sabato 17 gennaio 2015

Messaggi di speranza dalla missione di Marovoay

Dopo i recenti casi di peste (1) ad Antananarivo, aumenta la tensione in Madagascar, già allarmato dal diffondersi dell’ebola nel continente africano. Ma l’isola rossa non è solo miseria per molti e turismo di lusso per ricchi occidentali. La testimonianza di una volontaria presso la Missione Carmelitana di Marovoay punta i riflettori su una realtà in cui religiosi e laici sperimentano ogni giorno la forza del Vangelo.

Alle 4 del mattino il salmodiare del Muezzin sveglia la Città di Marovoay, a nord-ovest dell’Isola Rossa, immersa nel buio assoluto delle notti tropicali. Subito dopo cantano i galli, agili sulle lunghe zampe da corridori, seguiti da oche, anatre e innumerevoli specie di galline. Qui la vita brulica presto. 
Zebù al giogo
Banco con banane fritte e legumi

Un'immagine di Marovoay all'alba (foto di Claudia Tognetti)

Gli uomini mettono il giogo agli zebù – così chiamano i loro bovini, deformi sul dorso rispetto ai nostri e con lunghe corna ricurve – e si avviano coi pesanti carri verso i campi di riso, principale fonte di nutrimento a certe latitudini. 

Le donne li seguono, lavorando nelle risaie con le gambe immerse nell’acqua, in qualunque condizione climatica. Le più anziane e quelle ancora troppo giovani per lavorare restano a casa a preparare il cibo e ad accudire i tanti bambini che Dio manda loro.



Oppure vendono le loro merci nelle strade polverose del centro, perlopiù pesci, frittelle e altri cibi cotti sul momento, ma anche bestiame, attrezzi da lavoro, chincaglierie, vestiti. 
Ma non mancano gli incarichi pubblici a Marovoay, perché – come tutte le città del mondo – anche questo comune di 64.000 anime conta su un’amministrazione locale, un ospedale, una banca, un distretto ministeriale, la posta, il provveditorato agli studi, una biblioteca, il carcere.

CONDIZIONI DI VITA
In Madagascar il 70% della popolazione vive sotto la soglia della povertà e Marovoay, a 100 km da Mahajanga, capoluogo della regione di Boeny, e a un giorno di viaggio dalla capitale Antananarivo, detta Tana, lo testimonia senza falsi pudori. È sufficiente farsi un giro fra le “botteghe” del centro, e tanto più al porto, per vedere stuoli di bimbi bellissimi e cenciosi sulla soglia di capanne di fango e paglia, coi piedi nudi nella polvere delle strade, giocare coi rifiuti, leccati dai tanti cani scheletrici in cerca di cibo. Ma qui parlare di strade ha poco senso, visto che non esiste asfalto.

Un potente locale ha impedito l’asfaltamento dei principali corsi per paura che le migliori condizioni di viabilità minacciassero il successo dei propri commerci nella sua città d’origine. Questo significa letteralmente vivere nella polvere che si solleva, respira e irrita gli occhi a ogni passaggio di uomini, bestie, carri, auto. Per non dire delle condizioni già pessime di queste strade che nella stagione delle piogge (in media da gennaio a marzo) diventano totalmente impraticabili. Così distanze di pochi chilometri si trasformano in sfide al limite dell’incubo, specie se si decide di percorrerle sui locali “taxi-brusse”, miracoli di sopravvivenza contro le più elementari norme di sicurezza. 



“A Marovoay la maggior parte degli abitanti non possiede servizi igienici. L’acqua si raccoglie dai pozzi e non ce n’è a sufficienza per irrigare i campi di riso – spiega Christian Fanomezantsoa Ramahaly, Comandante della Gendarmerie di Marovoay –. Ma durante la stagione delle piogge le strade si allagano pericolosamente, perché non esistono sistemi di canalizzazione. Rifiuti umani ed escrementi animali si mescolano alle acque, provocando la diffusione di epidemie e altri gravi disagi. Lo stato non è in grado di aiutarci e abbiamo bisogno di fondi per dotarci di wc pubblici e provvedere al trasporto e all’incenerimento dei rifiuti”. Ma neppure il clima aiuta. Mentre in Europa ci avviciniamo al solstizio d’inverno, in questa parte dell’anno e del Madagascar (il clima varia molto secondo le zone dell’isola) le temperature si aggirano intorno ai 38° di giorno e 26° di notte, rinfrescate da leggeri piovaschi. Manca poco all’inizio delle grandi piogge, attese dopo Natale, e già l’umidità è intollerabile.

LA MISSIONE DI MAROVOAY
In questo luogo, baciato da una natura generosa e da tramonti d’incanto, è attiva dal 2002 la Missione dei Padri Carmelitani Scalzi di Marovoay, diretta dall’italiano padre Bruno Dall’Acqua, pure economo della Diocesi di Mahajanga. In Missione, oltre a lui, vivono e lavorano in armonia alcuni religiosi malagasy (ma tutti conoscono benissimo la nostra lingua). 



Seminaristi di passaggio, provenienti dai diversi centri religiosi del Paese, si alternano alla loro mensa, così come numerosi volontari, quasi sempre italiani, concentrati nel periodo da giugno a settembre.

Tutti collaborano in varia misura alle tante attività gestite dalla Missione lungo i due assi principali della Salute e dell’Educazione.

IL DISPENSARIO
Il fiore all’occhiello nel programma sanitario della Missione è senza dubbio il Dispensario “Nino Baglieri” di Marovoay, detto “Dadatoa Nino”. Costruito dal laico missionario Maurizio Crespi nel popoloso quartiere di Ambovomavo e dotato di attrezzature mediche all’avanguardia spedite dall’Italia, il Dispensario è una realtà straordinaria rispetto allo scenario nazionale. Qui infatti le prestazioni hanno costi simbolici, se si pensa che in Madagascar la sanità è privata e farsi curare costa, ragion per cui la maggior parte dei malati rinuncia a un adeguato trattamento sanitario con conseguenze immaginabili. 




Al Dispensario Dadatoa Nino invece i pazienti vengono da lontano e fanno la fila tutti i giorni per farsi medicare (molto frequenti le ustioni a causa di diffusi attacchi epilettici) e ricevere trattamenti contro malattie endemiche come la bilarziosi, la malaria, la febbre tifoide. Se non possono pagare neppure i pochi ariary richiesti, è molto probabile che questi saranno loro condonati. Ma in genere si evita la gratuità per educare i pazienti al valore delle prestazioni ricevute.

IL REPARTO MATERNITÀ
Annesso al Dispensario, è attivo il reparto maternità “Geppo Di Martino”. Qui, da circa due anni lavora Claudia Tognetti, giovane e brava ostetrica italiana che ha rinunciato a un posto sicuro all’Ospedale di Legnano per dedicarsi alla realtà locale. La maggior parte della popolazione è restia a farsi curare dai vasa (così apostrofano i bianchi in tono poco elogiativo) e conquistare la loro fiducia non è stato facile, ma Claudia è ottimista. “Rispetto all’inizio” – ci racconta – “è nettamente aumentato il numero delle donne gravide che hanno deciso di partorire da noi e anche il progetto Malnutrizione inizia a dare i suoi frutti”. Dopo il parto sono infatti sempre di più le mamme che il sabato mattina, e spesso in altri giorni della settimana, portano al Dispensario i propri piccoli, troppo spesso malnutriti. Qui i bambini sono tenuti sotto osservazione e ricevono latte in polvere e altri alimenti, fra cui la Spirulina, un’alga benefica e multifunzionale coltivata dai Padri Missionari, poco nota in Europa, ma molto diffusa in Madagascar e in altri paesi in via di sviluppo per le tante virtù terapeutiche e alimentari.

Per avere un’idea di cosa significhi “malnutrizione” basti pensare che fra i bimbi curati da Claudia non sono pochi quelli che, a oltre un anno di età, pesano ancora soltanto 3.5 kg circa, ovvero il peso medio di un neonato occidentale, e che ancora troppi di loro soffrono di ascite, il doloroso malessere da ventre gonfio. Per non parlare dei casi di “parto difficile”, come li chiama la volontaria vicentina nelle sue testimonianze dal Madagascar agli amici italiani. Casi in cui è costretta ad assumersi rischi impensabili in Occidente per preservare la vita di una puerpera, prima ancora di quella del suo bambino. Come quando da sola, a fine ottobre, ha dovuto far partorire Rasoa, già madre di otto maschi, con gravidanza gemellare di altri due. Caso a rischio che in Italia sarebbe stato risolto con un cesareo d’emergenza da un’équipe di medici e infermiere e che invece i parenti della donna, per l’elevato costo dell’operazione, hanno preferito sostituire con riti propiziatori, detti “fomba malagasy”. Dopo ore di travaglio, sudore e sangue Rasoa ha partorito uno dei gemelli che oggi sta bene. L’altro, nato con una malformazione cranica congenita, è deceduto dopo pochi istanti.

“La semplice consultazione prenatale di una donna incinta può rivelarsi complicatissima – racconta ancora Claudia –. Molte delle donne che arrivano al Dispensario sono analfabete, di rado ricordano la propria età, non sanno come aprire una porta con la maniglia, perché non ne hanno mai usata una. Quando chiedi loro di salire sulla bilancia per pesarsi, ti guardano atterrite, perché non sanno cosa sia e spesso ci si siedono sopra. Alla domanda: “di quanti mesi è la tua pancia?”, iniziano a dirti che l’ultimo ciclo lo hanno avuto quando stavano raccogliendo il riso l’ultima volta, che faceva caldo, che stava maturando qualche frutto particolare, tutto questo quasi sempre in dialetto Sakalava” (parlato nel Nord-Ovest del Madagascar).

Certamente è necessario un enorme spirito di adattamento, come quando, a inizio ottobre, per più di una settimana è saltata la corrente a causa di un guasto della Jirama (corrispondente al nostro Enel) e al Dispensario non funzionava più la pompa idrica, per cui andare a prendere l’acqua al pozzo è stata per giorni l’unica soluzione praticabile fra un parto e l’altro.

PROGETTO “PIEDI TORTI”
Un altro importante programma sanitario promosso dalla Missione di Marovoay è la cura dei cosiddetti “piedi torti”, malformazioni genetiche che in Madagascar colpiscono in media un bambino su trenta. Benché ogni realtà sia unica e difficilmente standardizzabile, in molti casi è possibile, già durante la gravidanza, venire a conoscenza della patologia da piede torto, eseguendo normali ecografie di controllo. Verificata inoltre, nelle donne gravide, l’influenza di carenze alimentari, infezioni e/o altre patologie, responsabili dei disordini da piede torto nell’organogenesi del feto, si è in grado di intervenire sulla prevenzione e la cura di questi disagi per evitare la comparsa del disordine.

Dal 2012 i Padri Carmelitani collaborano con il chirurgo italiano Francesco Cimino, presidente dell’Associazione Onlus Alfeo Corassori “La Vita per te”, che da oltre dieci anni viene ogni sei mesi in Madagascar per eseguire questo tipo di operazioni, affiancato da un’équipe di medici di Antananarivo. Sono così già 30 i bambini e i giovani di Marovoay fra i 5 e i 29 anni che nell’ultimo biennio sono stati completamente guariti. Come la piccola Eliza, fra i 14 fortunati bambini operati dal dottor Cimino nella prima metà del 2014 a Fianarantsoa, nel Sud del Madagascar, e successivamente sottoposti a un periodo di fisioterapia da sei mesi a un anno, secondo i casi, presso il centro di Mahasoa.

L’ISTRUZIONE
Se temi come salute e alimentazione toccano drammaticamente da vicino la popolazione di Marovoay e delle realtà limitrofe, il “Liceo Cattolico Edith Stein Marovoay” e altri istituti scolastici, fondati dai Padri Carmelitani negli ultimi sette anni, rappresentano una grande opportunità per i giovani in ambito educativo. Ad esempio sono 101 gli studenti che il 18 agosto 2014 hanno sostenuto il baccalauréat, corrispondente alla nostra Maturità, presso il Liceo Cattolico dedicato alla filosofa e carmelitana ebrea tedesca Edith Stein (Breslavia, 1891 – Auschwitz, 1942). Ogni anno, superati gli esami, una parte di loro si iscrive alla vicina Università di Mahajanga nella speranza di un futuro migliore di quello dei propri genitori. Ma la maggior parte si dedica alla ricerca di un lavoro, obiettivo non semplice causa l’alto tasso di disoccupazione nel paese. Inutile dire che in tutto il Madagascar sono davvero rari i giovani che riescono a trasferirsi in Europa per proseguire gli studi. I salari medi mensili sono infatti ben al di sotto dei 200.000 ariary (circa 60 euro) e con queste cifre bisognerebbe lavorare oltre un anno solo per pagare un volo d’andata Antananarivo - Parigi.

Durante le vacanze scolastiche il Liceo Cattolico Edith Stein è anche sede di corsi di italiano, tenuti dai volontari ospiti in missione. Neppure in Italia è facile trovare dizionari italiano-malagasy, eppure colpisce l’entusiasmo con cui studenti malgasci di tutte le età affrontano faticose lezioni in francese o inglese, non certo nella loro lingua, pur di apprendere i rudimenti della nostra, un riflesso dell’ottima influenza che i Carmelitani esercitano sulla popolazione di Marovoay.
Terminate le vacanze e partiti quasi tutti i volontari, a ottobre riprende la scuola per bambini e ragazzi. Quest’anno a 350 di loro, inseriti nelle liste di adozione a distanza, i Padri Missionari hanno potuto garantire la copertura della retta e l’acquisto del materiale scolastico, oltre ai pasti in mensa per tutto l’anno, grazie ai fondi provenienti dalle adozioni internazionali. “Ma sono ancora tanti i bambini non in lista” – ci ricorda Padre Bruno – “il che significa restare a casa da scuola e non avere un pranzo su cui contare, un enorme problema per i genitori.” E quando non c’è più una famiglia a preoccuparsi di un figlio e i parenti non sono in grado di mantenerlo, si aprono le porte dell’Orfanotrofio di Marovoay, altro centro socio-educativo della Missione che al momento accoglie circa 20 bambini e adolescenti fra i 3 e i 15 anni.

L’OSPEDALE JEAN PAUL II
Fra tutti i progetti coordinati dalla Missione di Marovoay, che fa capo alla Diocesi di Mahajanga, il più ambizioso resta senza dubbio la costruzione del Polo Sanitario e Ospedaliero “Jean Paul II” di Mahajanga. Iniziato a gennaio 2014 e oggi a un terzo dei lavori previsti, l’Ospedale si prospetta come un efficientissimo centro polivalente da 110 posti letto con alloggi per il personale tecnico e i parenti; una scuola di specializzazione per il personale paramedico; un cybercafé, servizi igienici pubblici, un inceneritore e tanto altro. La costruzione del Polo, ideato dallo Studio Leoni e Associati di Modena dell’Associazione ONLUS Alfeo Corassori “La Vita per te”, presieduta dal dottor Cimino, in collaborazione con un gruppo di medici locali, ha goduto finora di alcuni aiuti, in particolare dalla Famiglia Conte Costantino di Treviso; dall’Associazione ONLUS “Progetto Missione Madagascar” di Ragusa; da concittadini di Padre Bruno Dall’Acqua, promotori di iniziative benefiche di raccolta fondi o coordinatori progetto.

È il caso di Aldo Tonetto di Oderzo (TV) che per mesi si è occupato del carico di sei container e della loro laboriosa spedizione dall’Italia, conclusasi finalmente a inizio novembre con l’approdo al porto di Mahajanga e lo sdoganamento di piastrelle, materiale idraulico, persino un gruppo elettrogeno e altri prodotti, destinati agli impianti di coltivazione della Spirulina e alla costruzione dell’Ospedale Jean Paul II. Nonostante la generosità e gli sforzi di molti, sono ancora onerosi i capitali necessari per concludere i lavori all’Ospedale. “Non sappiamo quanto durerà il cantiere” – confida Padre Bruno – “ma ci affidiamo alla Provvidenza e non saremo delusi”. 

Del resto come non credergli, vedendo i molti risultati che in pochi anni ha potuto realizzare con l’aiuto di amici da tutto il mondo e di non poche organizzazioni internazionali? La fede è tutto per chi ha scelto di dedicarsi al prossimo nel nome di Cristo. Ma c’è un ingrediente in più. È il cuore dei malgasci, questo popolo solare, gentile, che non perde occasione per sorridere e far festa al ritmo di canti e danze meravigliose. Un popolo che lavora sotto il sole infuocato e sopporta disagi e malattie senza lamentarsi e che all’incrollabile fiducia in Dio, qualunque sia la religione di origine, unisce un ottimismo e una dignità senza pari, per noi una vera scuola di vita. Recuperate le latitudini di appartenenza e i ritmi frenetici da Nord del mondo, la routine prende il sopravvento. Ma il pensiero è ormai contaminato, perché una domanda lo tormenta insistentemente: “Chi sono i veri poveri, loro o noi?”. Noi che abbiamo tanto, vien da aggiungere. Domanda provocatoria, se non importuna, perché cercare risposte significherebbe scardinare troppe certezze. Oppure no, è tutto da vedere
Come si muore di peste in Madagascar

In questi giorni amici e parenti mi hanno interpellato per sapere sulla peste in Madagascar. Ho dato loro delle risposte sommarie senza approfondire l'argomento, infatti non si tratta di una epidemia che si diffonde come l'ebola, ma è una epidemia circoscritta a determinati ceti sociali e a determinate zone della città e la peste è curabile con gli antibiotici.
La peste in Madagascar possiamo dire che è endemica, in quanto anche negli anni passati, in questa, che è la stagione calda,ci sono stati alcuni casi di decesso, ma le autorità sanitarie non le hanno mai segnalato. Quest'anno la stampa ha diffuso la notizia in quanto l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto un comunicato.
I giornali italiani facendo eco a questo comunicato dell'OMS, hanno informato a profusione senza dare le dovute spiegazioni del perchè di queste morti per la peste.
Antananarivo è una metropoli con circa 2,5 milioni di abitanti, molti vivono nelle bidon ville in mezzo a liquami e sporcizie varie. La maggior parte sono arrivati dalla campagna per cercare fortuna e lavoro nella grande capitale, fortuna che non hanno trovato; molte donne incrementano la prostituzione mentre gli uomini si danno a lavori occasionali o alla mala vita con furtarelli per potere sopravvivere.
Tutta questa gente non usufruisce di alcuna assistenza sanitaria (qui la sanità è tutta a pagamento) e quando contrae qualche malattia non puo' comprarsi le medicine o recarsi presso un ospedale per mancanza di soldi.
Per farsi ricoverare in un ospedale è necessario all'ingresso versare una somma a garanzia (circa 200/300 euro), somma che la povera gente non dispone. Poi all'interno dell'ospedale esiste una farmacia dove l'ammalato puo' comprare le medicine che il medico prescrive.
Se ci rechiamo in un qualsiasi ospedale a chiedere quanti decessi per peste ci sono stati negli ultimi tempi, sappiamo già la risposta:ZERO.
Quindi l'epidemia di peste non curata per la povertà della gente, causa il decesso. Segnaliamo che da parecchi anni nella capitale non è stata fatta una derattizzazione e che i principali diffusori della peste sono proprio i ratti. In questo periodo di caldo molta gente dorme anche all'aperto e quindi è facile preda del contaggio.
AS

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