mercoledì 10 settembre 2014

Con Enrico Brizzi nell’isola rossa

Bologna. Sto per incontrare la persona che anni fa mi ha tenuta incollata alle pagine di un libro dal titolo curioso: Jack Frusciante è uscito dal gruppo. È Enrico Brizzi e oggi mi farò portare dall’autenticità dei colli bolognesi alla poesia del Madagascar.
Enrico comincia col raccontarmi che la sua fascinazione per il Madagascar comincia da piccolo, insieme alla fascinazione per le mappe, in particolare ripensa al tabellone sul quale vedeva i suoi zii e i suoi cugini più grandi giocare a Risiko. C’era quest’isola abbastanza grande da costituire un territorio a sè al largo della costa sud orientale dell’Africa che aveva un nome pittoresco e che sembrava evocare lo stesso mondo in cui si potevano trovare Mompracem o altri luoghi salgariani, di quelli che trovava nei libri di cui si nutriva.
Crescendo ha poi incotrato gente che c’era vertamente stata e il viaggio zaino in spalla sembrava essere una neccessità per visitare questa meta un po’ fuori dagli schemi. Così, con questa premessa, mi preparo con Brizzi alla scoperta dell’isola rossa.
Isola rossa innanzitutto perché il terreno è costituito in larga parte di Laterite, rossa appunto, che viene trasportata al mare dai numerosi fiumi. Tutto diventa rosso: il suolo, l’acqua, il cielo del tropico all’alba e al tramonto.


La prima volta che Enrico ci è andato, mi racconta, è stata quasi una prova. Ci è rimasto per 3 settimane e il primo posto che ha conosciuto dopo la capitale Antananarivo, detta Tana dai locali, è stata la meta classica dei turisti, cioè l’isola di Nosy Be, poche miglia al largo della costa Nord orientale dell’isola, dove la maggior parte dei voli fanno scalo. È un magnifico posto di mare, non c’è dubbio, ma la vera scoperta è iniziata quando si è spostato nell’entroterra, un entroterra sterminato e che nemmeno una strada percorre interamente da Nord a Sud. Ci sono in realtà 3.000 Km della Strada Nazionale n°1, un nome molto altisonante e che promette continuità, ma che in realtà cominciano come una strada mista tra asfalto e terra rossa, nella parte centrale dell’altopiano diventa simile a una nostra strada provinciale e scendendo verso Sud, dopo quella che è chiamata la “Porta del Sud”, non lontana dal parco dell’Isalo, si spalanca su un ambiente semi desertico e si trasforma prima in una pista e poi in nient’altro che una traccia nella sabbia.
La prima cosa che Enrico ha visto nel suo primo viaggio appena uscito dall’aeroporto, nelle campagne attorno a Tana è stato un corteo di gente che marciava al suono di canti e strumenti tradizionali, allegramente, trasportando quella che sembrava una barella con un ferito ma che in realtà era una mummia. Gli hanno spiegato che da quelle parti è la cosa più normale del mondo: le famiglie, chi ogni 5 anni, chi ogni 7 anni, vanno al loro campo santo, disseppelliscono il parente, riportano a casa il nonno, lo zio e chiunque abbia lasciato questa terra, lo riportano a casa e mostrano loro il fondo agricolo e le migliorie parlandogli come se fosse ancora lì “vedi? Abbiamo fatto il recinto nuovo?” oppure “la nipotina s’è sposata” oppure “sono nati altri 2 figlioli” e così via. Bel modo di approcciare la morte, penso.
Nel corso del suo secondo viaggio mi racconta che il contatto più stupefacente è stato quello con la spiritualità di questa gente, perché oltre all’influenza cristiana si trovano comunque tradizioni antichissime, che non stupiscono forse chi conosce i paesi del centro America o dei Caraibi, paesi dove il Cristianesimo si è innestato su un substrato antichissimo di culti di origine africana.
Ma per quanto ci facciamo amici dei malgasci o veniamo lasciati accostare a determinate cerimonie o rituali, continua, ovviamente restiamo dei “Wasà”, dei bianchi, che non capiscono i fadi, che son le proibizioni rituali. Per esempio in molti luoghi del Madagascar non si può andare con addosso i pantaloni, perchè i pantaloni sono considerati il capo distintivo dei Francesi, colonizzatori che li hanno massacrati, quindi anche gli uomini sono tenuti a portare solo un pareo. In altri luoghi non si può mangiare, perchè magari è successo qualche cosa a un antenato mentre stava mangiando. Certe famiglie non lavorano mai il martedì, o il venerdì, per cui anche il fatto di cercare di regolare la società si confronta di continuo con proibizioni e momenti inaggirabili della loro vita interiore, con i quali nessuna logica moderna può scendere a patti veramente.
Detto che il Madagascar è tutto da visitare, sia per la sua storia, che le sue genti e i suoi paesaggi, gli chiedo se esiste per lui un luogo davvero imperdibile, dove si condensi tutto questo. Prima di dirmi dov’è mi fa promettere che se dovessi mai fare un viaggio in Madagascar, devo andarci sul serio. Non è difficile dare la mia parola.


La regione in cui si trova quello che secondo lui è il luogo imperdibile del Madagascar è immediatamente a ridosso della costa orientale, la regione attraversata dal canale delle Pangalanes, un canale in parte naturale e in parte adattato artificialmente, che corre per centinaia di Km parallelo alla costa determinando una striscia di foresta lunga e sottile che si estende da Nord a Sud e ripara queste acque chiuse dall’aperto della marea. È un canale navigabile che viene percorso quotidianamente in piroga per i traffici tradizionali, ma anche da pilotine che svolgono il servizio di trasporto pubblico ed è possibile, dalla città di Tamatave, che si trova alla testata Nord del canale essenzialmente, inoltrarsi verso sud lungo questo sistema di corridoi d’acqua che in certi punti si allarga a comprendere anche le vere e proprie lagune o bracci di mare che sono ormai rimasti isolati da cordoni di sabbia dal mare aperto.

A circa tre ore di navigazione a Sud di Tamatave si apre una laguna irreale, così la definisce, che si chiama in lingua locale Ankanin’ny Nofy, ovvero “il nido dei sogni” ed è un posto dove effettivamente la fantasia si sente cullata e ognuno di noi, anche nato molto lontano da lì, prosegue Enrico, per qualche magica via si sente a casa e vicino alle persone che gli sono care. Fra l’altro è un luogo cui ha cercato di rendere giustizia in un libro di qualche anno fa, un libro dal titolo “Razorama“. Anche se è stato il suo romanzo meno capito, si dice contento di avere lavorato su una storia che ha a che fare con quella che alle nostre menti razionali può sembrare autosuggestione o, nella migliore delle ipotesi, una magia, mentre dal suo punto di vista, come tutto quello che promana dalle foreste, dalle risaie e dalle lagune dell’isola rossa, ha a che fare con il sogno che ognuno di noi aveva da bambino di trovare un posto incontaminato, un posto in cui muovere mano nella mano con la persona con cui vorremmo essere in quel momento, dimenticando la civiltà cartesiana che è rimasta a casa in Italia.

A chi fosse interessato il 12 settembre si festeggeranno i vent’anni di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Per iniziare ci sarà un party celebrativo al Locomotiv Club di Bologna. Suoneranno Umberto Palazzo e il Santo Niente, in apertura ai Diaframma di Federico Fiumani. Enrico salirà sul palco per i ringraziamenti e una breve reading, anticipazione dello spettacolo che porterà in giro per tutto l’inverno.


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