Il 24
luglio scorso si sarebbero dovute tenere
le elezioni in Madagascar. La crisi politica, con pesanti contraccolpi sulle condizioni della popolazione, deflagrò nel 2009, quando l’allora
presidente Ravalomanana fu costretto
alle dimissioni dalla congiunta
pressione popolare e delle Forze armate. Il regime di transizione con a capo
Andry Rajoelina, nato subito dopo, non è riuscito a trovare la via della
conciliazione per tornare alla normalità costituzionale con libere elezioni
politiche e presidenziali.
I politici
malgasci nonostante molti e autorevoli tentativi di mediazione non trovano un
accordo e la tensione resta alta come dimostrano le proteste contro lo
slittamento del voto che hanno portato all’arresto di Laza Razafiarison, uno
dei candidati e segretario generale del partito Avotra ho An’ny firenena, e di
altre sette persone in occasione di una manifestazione tenutasi nella capitale
Antananarivo.
La
situazione non è mai degenerata talmente tanto da provocare, come in altri
stati africani, una guerra civile. La sensazione è che i militari non abbiano
intenzione di lasciarsi sfuggire la situazione come ha dichiarato qualche settimana fa un generale a tre stelle. Gli
stati maggiori dell’esercito e della gendarmeria sono costantemente in contatto e condividono la stessa opinione.
In questo contesto non bisogna dimenticare che ci sono circa seicento
colonnelli senza lavoro.
La
comunità internazionale, con poche eccezioni come quella degli USA più
possibilista, considera illegittimi i tre candidati principali (sono quarantuno
in totale) alle elezioni: l’attuale presidente Andry Rajoelina, Lalao
Ravalomanana, la moglie dell’ex presidente del Madagascar Marc Ravalomanana, e
l’ex presidente Didier Ratsirika. La richiesta unanime è quella del ritiro
delle candidature, ma nessuno dei tre pensa a fare un passo indietro. È questo
il maggior ostacolo verso la strada del compromesso utile.
Il
Consiglio di pace e di sicurezza (CPS) dell’Unione africana ha approvato le
conclusioni della riunione del Gruppo internazionale di contatto sul Madagascar
(ICG-M) del 26 giugno scorso con il risultato della richiesta perentoria del
ritiro delle candidature entro il 31 luglio 2013. Superata la data verranno
applicate sanzioni da parte dell’Unione africana.
Anche il
Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane in Madagascar, che riunisce le
quattro maggiori chiese cristiane del Paese (cattolica, luterana, anglicana e
protestante), ha svolto un ruolo nella mediazione tra le parti per consentire
la partecipazione ai colloqui di riconciliazione nazionale dell’ex Presidente
Marc Ravalomanana.
Se
l’impossibilità di governare l’isola ancora non ha fatto scoppiare una guerra civile ha provocato dei danni
economico-sociali tali che il candidato alle presidenziali Rabeharisoa Saraha
Georget, in un’intervista rilasciata ad
Afrik.com, dichiarava: «attualmente, vi è un genocidio silenzioso del popolo
malgascio e nessuno se n’è accorto» . E le sue parole non sono lontane dalla
realtà.
Don Luca
Treglia direttore di Radio don Bosco nella capitale ha spiegato che la gente
prova a sopravvivere in qualsiasi modo, «non sono infrequenti rapine violente
con sparatorie anche in pieno giorno. Continuano inoltre i furti di bestiame da
parte di bande organizzate, soprattutto nel sud. Questo avviene perché lo Stato
non ha fondi per pagare i poliziotti. A causa della situazione politica
infatti, sono stati sospesi gli aiuti internazionali alle istituzioni
governative anche se continuano le donazioni dirette alla popolazione inviate
tramite alcune Ong» .
L’economia
malgascia è allo stremo e così la popolazione di un’isola con capacità enormi.
Il 5 giugno un rapporto della Banca mondiale sottolinea che dal 2008 le persone
che vivono con meno di due dollari al giorno sono aumentate di dieci punti
arrivando al 92% degli abitanti.
Il reddito
pro capite è tornato ai livelli del 2001. Il Madagascar avrebbe grandi
potenzialità nella produzione agricola ma è oramai diventato il sesto paese al
mondo per malnutrizione. A questo si aggiungono la chiusura di molte strutture
sanitarie che aggravano ulteriormente la condizione della popolazione soprattutto
infantile. Con la crisi politica molti finanziamenti europei e africani sono
stati bloccati complicando notevolmente il bilancio pubblico.
Il paese
ha perso dal 2008 la metà circa dei turisti, una fonte importante dell’economia
così come altre attività produttive,
come quella tessile stanno scomparendo.
Un
paradiso terrestre che è oramai divenuto un inferno.
Fonte: www.mentinfuga.com/Pasquale Esposito
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