Bologna. Sto per incontrare la persona che anni fa mi ha tenuta
incollata alle pagine di un libro dal titolo curioso: Jack Frusciante è uscito dal gruppo. È Enrico Brizzi e
oggi mi farò portare dall’autenticità dei colli bolognesi alla poesia del
Madagascar.
Enrico comincia col raccontarmi che la sua fascinazione per il
Madagascar comincia da piccolo, insieme alla fascinazione per le mappe, in
particolare ripensa al tabellone sul quale vedeva i suoi zii e i suoi cugini
più grandi giocare a Risiko. C’era quest’isola abbastanza grande da costituire
un territorio a sè al largo della costa sud orientale dell’Africa che aveva un nome
pittoresco e che sembrava evocare lo stesso mondo in cui si potevano trovare
Mompracem o altri luoghi salgariani, di quelli che trovava nei libri di cui si
nutriva.
Crescendo ha poi incotrato gente che c’era vertamente stata e il viaggio zaino in
spalla sembrava essere una neccessità per visitare questa meta un po’ fuori
dagli schemi. Così,
con questa premessa, mi preparo con Brizzi alla scoperta dell’isola rossa.
Isola
rossa innanzitutto perché il terreno è costituito in larga parte di Laterite,
rossa appunto, che viene trasportata al mare dai numerosi fiumi. Tutto diventa
rosso: il suolo, l’acqua, il cielo del tropico all’alba e al tramonto.
La prima volta che Enrico ci è andato, mi racconta, è stata
quasi una prova. Ci è rimasto per 3 settimane e il primo posto che ha
conosciuto dopo la capitale Antananarivo, detta Tana
dai locali, è stata la meta classica dei turisti, cioè l’isola di Nosy Be, poche miglia al largo della costa Nord orientale
dell’isola, dove la maggior parte dei voli fanno scalo. È un magnifico posto di
mare, non c’è dubbio, ma la vera scoperta è iniziata quando si è spostato nell’entroterra, un
entroterra sterminato e che
nemmeno una strada percorre interamente da Nord a Sud. Ci sono in realtà 3.000 Km della Strada Nazionale n°1, un nome molto altisonante e che promette continuità, ma che in
realtà cominciano come una strada mista tra asfalto e terra rossa, nella parte
centrale dell’altopiano diventa simile a una nostra strada provinciale e
scendendo verso Sud, dopo quella che è chiamata la “Porta del Sud”, non lontana
dal parco dell’Isalo, si
spalanca su un ambiente semi desertico e si trasforma prima in una pista e poi
in nient’altro che una traccia nella sabbia.
La prima cosa che Enrico ha visto nel suo primo viaggio appena
uscito dall’aeroporto, nelle campagne attorno a Tana è stato un corteo di gente
che marciava al suono di canti e strumenti tradizionali, allegramente,
trasportando quella che sembrava una barella con un ferito ma che in realtà era
una mummia. Gli hanno spiegato che da quelle parti è
la cosa più normale del mondo: le famiglie, chi ogni 5 anni, chi ogni 7 anni,
vanno al loro campo santo, disseppelliscono il parente, riportano a casa il
nonno, lo zio e chiunque abbia lasciato questa terra, lo riportano a casa e mostrano loro il fondo agricolo e le migliorie
parlandogli come se fosse ancora lì “vedi? Abbiamo fatto il recinto nuovo?”
oppure “la nipotina s’è sposata” oppure “sono nati altri 2 figlioli” e così
via. Bel modo di approcciare la morte, penso.
Nel corso del suo secondo viaggio mi racconta che il contatto più
stupefacente è stato quello con la spiritualità di questa gente, perché
oltre all’influenza cristiana si trovano comunque tradizioni antichissime, che
non stupiscono forse chi conosce i paesi del centro America o dei Caraibi,
paesi dove il Cristianesimo si è innestato su un substrato antichissimo di
culti di origine africana.
Ma
per quanto ci facciamo amici dei malgasci o veniamo lasciati accostare a
determinate cerimonie o rituali, continua, ovviamente restiamo dei “Wasà”, dei
bianchi, che
non capiscono i fadi, che son le proibizioni rituali. Per esempio in molti
luoghi del Madagascar non si può andare con addosso i pantaloni, perchè i pantaloni sono
considerati il capo distintivo dei Francesi, colonizzatori che li hanno massacrati, quindi anche gli uomini
sono tenuti a portare solo un pareo. In altri luoghi non si può mangiare,
perchè magari è successo qualche cosa a un antenato mentre stava mangiando.
Certe famiglie non lavorano mai il martedì, o il venerdì, per cui anche il
fatto di cercare di regolare la società si confronta di continuo con
proibizioni e momenti inaggirabili della loro vita interiore, con i quali
nessuna logica moderna può scendere a patti veramente.
Detto
che il Madagascar è tutto da visitare, sia per la sua storia, che le sue genti
e i suoi paesaggi, gli chiedo se esiste per lui un luogo davvero imperdibile,
dove si condensi tutto questo.
Prima di dirmi dov’è mi fa promettere che se dovessi mai fare un viaggio in
Madagascar, devo andarci sul serio. Non è difficile dare la mia parola.
La regione in cui si trova quello che secondo lui è il luogo
imperdibile del Madagascar è immediatamente a ridosso della costa orientale, la regione
attraversata dal canale delle Pangalanes, un canale in parte naturale e in parte
adattato artificialmente, che corre per centinaia di Km parallelo alla costa
determinando una striscia di foresta lunga e sottile che si estende da Nord a
Sud e ripara queste acque chiuse dall’aperto della marea. È un canale
navigabile che viene percorso quotidianamente in piroga per i traffici tradizionali,
ma anche da pilotine che svolgono il servizio di trasporto pubblico ed è
possibile, dalla città di Tamatave, che si trova alla testata Nord del canale
essenzialmente, inoltrarsi verso sud lungo questo sistema di corridoi
d’acqua che in certi punti si allarga a comprendere anche le vere e proprie
lagune o bracci di mare che sono ormai rimasti isolati da cordoni di sabbia dal
mare aperto.
A
circa tre ore di navigazione a Sud di Tamatave si apre una laguna irreale, così
la definisce, che si chiama in lingua locale Ankanin’ny Nofy, ovvero “il nido dei sogni” ed è un posto dove effettivamente la fantasia si sente cullata e
ognuno di noi, anche nato molto lontano da lì, prosegue Enrico, per qualche
magica via si sente a casa e vicino alle persone che gli sono care. Fra l’altro
è un luogo cui ha cercato di rendere giustizia in un libro di qualche anno fa,
un libro dal titolo “Razorama“. Anche se è stato il suo
romanzo meno capito, si dice contento di avere lavorato su una storia che ha a
che fare con quella che alle nostre menti razionali può sembrare
autosuggestione o, nella migliore delle ipotesi, una magia, mentre dal suo
punto di vista, come tutto quello che promana dalle foreste, dalle risaie e dalle lagune
dell’isola rossa, ha a che fare con il sogno che ognuno di noi aveva da bambino
di trovare un posto incontaminato, un posto in cui muovere mano nella mano con
la persona con cui vorremmo essere in quel momento, dimenticando la civiltà
cartesiana che è rimasta a casa in Italia.
A chi fosse interessato il 12 settembre si
festeggeranno i vent’anni di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Per iniziare
ci sarà un party celebrativo al Locomotiv
Club di Bologna. Suoneranno Umberto Palazzo e il Santo Niente,
in apertura ai Diaframma di Federico Fiumani. Enrico
salirà sul palco per i ringraziamenti e una breve reading, anticipazione dello
spettacolo che porterà in giro per tutto l’inverno.
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