enorme, ma a termine dovremo s
tabilire degli standard e andare incontro alle grandi case automobilistiche nella loro necessità di avere più di un fornitore per garantirsi l’approvvigionamento". In questa serratissima corsa verso la prossima generazione di gomme intelligenti però non si vince solo per tecnologia. Le gomme sono davvero come le scarpe ,anche in senso estetico. È per questo che quando, dopo 15 anni di ricerche, i pneumatici Cyber Tyre arriveranno sui cataloghi dei gommisti, non avranno superato solo i severissimi test nelle sale delle torture dei laboratori Pirelli e le prove su strada con condizioni e temperature diversissime. L’ultimo giudizio, insindacabile, sarà quello del presidente Marco Tronchetti Provera, che ha sempre l’ultima parola sul design del battistrada. Perché la potenza è nulla senza controllo, è vero, ma anche l’occhio vuole la sua parte.
Fonte:http://gadget.wired.it/

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Veronesi: 30 per cento dei tumori e 60 milioni di affamati in meno


Alcuni lettori hanno chiesto di leggere gli articoli sul vegetarismo pubblicati negli ultimi tempi da Veronesi e da altri, perché ormai “introvabili”. Li accontentiamo, a scopo di documentazione, cominciando da quest’articolo in cui il celebre chirurgo oncologico fautore del lacto-ovo-vegetarismo, commenta sull’Espresso la campagna annuale dell’Associazione per la ricerca contro il cancro, illustrando opportunità e vantaggi generali sulla salute e l’economia mondiale di una dieta lacto-ovo-vegetariana, vista però come dieta sana e preventiva, capace insieme ad un mutato stile di vita (più esercizio fisico, meno sedentarismo, niente alcol né fumo ecc) di ridurre i gravi rischi per la salute dell’attuale civiltà. 
“Qualche secolo fa, anche le nazioni che adesso chiamiamo i paesi del benessere, facevano la fame. C'erano gli happy few, i pochi felici che mangiavano sontuosamente, e c'era la quasi totalità della popolazione che stringeva la cinghia. Oggi c'è ancora metà del pianeta in quelle condizioni, ma ci si comincia a chiedere se la povertà e la fame dei Paesi sottosviluppati non sia in relazione diretta con il consumismo delle nazioni industrializzate, lo stesso consumismo alimentare, spesso guidato da scelte alimentare sbagliate, che causa i big killer del nostro mondo.
Secondo Jean Mayer, nutrizionista dell'università di Harvard, riducendo del solo 10 per cento l'allevamento del bestiame destinato alle bistecche si potrebbero nutrire con grano e legumi 60 milioni di persone nel mondo. E penso, come molti economisti, che il vegetarianesimo potrebbe essere una delle possibili soluzioni per combattere la fame nel mondo. Intanto, come per una specie di legge del taglione, sono proprio le popolazioni dei paesi ricchi ad ammalarsi per gli stili di vita scorretti (poco movimento, alcol, fumo) e per le cattive abitudini alimentari, le quali sono responsabili addirittura del 30 per cento dei tumori, senza parlare di patologie cardiovascolari come infarto ed ictus. Credo che sia giusto inquadrare in questo contesto iniziative come quella che l'Airc, l'Associazione per la ricerca contro il cancro, riproporrà anche quest'anno con le Arance della Salute, distribuite il 30 gennaio nelle piazze italiane per finanziare i progetti di ricerca, circa 140, e per richiamare tutti al progetto di una vita più sana, in cui l'alimentazione divenga la base della prevenzione.
La relazione tra alimentazione e stato di salute è riconosciuta fin dalla preistoria dall'uomo, che aveva imparato a comprendere l'effetto dei diversi alimenti sull'organismo, evitando l'assunzione di cibi nocivi o tossici, perché l'alimentazione è atto cosciente di assunzione selettiva di alimenti. Bisogna tornare a questa funzione di salvaguardia fornita dall'esperienza e dalla ragione, perché purtroppo negli ultimi decenni è successo proprio il contrario, e il modo di vivere delle società sviluppate minaccia di mandare a male i principi di un'alimentazione sana.
Tra le abitudini nefaste per la salute, c'è la consumazione di bevande gasate, creme ghiacciate, eccesso di dolci, e c'è - soprattutto tra i più giovani - il continuo sgranocchiare di alimenti grassi, che tolgono l'appetito per gli alimenti utili. Intanto si va perdendo l'abitudine ai cibi freschi che forniscono vitamine, come la frutta e la verdura. Le Arance della Salute, arance rosse di Sicilia, servono anche a ricordarci che per stare in salute, secondo le linee-guida dell'Organizzazione mondiale della sanità, è importante mangiare ogni giorno cinque porzioni di frutta e verdura.
Purtroppo possiamo constatare che soprattutto i più giovani non mangiano quasi mai la frutta, ma non è troppo tardi per rilanciare la cultura dei prodotti freschi della terra, dell'olio di oliva al posto dei grassi, e in genere di tutti quei cibi della 'dieta mediterranea' con cui l'Italia ha fatto scuola nel mondo. La nuova sensibilità ecologica può essere volta a una riflessione collettiva sul nostro benessere, perché è un progetto che si pone all'interno di un sistema complesso: riguarda l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo, il suolo su cui viviamo, e il cibo che introduciamo nel nostro organismo. Dobbiamo essere consapevoli non solo che ci sono stili di vita dannosi per la salute, ma che i troppi consumi impoveriscono il resto del mondo. Non si tratta di acconsentire a una banale colpevolizzazione, ma di acquisire una mentalità aperta e onnicomprensiva, che ci faccia vedere la vita sul pianeta come una rete di interrelazioni, spronandoci a fare la nostra parte.
E' questo il senso degli allarmati rapporti delle Nazioni Unite sulla fame nel mondo. Sono rimasto pensieroso e ammirato, nel maggio del 2009, quando mi è arrivata la notizia che la città belga di Gand per prima al mondo aveva deciso di essere vegetariana almeno una volta alla settimana, come riconoscimento dei problemi affrontati da un rapporto dell'Onu. Nelle strade sono comparsi manifesti che invitavano la popolazione a questo appuntamento almeno settimanale, e nelle mense scolastiche c'è da settembre la giornata del pasto vegetariano.
Scettici per storia e per cultura come siamo noi italiani, possiamo, beninteso, svalutare l'iniziativa con un'alzata di spalle e con un sorriso ironico, ma io desidererei tanto che non lo facessimo: la storia ha dimostrato molte volte che le 'nuove idee' possiedono spesso una forza inaspettata, e che tante iniziative isolate possono alla fine confluire in un cambio di cultura e di mentalità, che apre la strada ai grandi cambiamenti. Cambiamenti di cui davvero c'è bisogno, e che per ora fermentano nell'inquieto mondo dei giovani, ancora non riconosciuti. Come ho avuto modo di dire recentemente al primo Forum Internazionale del Barilla Center for Food and Nutrition, tra i giovani si sta diffondendo un maggiore sentimento di solidarietà verso l'ambiente e un atteggiamento più maturo verso la natura.
Come sarà il mondo che verrà noi non possiamo saperlo, perché i nostri figli, come dice il poeta Kahlil Gibran: "Abitano nella casa del futuro, dove voi non potete entrare, neppure in sogno". Lo so bene, ma ciò non m'impedisce di sperare che questo mondo che noi non vedremo possa essere una casa accogliente per tutti. In armonia e in pace, con l'aiuto della scienza e della ragione”. 
UMBERTO VERONESI
Fonte Nico Valerio http://alimentazione-naturale.blogspot.it

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PIRAMIDE, ma non Torre di Babele. Ecco quella dell'Alimentazione Naturale


E' solo un grafico indicativo, una "Piramide alimentare". In fondo è solo un quadro sinottico elementare, un sintetico manifesto di educazione didattica popolare, un modo visivo semplice e approssimativo che serve a dare solo un'idea, un colpo d'occhio - facile da capire e memorizzare per i non esperti, ma utile anche agli esperti - della gerarchia degli alimenti quotidiani più importanti, e anche, più o meno, di quante porzioni di ogni gruppo alimentare, nel suo complesso, un adulto tipo deve consumare ogni giorno.
In media approssimata, ovviamente (a seconda del sesso, delle età, del peso ecc), e sempre usando il buonsenso. Per esempio, 1-2 pz di legumi, pesce e uova significa che consumeremo ogni giorno 1 pz di legumi (meglio a pranzo) più eventualmente 1 di uova (cena o colazione), oppure 1 pz di legumi e 1 pz di pesce. E così via. Come si vede più avanti ("Che cosa s'intende per porzione"), il pane di contorno vale 1 pz, ma è molto meno di 1 pz di cereali da primo piatto. Ecco come si arriva alle 4-5 porzioni.
Si noterà che il numero delle porzioni, e perciò l’importanza degli alimenti, cresce a mano a mano che dal vertice si scende alla basedella piramide, e infatti le aree raffigurate sono sempre più grandi. Gli alimenti al vertice, che coprono un'area minima, perciò è bene consumarli raramente. Ma se ne potrebbe anche fare a meno.
Il posto principale spetta alle verdure e alla frutta (7 porzioni consigliate, di cui 4 di prtaggi e verdure, e 3 di frutta), che infatti coprono l'area più grande. Come mai? Perché sia in peso a crudo, sia in numero di porzioni giornaliere, sia soprattutto per evidenzadegli studi sull'efficacia preventiva e terapeutica, questi due gruppi di alimenti battono tutti gli altri.
Di piramidi ce ne sono molte, in vari aggiornamenti periodici, divise per nazioni, aree geografiche o continenti, da quella famosa del Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti a quelle più scientifiche create da istituti d’Università o gruppi di studiosi indipendenti, a quelle pensate per categorie particolari. Insomma, il rischio delle troppe piramidi alimentari è la confusione, una torre di Babele. Oggi un divulgatore che in una conferenza volesse mostrare l’abc, cioè le porzioni degli alimenti da consumare ogni giorno non saprebbe a quale grafico semplice ricorrere: tutti sono pieni di errori, imprecisioni, vecchie idee smentite dalla scienza e dal buonsenso.
Eppure non ho trovato una sola piramide che simboleggi in modo semplice e graficamente efficace, e senza errori gravi (questi "errori", chiamiamoli così, sono in realtà concessioni alla propriaideologia, agli interessi di qualche industria, o alla politica agricola di un Governo), la graduatoria dei gruppi di alimenti per un vero naturista salutista, che segua cioè una vera alimentazione naturalemettendo d’accordo la Tradizione con la Scienza sperimentale moderna. Perciò sono stato costretto a crearla appositamente (v. illustrazione).
E’ una prima bozza di Piramide Giornaliera dell'Alimentazione Naturale e sana che tiene conto finalmente delle acquisizioniscientifiche e potrà avere successivi miglioramenti, ma che fin d’ora può costituire una base comune per i naturisti (e, scegliendo all’interno di ogni gruppo di alimenti, anche per i naturisti vegetariani e vegan), che cercano le conferme della tradizione scientifica del Naturismo ippocratico nelle ultime acquisizioni della ricerca (Health Food, Natural Food, nei Paesi anglosassoni), per i salutisti in genere che vogliono l’aggiornamento alle direttive nutrizionali. Così, i vegetariani e i vegan si limiteranno ad eliminare l’alimento che non li interessa: i vegetariani elimineranno il pesce, oltre alla carne; i vegan toglieranno anche uova e latticini.
Si noterà la mancanza della carne, che non è del tutto vietata in teoria nell’Alimentazione Naturale, ma è considerata rara ed eventuale (come dimostra la Tradizione storica popolare). Anche perché non cura né previene alcunché, ma anzi è ad alto rischio. L'avrei dovuta mettere all'apice, tra i cibi che si devono consumare "il meno possibile": tanto valeva toglierla. E poiché questo sfavore è confermato dalla Scienza recente, che dopo aver fatto l’improbabile distinzione tra "carni bianche" e "carni rosse", poi alle "carni di terra" preferisce le "carni di mare", cioè il pesce, come protettivo per i suoi speciali acidi grassi, ho creduto opportuno indicare solo questo, ovviamente per i naturisti non vegetariani.
I cereali sono soltanto integrali. Lo pretendono tutti gli studi scientifici, in questo d’accordo con la Tradizione. Eppure i nutrizionisti italiani (e per la verità anche stranieri) fanno orecchie da mercante. Perché? Guai a scombussolare i piani di produzione agricola e di trasformazione, e il mercato dei cereali. Le grandi industrie multinazionali temono un calo degli acquisti.
D’altra parte, i cereali raffinati (pane, pasta, riso, polenta, biscotti, crackers, croissant, tramezzini, grissini ecc., consumati in Italia e in tutto il mondo) sono previsti come cibo eventuale o raro nelle altre Piramidi "della salute", come quella di Willett.
Non potevo, perciò, essere più accomodante, visto che l’antica e fondamentale norma naturista dei cereali completi è oggi approvata e fatta propria dalla ricerca sperimentale, e come tendenza è accettata a denti stretti anche dai nutrizionisti. Tutte le piramidi – ma ipocritamente solo nei testi di spiegazioni a margine – ne fanno cenno.
L’unica piramide, però, che fa la scelta decisa e coraggiosa di inserire i cereali integrali nella prima fascia è, appunto, quella di Willett (Università di Harvard), che per coerenza confina i cereali raffinati (pasta bianca, prodotti di farina bianca, pane bianco, riso raffinato: il 99,9% dei cereali consumati dagli Italiani) nell’ultima fascia, cioè tra i cibi da consumare di rado o il meno possibile, come le carni rosse! Peccato che poi la piramide di Willett cada nell’errore di inserire verdure e frutta in seconda posizione, dietro ai cereali, e spinga la rivalutazione degli oli fino all’assurdo di metterli in primo piano, nonostante che si consumino a decine di grammi.
Le squisite ma troppo diffuse patate, le più utili patate dolci o americane e le castagne non hanno trovato posto nella Piramide per motivi di spazio. Ma hanno meno fibre e sono meno protettive degli stessi cereali raffinati. L'amido delle patate ha un indice glicemicomolto alto (anche 110), addirittura più della pasta raffinata o del pane bianco, perché per la forma delle sue particelle ha la proprietà di trasformarsi immediatamente e totalmente in glucosio. Alta risposta insulinica e nessuna protezione epidemiologica da malattie cardio-vascolari e tumori al colon-retto.
Castagne e patate costituiranno una piacevole variazione di tanto in tanto, specialmente se cotte e condite in modo sano. Per esempio, basta con le fritture: proviamo le patate al forno, tagliate a tocchetti grossi, con tutta la buccia (che ha interessanti antiossidanti) e cosparse di rosmarino, sale e olio crudo: deliziose.
I legumi, invece, sono messi in evidenza come uno dei gruppi di alimenti più preventivi e protettivi esistenti, e perciò consigliati anche 1 volta al giorno, al posto o accanto ad altri cibi proteici. Anche dietologicamente sono utili, perché possono sostituire i cereali, troppo abbondanri in Italia, contribuendo a far dimagrire per le note proprietà antinutritive, anti-colesterolo e anti-diabete.
Gli oli vegetali, secondo le attuali tendenze, non devono essere risparmiati a favore dei cereali, ma aumentati perché molto protettivi. Devono essere presenti in ogni pasto per condire verdure, cereali e legumi, sostituiti o affiancati dai semi oleosi (noci, mandorle, nocciole, pinoli, sesamo ecc).
Verdure e frutta sono appena più abbondanti della piramidi non naturiste, secondo gli studi che hanno provato vantaggi maggiori sopra le 6 porzioni. La cosa non è difficile: è chiaro che una insalata mista abbondante (200-250 g) vale per 2 porzioni. E poi c'è l'enorme varietà di minestre, minestroni e zuppe, ma anche sottoforma di torte rustiche ripiene di verdure e come contorni.Insomma, non è impossibile arrivare - senza fare stranezze - alle 10 porzioni al giorno, tra verdure e frutta.
Latte e latticini (latte, yogurt, ricotta, formaggi molli e duri) sono consigliati dalla Piramide Alimentare Italiana (quella ufficiale) in poco più di 2 pz (cioè 2-3). Esattamente 2 pz al giorno tra latte e yogurt, più 4 pz a settimana di formaggi, tra molli e duri. Qui, invece, nella Piramide dell'Alimentazione Naturale ho preferitoridurli un poco (1-2 pz al giorno), perché altrimenti molti - specialmente i nei-vegetariani - si sentirebbero autorizzati a consumare grandi quantità di formaggi, cibo molto ricco di grassi saturi, il cui eccesso sembra collegato statisticamente a malattie cardio-vascolari e tumorali. Si consigliano quindi soprattutto latte e yogurt (1-2 pz al giorno). ma di queste una porzione può essere sostituita da formaggio 3-4 volte la settimana. Chi invece sceglierà di consumare solo 1 pz al giorno di latticini, potrà farlo anche usando sempre formaggi (100g i molli e la ricotta, 50g i duri).
Vino e dolci naturali, per Tradizione cibi complementari ed eccezionali, sono stati giustamente messi tra parentesi perché dotati di antiossidanti ma dannosi in eccesso: volendo se ne può benissimo fare a meno.
Bere molta acqua, infine, a meno che l'intera dieta - come dovrebbe essere - non sia di per sé molto idratata, a base cioè di insalate, verdure, ortaggi, zuppe e frutta fresca, e con i cereali assunti non allo stato secco come biscotti e grissini, ma ben idratati (cereali bolliti, fiocchi ammollati, pastasciutta ecc).
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CHE COSA S'INTENDE PER "PORZIONE". Esistono differenze tra i vari autori, e oggi, vista la riluttanza generale a consumare verdure e frutta, molti nutrizionisti hanno calato le brache. La "scienza" della nutrizione è come la politica: non vuole essere impopolare. Così, ho dovuto leggere, addirittura, sulla grande stampa (Favaro sul Corriere della Sera) che una porzione di insalata cruda sarebbe di soli 50 g. Certo, meglio di niente. Ma con questa logica non si va lontano. Seguiamo, invece, le quantità utili a prevenire, secondo i veri esperti: gli oncologi. In questo senso la lista più accreditata (Sculati e altri nutrizionisti collegati ai progetti di prevenzione oncologica) potrebbe essere la seguente, in grammi o millilitri calcolati prima dell'eventuale cottura:
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Cereali integrali, fiocchi, polente, bulgur, semole, cus-cus, pasta e riso integrali, 80 g, Pane integrale 50 g, Pizza o torta rustica integrale 120-150 g, Patate, patate dolci e castagne (con la precisazione di cui sopra) 200 g, Ortaggi da cuocere 250 g, Insalata cruda 100 g, Frutta fresca 150 g, Legumi secchi 30 g, Legumi freschi 100 g, Uova 1, Pesce 150 g, Latte 125ml, Yogurt 125 ml, Formaggio fresco 100 g, Ricotta 100 g, Formaggio stagionato 50 g, Olio 10 ml, Frutta succosa essiccata 10 g, Noci e semi oleosi 15 g, Miele 10 g, Zucchero scuro 5 g, Vino 100 ml, Birra 330 ml.
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ATTIVITA' FISICA, PRIMO CIBO NATURALE. L'alimentazione, da sola, anche la più naturista possibile, non basta alla buona salute.Serve il movimento. La macchina Uomo è stata selezionata nei milioni di anni per muoversi, camminare, correre, nuotare, spostare rami, sollevare pietre, insomma lavorare. Oggi che il lavoro fisico non fa più parte (quasi) del lavoro professionale, dobbiamo inventarci dei lavori sostitutivi per vivere. Intanto cerchiamo di star seduti solo in casi di assoluta necessità, e mai quando non abbiamo niente da fare o per convenienze sociali. Ma per sedentarismo oggi si intende qualcosa di più: il non far movimento.
Il sedentarismo è una malattia, anche quando non provoca obesità. E tra i suoi mali minori c'è anche quello di falsare la dieta, perché siamo costretti a mangiare pochissimo per non ingrassare, con rischi di squilibri nutritivi e carenze. Perciò, non solo per star bene e abbassare tutti i rischi, ma perfino per poter mangiare di più e meglio dobbiamo ogni giorno fare esercizio fisico o sport. E' dall'Antichità che i Naturisti ne hanno fatto un cardine della vita sana. Solo ora la scienza ci dà ragione. Ma tutti la ignorano, specialmente i pigri Italiani, tanto più nel Centro-sud.
Eliminate le ironie iniziali, i famosi 10 mila passi al giorno (solo all'inizio, per curiosità, contati col contapassi, ma poi le distanze si imparano) servono almeno a passare dal girone infernale dei sedentari al paradiso degli eletti non sedentari. E' incredibile quanti passi e passetti si facciano senza accorgersene quando non si sta seduti e si fa vita attiva: anche 2000 o 3000 al giorno.
Ma sono i restanti 7000-8000 passi che fanno la differenza, e questi devono essere fatti appositamente, applicando la volontà, cambiando abitudini, camminando di buon passo anziché usare l'auto o il bus: basta un'ora al giorno. Così si pratica un'attività fisica vera e propria, molto benefica, che può anche diventare uno sport aerobico leggero o medio. In città, l'ideale è la camminata spedita (parchi, lungomare, lungofiume, strade poco frequentate), ogni giorno da 45 a 60 minuti. Le alternative possono essere la bicicletta o la cyclette (30 minuti o più), il jogging lento o il nuoto. In più, nella natura selvaggia e specialmente tra boschi e montagne o lungo coste marine rocciose, l'ideale è l'escursionismo sportivo (1 giorno a settimana, minimo 3 ore) praticato con la giusta andatura e senza che ne derivi un'eccessiva fatica, produttrice di radicali liberi.
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Nico Valerio http://alimentazione-naturale.blogspot.it

La verità sull’olio di palma




La vera motivazione della campagna anti-palma dovrebbe essere “ecologica”, mentre in realtà è politica. E’ vero che la dissennata deforestazione per impiantare sempre nuove coltivazioni di palma da olio sta distruggendo l’ambiente originario e le foreste dell’Asia, più amate dagli Occidentali che dagli Orientali, tanto che i rari oranghi sono in via di sparizione, ma la colpa non è del “capitalismo”, piuttosto dei Governi corrotti del Sud del Mondo e delle popolazioni locali ottuse che acconsentono in cambio di apparenti vantaggi. Chi protesta non ha studiato la Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione, altrimenti saprebbe che lo stesso è avvenuto con ogni coltura intensiva. In Italia la vite e l’olivo (dal X-VII secolo a.C.), il granoturco (mais), il riso e l’arancio dal 1500 in poi, hanno distrutto il tipico paesaggio della Penisola, descritto dagli Antichi come una immensa e per loro paurosa distesa di foreste, uno dei luoghi più verdi e affascinanti del Mondo, trasformandolo in banali colline, in piatte distese con monotone monoculture senza bio-diversità. Il Chianti, la Sabina, la Puglia, le piane della Sicilia, l’intera val Padana lo dimostrano: tutte deforestate. E se a Sumatra, in Indonesia, gli oranghi sono a rischio per l’estendersi delle coltivazioni e per la caccia, anche in Italia sparirono l’orso e la lince per le medesime ragioni (delittuose). E, anzi, oggi ci siamo talmente abituati a questo paesaggio artificiale da considerarlo “bello”, “tipico”, “tradizionale”. Coerenza vorrebbe, però, che chi si straccia le vesti contro il “capitalismo dell’olio di palma” estendesse la sua critica a tutte le monocolture, anche in casa propria, anche contro i vigneti del Chianti o dell’Astigiano, o degli oliveti dalla Liguria alla Puglia, che a mio parere sono ancora meno belli (e c’entrano ancor meno con l’ambiente) dei palmeti intensivi della Malesia. Ma costa aree sempre più estese di Natura dar da mangiare a tutti a poco prezzo, anche ai Paesi poveri emergenti, che (ben noto “effetto copia”) come noi vogliono il consumismo del cibo industriale, le bevande dolci e il grasso da frittura per tutti. E infatti ora conoscono anche l’obesità, accanto alle altre malattie. Anzi, come accade per l’inquinamento “vecchio stile”  che producono, sarebbe paternalismo ipocrita opporgli che quel modo di consumare e di mangiare opulento che noi abbiamo inventato è superato e fa male, come è vero. Loro vogliono senza saggezza ripercorrere in pochi anni tutta la nostra parabola, imitandoci anche e soprattutto negli errori. Ecco perché non serve alla giusta difesa dell’ambiente “in casa d’altri” (mentre noi occidentali non siamo capaci neanche di realizzarla appieno in casa nostra), dire stupidaggini e falsità nutrizionali perfino sull’olio di palma.
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giovedì 29 novembre 2012

Camaleonti del Madagascar


La scoperta del Camaleonte Tarzan, il nuovo signore della giungla

 In Madagascar può' capitarvi di uscire di casa e trovare un mugolo di bambini che inseguono un inerme camaleonte che gira nei dintorni, oppure di trovare dei piccoli camaleonti appena nati nel vostro prato davanti casa.
Nelle ore calde della giornata queste graziose e simpatiche creature vanno in giro in cerca del cibo con cui nutrirsi e si mimetizzano con la natura circostante con tanta facilità.
Intanto in un angolo della foresta del Madagascar è stata scoperta recentemente una nuova specie chiamata “Calumma Tarzan” che ha preso il nome dalla foresta dove è stato ritrovato.



La "Foresta di Tarzan” è nei pressi di Ambodimeloka, il cui nome originale era Tarzanville. Lungo appena 13 centimetri ha dei colori che cambiano a secondo dell'ambiente che lo circondano.
Come tutti i camaleonti, anche la Calumma Tarzan ha una coda portentosa. Una sorta di arto vero e proprio con il quale riesce ad aggrapparsi ai rami per non cadere. La usa per stare in equilibrio ed è un valido strumento ausiliario per arrampicarsi sugli alberi, proprio come le scimmie!

 Il nome camaleonte viene dal greco e significa "leone di terra".
Il termine "camaleonte" viene comunemente usato come sinonimo di mimetismo. Sappiamo bene che questa fama è ben meritata, la sottofamiglia dei Chamaeleoninae dispone infatti di un complesso sistema di cellule dermiche (della pelle) che permette loro di assumere varie gradazioni e trame di colore (ogni specie tuttavia ha un suo "repertorio" per cui può assumere solo alcuni colori). In pratica esistono cellule che portano pigmenti gialli e/o rossi, altre che portano cristalli di guanina (usati per creare, tramite diffrazione, il blu e quindi il verde) e i melanofori che determinano la colorazione scura. Queste ultime cellule sono molto particolari infatti, mentre le altre cellule pigmentate formano uno strato sottocutaneo uniforme, i melanofori hanno una forma a imbuto/clessidra che li localizza sia sopra che sotto lo strato delle altre cellule pigmentate. I melanofori quindi possono convogliare la melanina che contengono sopra le altre cellule pigmentate conferendo colorazione scura all'animale, ovvero riunirla nello spazio sottostante permettendo ai colori chiari e brillanti di emergere. Sono proprio i melanofori ad essere regolati dal sistema nervoso e quindi risentire più direttamente dell'umore dell'animale: se è una variazione dal verde al marrone potrà essere legata alla colorazione dell'ambiente circostante, una variazione chiaro->scuro o viceversa dipenderà direttamente dalle "emozioni" del camaleonte.
 I camaleonti impiegano varie strategie per regolare con precisione la loro temperatura corporea: al sorgere del sole esibiscono colori scuri per "catturare" tutte le radiazioni possibili, nello stesso tempo appiattiscono il corpo al massimo per esibire, al calore, la massima superficie corporea. Una volta termoregolati "vestono" colori più chiari e cominciano l'attività esplorativa. In caso di calura eccessiva divengono chiarissimi, si nascondono all'ombra ed eventualmente traspirano attraverso la bocca che viene tenuta aperta.
I camaleonti adottano tre diverse modalità riproduttive a seconda della specie. Esistono infatti specie ovipare, ovovivipare e partenogenetiche (più rare).
Le specie ovipare sono le più diffuse, in questo caso la femmina è in grado di trattenere le uova fintanto che non le riesca di trovare un adatto sito di deposizione.
In natura la giornata tipo di un camaleonte si svolge in quest'ordine: sveglia all'alba, bagno di sole per prendere energie, giro del proprio albero/cespuglio/ciuffo d'erba/fazzoletto di foglie secche, con annessa colazione, pennichella durante le ore più calde, nuovo giro di perlustrazione con cena ed infine a nanna nel punto più folto e buio del proprio possedimento, acquattato contro un ramo con occhi chiusi e coda arrotolata. Tutto questo non contempla alcuna attività sociale e guai quando due camaleonti entrano in contatto visivo: allora sono minacce mute, ma coloratissime, vere parolacce con cui si mandano cordialmente a quel paese senza emettere alcun suono.
Gli occhi dei camaleonti rappresentano un caso unico nel mondo animale. Possono ruotare e mettere a fuoco indipendentemente l'uno dall'altro; senza spostarsi, il camaleonte è in grado di osservare l'ambiente circostante a 360°. Quando punta una preda, il camaleonte rivolge verso di essa entrambi gli occhi. Gli occhi sono coperti quasi interamente dalle palpebre. I camaleonti si nutrono generalmente di insetti, soprattutto locuste, mantidi e grilli, ma le specie più grandi arrivano a nutrirsi di piccoli uccelli. Contrariamente a un'opinione diffusa, la maggior parte dei camaleonti non mangia le mosche. Qualche specie, come il C. calyptratus, si ciba occasionalmente di sostanze vegetali.


Attualmente il "paradiso" dei camaleonti è il Madagascar (con 120 specie di Chamaleoninae e 30 di Brookesiinae)
Purtroppo il Camaleonte Tarzan, appena scoperto, cosi’ come le altre specie esistenti in Madagascar, fanno parte della lista rossa cioè di quella specie minacciata di estinzione e sono stati inseriti in blocco nella lista delle specie protette dalla convenzione di Washington (allegato B), e l'Europa ha chiuso i battenti alle importazioni dal Madagascar.
In Madagascar,  il camaleonte viene visto dalla maggior parte della popolazione con timore e una sorta di soggezione. I Sakalava (tribù del Nord) ritengono infatti che i camaleonti portino in sé gli spiriti cattivi dei morti.
Ci auguriamo che la deforestazione in atto non contribuisca a fare sparire un essere tanto importante per la natura e la biodiversità del Madagascar. AS
Camaleonte dell'isola di Sainte Marie


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