Da Genova a
Ambositra, in Madagascar, e a brevissimo ad Antananarivo: Franco Emilio Risso,
genovese, è il nuovo volontario Ravinala/Reggio Terzo Mondo sul Progetto di
Commercio Equo&Bio
Alcune
righe per noi di “prime impressioni”, grazie alle quali ci siamo sentiti proiettati
ancora una volta sull'Isola Rossa.
Dopo una
serie di turbolenze l'aereo riesce finalmente ad atterrare ad
Antananarivo. Dodici ore di volo e 4 di attesa all'aeroporto Charles de Gaulle
ed eccomi finalmente in Madagascar. Sono le due di notte del sette gennaio e
nell’emisfero sud è piena estate.
Ad
accogliermi subito i colleghi, anche loro stanchi e assonnati. E notte e il
buio nasconde le domande, l'unica luce è quella dei numerosi posti di blocco
disseminati tra l'aeroporto e la casa. Fortunatamente i poliziotti non
ubriachi di tòaka (distillato di canna da zucchero) dopo
alcune domande ci lasciano andare senza pagare il consueto bonne année.
A mattina
inoltrata mi sveglio con calma senza fretta. Nel pomeriggio giro in macchina e
rimango colpito da due cose: le strade del quartiere e i risciò.
Le strade
sono di ciottoli piccoli con ai bordi i canali di scolo per le acque piovane e
gli scarichi domestici, non ci sono odori, anzi tutto è apparentemente ordinato
e pulito in contrasto con la confusione circostante. Sono strette, affollate ci
passiamo a stento con la macchina, sono strade fatte per i risciò. Non i risciò
elettrici e neppure quelli trainati da animali o attaccati ad una bici. No,
questi sono risciò spinti a mano con la sola forza delle gambe, una forza che
si vede ad ogni passo ad ogni metro di salita, si vede nel sudore che cola, nei
piedi scalzi che fanno presa sulla strada. Vedi la tensione dei porteurs,
tutto il corpo ed ogni muscolo in trazione solo per loro, i clienti, i
trasportati. Solitamente donne, regine per un tragitto, sprofondate nel sedile
con i piedi rilassati e stesi.
Sono i
piedi i veri protagonisti. Piedi nudi, piedi scalzi, piedi duri come scorze di
cedro. Piedi vigorosi, forti e danzanti su una terra dura e accogliente.
Questo il simbolo più vero di quest’Africa che continua ad affascinarci. I
piedi sono anche il vero mezzo di trasporto, il più utilizzato e il più
diffuso, dettano così i ritmi alla quotidianità, rallentandola.
Dai piedi
passiamo alle mani perché oggi vi racconto un’altra storia quella di Bernard.
Anche lui cammina e cammina vive isolato in un villaggio lontano da strade
battute in un luogo impervio sospeso nel tempo come le foreste millenarie che
lo circondano. Con i piedi si sposta e con le mani modella il legno lo lavora
in modo raffinato e preciso.
Bernard fa
parte di un ancestrale gruppo etnico, gli Zafimaniry, che
rifugiatisi nell’entroterra per sfuggire alle guerre tribali hanno vissuto
isolati per generazioni diventando i veri custodi delle foreste. Ancora oggi
per raggiungere i loro villaggi bisogna camminare ore a volte giornate su
sentieri scoscesi che diventano impraticabili durante la stagione delle piogge.
Letteralmente
Zafimaniry vuol dire “i discendenti che desiderano”, significato
pieno di nostalgia, rimpianto per qualcosa di perso o abbandonato. Il nome
suona quasi come una maledizione: i discendenti che desiderano vivranno
sempre nella riva dell’insoddisfazione. Si dice che il nome derivi dalla loro
prima migrazione, infatti i loro antenati vivevano nelle pianure
centrali vicino ai cari terreni di riso. Il clan, allora un
sottogruppo dei Betsilei, abbandona i terreni per rifugiarsi nelle montagne
alle porte della foresta e il loro più grande rimpianto
saranno proprio le risaie da cui si sono
allontanati. In cambio del terreno trovano una foresta
lussureggiante ricca di legno pregiato che diventa il loro più grande
patrimonio.
L’isolamento
e l’abbondanza di alberi (oltre 20 tipi endemici ognuno adatto ad una specifica
lavorazione) hanno permesso lo sviluppo di competenze e capacità uniche nella
lavorazione del legno (riconosciute patrimonio intangibile dell’umanità nel
2003 dall’UNESCO). Le loro doti sono visibili in ogni lavorazione, dagli
oggetti di uso quotidiano alle case costruite e assemblate interamente con
giunture tradizionali senza chiodi o cerniere metalliche.
Purtroppo,
la foresta l’hanno amata fino ad ammazzarla. La distesa boscosa di un tempo è
oggi ridotta ad un sottile corridoio che si restringe di anno in anno. A
incidere sulla deforestazione è anche il tavy (l’agricoltura
di sussistenza praticata con la tecnica del taglia e bruci per dissodare il
terreno) che riduce sempre di più le foreste lasciando meno spazio ad alberi
millenari come palissandro e bois de rose dalla crescita
lentissima.
Grazie al
Commercio Equo, si è dato più valore al loro artigianato, non solo perché viene
pagato alla consegna ad un prezzo concordato regolarmente, ma soprattutto,
perché, impegnandosi in attività di rimboschimento e di taglio responsabile del
palissandro, gli stessi Zafimaniry contribuiscono a rendere più sostenibile e
duraturo il loro lavoro. Allo stesso tempo, stanno utilizzando sempre di più i
legni ordinari, che, anche se meno pregiati, hanno una crescita più veloce e
quindi non contribuiscono a ridurre le foreste millenarie delle montagne
Zafimaniry”
Franco
Emilio Risso, collaboratore della Cooperativa Ravinala e dell’ONG Reggio Terzo
Mondo, referente in Madagascar per il progetto di Commercio Equo&Bio.
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