Lemuri gorilla, uccelli elefanti,
ippopotami nani e pipistrelli giganti
Più o meno 3.700 anni fa, un branco di ippopotami nani stava
abbeverandosi nel fiume Betsiboka nel nord del Madagascar, quando venne
travolto dalla corrente e risucchiato nella profonda grotta sotterranea di
Anjohibe. Il branco di ippopotami terrorizzati travolse stalattiti e
stalagmiti ed anche i pipistrelli giganti che vivevano all’interno della
grotta, ma non riuscirono mai a ritrovare la via di uscita. Solo migliaia di
anni dopo le loro ossa furono ritrovate sul suolo della caverna e nel frattempo
gli ippopotami nani si erano estinti in tutto il Madagascar.
Si tratta di una delle tante scene ricreate dall’artista
Velizar Simeonovski, dallo scienziato del Field Museum Steve Goodman e
dal professore Bill Jungers della SUNY Stony Brook e dal professor Bill Jungers nella nuova
mostra “Extinct Madagascar: Picturing the Island’s Past” e nel libro che la
accompagna Goodman, che vive per la maggior parte dell’anno in Madagascar, e
Jungers, un anatomista, hanno raccolto non solo le ossa degli ippopotami nani
ma anche di altre specie estinte che invece erano gigantesche, come l’uccello
elefante alto 3 metri, o il lemure gigante grande quanto un
gorilla. Poi Simeonovski, che ha studiato anatomia, ha esaminato i
reperti ossei ed ha determinata come e dove si collegassero i muscoli di questi
non antichissimi animali, quindi ha immaginato quale potesse essere la loro
pelliccia o il loro piumaggio basandosi su quelli dei parenti viventi delle
specie estinte. Quindi gli scienziati e l’artista hanno ricreato le scene
della vita nel Madagascar di migliaia di anni fa, basandosi sulla
posizione delle ossa e dei fossili raccolti sul campo.
Un procedimento scientifico e artistico che ha portato i
ricercatori a risolvere alcuni vecchi enigmi, in particolare quello
dell’aspetto del mitico lemure gigante.
«Siamo rimasti affascinati dalla capacità di Velizar» dice
Goodman e Jungers. Spiega: «Il cranio [del lemure gigante] era stato paragonato
a quello di una mucca o di un koala. La ricostruzione di Velizar è
stata la testa più convincente e coinvolgente che abbia mai visto».
«Prima pensavamo che fosse come un elefante – dice Goodman –
Ora pensiamo che avesse un naso piccolo, come un maiale» e Jungers aggiunge:
«Ci vuole molta abilità per immaginare come si muoveva e cosa mangiava e
per mettere insieme la scienza e l’arte in questo modo per la prima volta».
Le ricostruzioni di Simeonovski si basano in particolare sui
resti di un lemure precipitato anche lui nella grotta Anjohibe, un
ambiente inquietante anche per i ricercatori che hanno setacciato l’antro per
trovare gli scheletri degli animali estinti.
Altri animali scoperti dalla spedizione “Rediscovered
Madagascar” sono stati trovati sovrapposti agli insediamenti umani dell’isola,
come quelli dell’uccello elefante, che depositava uova circa 70 volte più
grandi di quelle di una gallina e con un guscio così spesso che i primi uomini
approdati in Madagascar li utilizzavano per trasportare l’acqua e anche
il rum che così secondo Jungers, «Doveva dargli un gusto davvero speciale». Goodman dice che in
un sito la densità di gusci di uccello elefante assomigliava a quella delle
ceramiche rotte che si trovano in alcuni scavi dell’antica Roma.
La sorpresa più grossa è venuta però dall’analisi del Dna
delle uova: il più vicino parente vivente degli uccelli elefante del Madagascar
è il piccolo Kiwi che vive dall’altra parte del mondo, in Nuova Zelanda. I
ricercatori sottolineano che: «L’evoluzione funziona davvero in modo
strano. Il lemure Sifaka emette lo
stesso tipo di rumore dell’allarme che faceva il lemure gigante», un
suono che può essere ascoltato alla mostra e che sembra il rumore di un sorter
su una fotocopiatrice.
Il Madagascar di oggi è molto diverso da come era
anche solo 500 anni fa, un battito di ciglia nella storia evolutiva del nostro
pianeta, solo un millesimo di secondo se si riducesse ad una giornata la storia
del nostro pianeta. Allora questa isola era coperta da fitte foreste e i
lemuri giganti abbandonavano raramente i grandi alberi, visto che praticamente
non erano in grado di camminare sul terreno o addirittura di stare in piedi: le
loro dita delle mani e dei piedi si erano evolute per essere più lunghe e più
curve, il che ha permesso loro di avere una migliore presa sui rami degli
alberi.
Oggi, se i lemuri giganti fossero sopravvissuti alla strage
dei cacciatori arrivati dall’Africa, il Madagascar non sarebbe più adatto
a loro, l’uomo lo ha trasformato in risaie e prati e della foresta originaria
che ricopriva l’intera isola ne resta solo il 9%.
Parte della trasformazione e dell’estinzione degli animali
del Madagascar è iniziata prima che l’uomo approdasse sull’isola, ma molti
cambiamenti, compresi quelli climatici, sono colpa delle attività antropiche
che continuano a degradare anche oggi la incredibile ed unica biodiversità di
quest’isola, che era rimasta l’ultimo grande angolo della terra human-free. Ma
il Madagascar è un Paese estremamente povero e il suo fragilissimo governo non
è stato in grado di intervenire per fermare il saccheggio delle foreste, che ha
portato sull’orlo dell’estinzione numerose specie e che probabilmente ne ha
fatto scomparire molte altre delle quali non sappiamo niente.
Come dice Goodma, «Oltre che un problema per la biodiversità
è anche un problema socio-economico».
Jungers conclude: «Il processo di estinzione è ancora in
corso. Non so che tipo di libro saremo in grado di scrivere tra un paio
di decenni
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