lunedì 25 novembre 2013

Intervista: Daniel Gianfalla, fratello del siciliano linciato

Barbarie senza fine, Roberto era innocente. Carte alla procura.
Nel Medioevo gli inquisitori erano legittimati dalle leggi barbare del tempo a torturare e mandare a morte eretici e dissidenti. Pretendevano il pentimento e comminavano la pena capitale. Le fiamme mondavano corpo e anima del condannato. Monito per il popolo, giustizia per il Potere.
Sono passati cinque secoli, e ci sono luoghi del mondo in cui la civiltà non solo si è fermata, ma ha fatto passi indietro. In Madagascar, per esempio, tre persone, fra le quali un cittadino italiano, nato e vissuto per molti anni a Palermo, Roberto Gianfalla, è stato torturato, linciato e ucciso da una folla inferocita, dopo un tribunale “popolare”. Non aveva commesso alcun crimine, era innocente. Gli hanno addebitato il traffico di droga e di organi.
Le voci della sua presunta attività sono arrivate in Italia, “indenni”. Roberto Gianfalla, dopo essere stato torturato, linciato ed ammazzato, ha così subito l’infamia di colpe mai commesse, crimini aberranti.
“E’ stato ammazzato cento volte”, protesta Daniel Gianfalla, fratello di Roberto, tornato a Palermo la settimana scorsa. “Non avremo pace, io e mia sorella Carmela, che vive come me in Francia, fino a che non avremo giustizia e il nome di mio fratello non sarà “riabilitato”.
SiciliaInformazioni si è occupata più volte di Roberto, signor Gianfalla. Abbiamo subito sospettato che avesse subito una fine atroce e non c’entrasse nulla con il traffico di organi e la droga…
“Siete stati gli unici in Italia. In Francia, invece, i giornali hanno preteso la verità. Anche un cittadino francese, amico di Roberto, è stato torturato e linciato, Sebastien Judalet. In Francia si sono mobilitati. La polizia francese ha condotto delle indagini ed ha ricostruito i fatti. In Italia questa terribile storia è passata inosservata. Non abbiamo avuto nemmeno le condoglianze dal Ministero degli Esteri. Non solo: abbiamo dovuto pagare la custodia della salma di mio fratello cento euro al giorno. Un dono, ci hanno detto. Incredibile. Siamo stati costretti a “premiare” la comunità che ha torturato e linciato Roberto per potere riavere il suo corpo…”.
Avete ottenuto la restituzione della salma?
“Il rimpatrio è previsto per mercoledì, costerà tredicimila euro, dono compreso. Non chiediamo nulla, tuttavia. Nessun risarcimento, niente. Vogliamo giustizia, che si sappia quel che è accaduto. Siamo assistititi da un avvocato e invieremo un esposto alla Procura della Repubblica di Palermo. L’ultima residenza italiana di Roberto è stata Palermo. Poi ha girato il mondo…”.
Perché suo fratello ha scelto il Madagascar?
“Aveva perduto la famiglia a causa della separazione: tre figli per i quali aveva rinunciato a tutto. In Madagascar aveva trovato ciò che cercava, serenità e una compagna, che cominciava a frequentare. Cercava pace, aveva saputo che lì si stava bene con poco. In Messico aveva aperto una pizzeria. Era un pittore ed un poeta, aveva un animo gentile. Ci scrisse che in Magadascar aveva trovato il paradiso… Abbiamo avuto il suo diario. Altro che paradiso, non sapeva che avrebbe patito l’inferno…”.
Traffico di organi, droga e altre turpi attività. Tutto hanno addebitato a suo fratello, signor Daniel Gianfalla. Perché?
“Per noi è una cosa inaccettabile, incomprensibile. Non c’è alcun indizio, alcun evento, episodio, documento che lasci sospettare qualcosa. Niente. Roberto non beveva e non ha mai consumato droghe, ha lavorato onestamente. Gli piaceva girare il mondo, ma questa non è una colpa. Ha sofferto molto a causa della separazione. In Madagascar viveva in una capanna, dieci euro al mese. Si era fatto qualche amico per sbarcare il lunario, accompagnava i turisti nei tour, come Sebastien, il francese linciato, e il malgascio, che ha subito la stessa orribile fine…”.
Avete cercato di ricostruire i fatti?
“Abbiamo saputo di un bambino sparito e trovato morto, privo di organi. Il nipote del malgascio linciato. Ebbene, quel bambino era stato gettato a mare ed era diventato cibo per i pesci, ecco perché era privo di alcuni organi”.
Come spiega tanta ferocia? Com’è stato possibile che non sia intervenuta la polizia?
“In Madagascar c’è stato un golpe militare, si fanno giustizia da sé. Spevantano i bambini, annunciando l’arrivo degli uomini bianchi. Il linciaggio è avvenuto a quindici giorni dalle elezioni, le prima dal giorno del golpe. Lo zio del bambino scomparso era stato interrogato dalla polizia e rilasciato. Pare che i poliziotti non avessero alcuna voglia di occuparsene. La sua liberazione avrebbe provocato la protesta. La fazione di opposizione agli attuali governanti aveva bisogno di un capro espiatorio, di dimostrare che il popolo si faceva giustizia e che lo Stato era assente. Hanno strappato un nome al malgascio, quello di Sebastien. E poi, sotto tortura, un nome a Sebastien, quello di Roberto. Sono stati filmati anche gli interrogatori. Una ferocia inaudita. Agghiacciante. Una donna, che faceva da giudice, non riusciva nemmeno a capire le risposte di mio fratello. Se penso che in Italia non si è levata nemmeno una voce…”.
Avete avuto contatti con la Farnesina?
”Il governo italiano non riconosce i golpisti. Ci siamo rivolti al consolato italiano di Lione, in Francia. Mia sorella non vive più. Roberto è stato ammazzato come un cane. Anzi, peggio. Non lo hanno ucciso con un colpo di pistola, ha subito le pene dell’inferno. L’hanno trascinato con i piedi per centinaia di metri prima di ammazzarlo. Poi ci hanno ballato sopra, hanno fatto festa. Uomini, donne e bambini. Allucinante. Ci sono i filmati. Poi è arrivata in Europa la voce del traffico di organi. E Roberto è stato ammazzato un’altra volta. Voglio credere nella giustizia italiana. E’ immorale questo silenzio”.
Noi le staremo vicini, Daniel, come abbiamo fatto finora. Racconteremo tutto ciò che serve.
“Confido nella vostra sensibilità. Io sono un siciliano emigrato in Francia. Ma sono rimasto cittadino italiano, come mia sorella. Noi amiamo il nostro Paese. Roberto era una persona perbene, gli va restituita almeno la dignità. Lo dobbiamo a lui, a noi stessi, ai suoi figli…”.
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