domenica 8 settembre 2013

Madagascar: popolazione allo stremo dopo quattro anni di crisi politica

Il 24 luglio scorso si sarebbero  dovute tenere le elezioni in Madagascar. La crisi politica, con pesanti contraccolpi  sulle condizioni della popolazione,  deflagrò nel 2009, quando l’allora presidente  Ravalomanana fu costretto alle  dimissioni dalla congiunta pressione popolare e delle Forze armate. Il regime di transizione con a capo Andry Rajoelina, nato subito dopo, non è riuscito a trovare la via della conciliazione per tornare alla normalità costituzionale con libere elezioni politiche e presidenziali.
I politici malgasci nonostante molti e autorevoli tentativi di mediazione non trovano un accordo e la tensione resta alta come dimostrano le proteste contro lo slittamento del voto che hanno portato all’arresto di Laza Razafiarison, uno dei candidati e segretario generale del partito Avotra ho An’ny firenena, e di altre sette persone in occasione di una manifestazione tenutasi nella capitale Antananarivo.
La situazione non è mai degenerata talmente tanto da provocare, come in altri stati africani, una guerra civile. La sensazione è che i militari non abbiano intenzione di lasciarsi sfuggire la situazione come ha dichiarato qualche  settimana fa un generale a tre stelle. Gli stati maggiori dell’esercito e della gendarmeria sono costantemente  in contatto e condividono la stessa opinione. In questo contesto non bisogna dimenticare che ci sono circa seicento colonnelli senza lavoro.
La comunità internazionale, con poche eccezioni come quella degli USA più possibilista, considera illegittimi i tre candidati principali (sono quarantuno in totale) alle elezioni: l’attuale presidente Andry Rajoelina, Lalao Ravalomanana, la moglie dell’ex presidente del Madagascar Marc Ravalomanana, e l’ex presidente Didier Ratsirika. La richiesta unanime è quella del ritiro delle candidature, ma nessuno dei tre pensa a fare un passo indietro. È questo il maggior ostacolo verso la strada del compromesso utile.
Il Consiglio di pace e di sicurezza (CPS) dell’Unione africana ha approvato le conclusioni della riunione del Gruppo internazionale di contatto sul Madagascar (ICG-M) del 26 giugno scorso con il risultato della richiesta perentoria del ritiro delle candidature entro il 31 luglio 2013. Superata la data verranno applicate sanzioni da parte dell’Unione africana.
Anche il Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane in Madagascar, che riunisce le quattro maggiori chiese cristiane del Paese (cattolica, luterana, anglicana e protestante), ha svolto un ruolo nella mediazione tra le parti per consentire la partecipazione ai colloqui di riconciliazione nazionale dell’ex Presidente Marc Ravalomanana.
Se l’impossibilità di governare l’isola ancora non ha fatto scoppiare una  guerra civile ha provocato dei danni economico-sociali tali che il candidato alle presidenziali Rabeharisoa Saraha Georget,  in un’intervista rilasciata ad Afrik.com, dichiarava: «attualmente, vi è un genocidio silenzioso del popolo malgascio e nessuno se n’è accorto» . E le sue parole non sono lontane dalla realtà.
Don Luca Treglia direttore di Radio don Bosco nella capitale ha spiegato che la gente prova a sopravvivere in qualsiasi modo, «non sono infrequenti rapine violente con sparatorie anche in pieno giorno. Continuano inoltre i furti di bestiame da parte di bande organizzate, soprattutto nel sud. Questo avviene perché lo Stato non ha fondi per pagare i poliziotti. A causa della situazione politica infatti, sono stati sospesi gli aiuti internazionali alle istituzioni governative anche se continuano le donazioni dirette alla popolazione inviate tramite alcune Ong» .
L’economia malgascia è allo stremo e così la popolazione di un’isola con capacità enormi. Il 5 giugno un rapporto della Banca mondiale sottolinea che dal 2008 le persone che vivono con meno di due dollari al giorno sono aumentate di dieci punti arrivando al 92% degli abitanti.
Il reddito pro capite è tornato ai livelli del 2001. Il Madagascar avrebbe grandi potenzialità nella produzione agricola ma è oramai diventato il sesto paese al mondo per malnutrizione. A questo si aggiungono la chiusura di molte strutture sanitarie che aggravano ulteriormente la condizione della popolazione soprattutto infantile. Con la crisi politica molti finanziamenti europei e africani sono stati bloccati complicando notevolmente il bilancio pubblico.
Il paese ha perso dal 2008 la metà circa dei turisti, una fonte importante dell’economia così come altre  attività produttive, come quella tessile stanno scomparendo.
Un paradiso terrestre che è oramai divenuto un inferno.
Fonte: www.mentinfuga.com/Pasquale Esposito

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