Vengono da ogni angolo di mondo,
sono italiani e spagnoli (soprattutto), francesi, svizzeri, addirittura greci,
arrivano dal Madagascar e dal Messico, dagli States e dall'Asia lontana, anche
dalla Cina
Abbiamo
seguito la gara più dura (e folle) del mondo: 330 km e 24.000 metri di
dislivello su e giù per le montagne della Val d'Aosta. E abbiamo scoperto un
popolo di gente comune, entusiasta di correre e soffrire per una settimana.
Senza soste...
I
giganti sono uomini piccoli e donne minute. Signori dai capelli bianchi e
ragazze dall'aria spensierata. I giganti sono impiegati e operai, casalinghe e
artigiani, professionisti, disoccupati… Vengono da ogni angolo di mondo, sono
italiani e spagnoli (soprattutto), francesi, svizzeri, addirittura greci,
arrivano dal Madagascar e dal Messico, dagli States e dall'Asia lontana, anche
dalla Cina. Come Yuan Yang, pettorale numero 1040, che aveva attraversato il
globo per correre (e rincorrere) il suo sogno: partecipare al Tor des Geants,
il Giro dei Giganti, la gara più dura che un appassionato di endurance-trail
possa correre. Yang è scivolato lungo il sentiero in una notte piena di pioggia
e di vento, e sulle rocce ha sbattuto la testa: è morto a 43 anni sotto il Col
de la Crosatie, 2.838 metri nel gruppo del Rutor.
È
la prima vittima di questa folle gara giunta alla sua quarta edizione: 330
chilometri e 24.000 metri di dislivello per coprire tutto il periplo della Val
d'Aosta, da Courmayeur a Courmayeur in senso antiorario, su e giù per tutte le
valli della regione. Per capire in cosa si traducono questi numeri, basti dire
che la corsa è partita domenica scorsa alle 10 di mattina e mentre leggete
queste righe la maggior parte dei concorrenti deve ancora arrivare al
traguardo: il limite massimo è fissato per sabato pomeriggio, 150 ore (7 giorni,
6 notti e 6 ore) dopo.
Provate
a pensare a tutto quello che avete fatto da domenica mattina a oggi: nel
frattempo, i 742 concorrenti del Tor des Geants inseguivano la sfida
impossibile, salivano 25 colli oltre i 2.000 metri, si scapicollavano per
discese infime e infinite, correvano e (soprattutto) camminavano sotto il sole,
la pioggia e la neve, di giorno e di notte cercando di ridurre al minimo le ore
di sonno. E molti, ora, sono ancora lì.
Certo,
il vincitore, il basco Iker Karrera, è arrivato a Courmayeur già mercoledì
mattina chiudendo la gara col tempo record di 70 ore, 4 minuti e 15 secondi,
quasi 6 ore in meno del tempo impiegato dallo spagnolo Oscar Perez vincitore
nel 2012 e quest'anno arrivato secondo ad appena 25 minuti dal primo. Karrera,
39 anni, soprannominato Porsche, per vincere il Tor si è preparato per mesi in
maniera quasi ossessiva, nei tre giorni di gara si è fermato complessivamente
appena 2 ore e 57 minuti, ma è l'unico dei 742 concorrenti che non abbiamo mai
visto sorridere. Per tutti gli altri, nonostante la fatica, le ferite e i molti
abbandoni, questa massacrante corsa rimane una grande festa. E la classifica
non la guarda nessuno, perché c'è un trofeo per ciascuno: la maglia consegnata
al traguardo con la scritta FINISHER, l'unica cosa che conta.
Andrea
Mattei
@andrea_mattei
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