Nosy Be:
un continuo viavai di persone che camminano, dall’alba al tramonto. Scalzi.
La vita
passa attraverso i piedi e la terra che li ospita. Ho visto molti piedi..
Piedi
stanchi, di chi la mattina cammina ore per andare a lavorare e col tramonto
torna a casa per dormire in una capanna senza corrente elettrica o acqua
potabile.
Piedi feriti. Come quelli del vecchietto che è
venuto in ambulatorio perché si era tagliato camminando nel bosco e non
riusciva a guarire, non avendo a disposizione medici o farmaci.
Piedi
grandi. Come quelli di Gilbernaut (o “quaglietta”, come lo chiamiamo noi): 1,5
kg di bambino, magro come un’acciuga ma con dei piedi enormi!! In 15 giorni ci
ha dimostrato la sua voglia di vivere, lottando contro la fame, la febbre, le
coliche… prima o poi i suoi piedini correranno su una spiaggia, ne sono sicura!
Piedi
felici, dei bambini che giocano a calcio sul prato del Centro. E a cui non
serve nient’altro che un pallone per divertirsi.
Piedi
sporchi. Come i miei che dopo una settimana in infradito non mi preoccupavo più
di avere la terra sui talloni ma apprezzavo la libertà di non portare scarpe.
Sentire la
terra sotto ai piedi ti ricorda che tutto quello che ti serve ce l’abbiamo già
dentro di noi.
Mi manca
Nosy Be, mi mancano i sorrisi che mi regalavano le persone, anche senza
conoscersi, anche senza parlare.
Sullo stesso argomento
Nosy Komba
rappresenta in poche parole una descrizione dell’Eden. Bellissime le sue
spiagge, cristallina l’acqua, favolosa la vita sottomarina, tra pesci,
tartarughe e coralli colorati.
Il tetto della capanna numero 3
era di foglie di cocco, e quando il mare si arricciò e il cielo aprì le
cataratte, presi un taccuino, e alla luce di una candela scrissi: FINE DELLA
NEBBIA.
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