Spaventare
pensionati e pensionandi descrivendo l’Inps come un’azienda sull’orlo del
baratro
Caro professor Boeri, mi permetto di richiamare la
sua attenzione sul fatto che l’informazione riguardo alle pensioni è in gran
parte incompleta, fuorviante o addirittura falsa. È superfluo ricordare che
qualunque informazione venga diffusa in merito alla previdenza pubblica tocca
milioni di persone che sperano di arrivare quanto prima a percepire una
pensione, e altri milioni che una pensione già riscuotono. Penso che tutti loro
abbiano un ragionevole diritto a che l’informazione pubblica sul sistema
pensionistico sia possibilmente completa e corretta.
Sono tre gli ambiti in merito ai quali si grida alla
prossima rovina dell’Inps, ricorrendo a dati che sono o scorretti o
scorrettamente usati. In primo luogo vi sono le gestioni deficitarie perché le
pensioni pagate eccedono i contributi versati. In cima alla lista figura l’Inpdap,
l’ente che gestisce le pensioni degli statali, da pochi anni incorporato
nell’Inps. Nel 2012 ha registrato un disavanzo di 24 miliardi, in aumento dagli
anni precedenti, compensato da un intervento dello Stato. Ma per la maggior
parte esso non è affatto dovuto allo scarso numero di coloro che versano i
contributi rispetto ai pensionati. È dovuto al fatto che molti enti della
pubblica amministrazione, pressati dalle note ristrettezze di bilancio, da anni
non versavano all’Inpdap, né ora all’Inps, i contributi dovuti. Piuttosto che
rimediare ai mancati versamenti della Pa trasferendo all’Inps quei fondi che
permettono a molti di accusarlo di gestione dissennata del bilancio, lo Stato
farebbe meglio a fornire agli enti pubblici non in regola le necessario
risorse. Perché non sollecitarlo in tal senso?
Ci sono, è vero, le gestioni in passivo alle quali i
contributi non li versa quasi nessuno, vuoi perché i giovani che li versavano
sono diventati pensionati e non sono stati sostituiti, oppure perché si tratta
di prepensionamenti aventi per definizione una copertura contributiva
insufficiente ma imposti a suo tempo dal governo. Il primo caso è quello dei
coltivatori diretti: dato che il loro numero è fortemente diminuito con gli
anni, oggi sono in tanti a ricevere la pensione, ma pochi a versare i
contributi, da cui deriva un passivo di circa 6 miliardi l’anno. Il secondo
caso riguarda (ex) ferrovieri, addetti ai trasporti, telefonici e altri,
soggetti a prepensionamento forzato come forma di sostegno al reddito — che in
quanto tale non avrebbe dovuta essere caricata all’Inps. Nell’insieme si tratta
di circa 20 miliardi di passivo, ma sarà solo il tempo a tappare il buco di
bilancio di queste gestioni. Nel frattempo questi resti del passato non
dovrebbero essere usati per spaventare pensionati e pensionandi descrivendo
l’Inps come un’azienda sull’orlo del baratro.
Un altro settore dove un suo intervento parrebbe
indispensabile è l’enorme ammontare delle prestazioni assistenziali e affini di
cui lo Stato più di 25 anni fa accollò la gestione all’Inps. Nel 2014, stando
al Bilancio preventivo Inps, esse hanno comportato trasferimenti da parte dello
Stato per oltre 95 miliardi. Per 77 miliardi si tratta di somme imputabili alla
Gestione prestazioni temporanee (trattamenti di famiglia, di integrazione
salariale — cioè la Cig — di disoccupazione, di malattia ecc.) e alla Gestione
degli interventi assistenziali (principalmente oneri per il mantenimento dei
salari e per interventi a sostegno della famiglia). Quei 17,7 miliardi restanti
rappresentano le spese per invalidi civili (costituite dall’indennità ad
personam, più il costo degli accompagnatori e simili). Tali onerosi
trasferimenti non hanno nulla a che fare con l’ordinario sistema previdenziale
— come si legge in numerosi rapporti dell’Istituto — tuttavia spingono molti
commentatori a dire o scrivere che «le pensioni costano allo Stato più
di 90 miliardi l’anno». Questa scorrettezza influisce negativamente anche
sulle statistiche internazionali, poiché in ogni altro paese Ue lesuddette
spese sono imputate a voci quali “sostegno alla famiglia” o “esclusione
sociale”. Al proposito cito da un bel rapporto del giugno 2014 curato dal
centro studiItinerari previdenziali su Il
bilancio del sistema previdenziale italiano: «Sarebbe forse il momento per chi fornisce dati a Eurostat di
far sì che la corretta classificazione delle spese pensionistiche consenta di
evitare al nostro Paese lo stigma di una bassa posizione nelle
classifiche Ocse e Eurostat per gli interventi a sostegno
della famiglia, del reddito, della esclusione sociale e della casa mentre
appare lo Stato che spende moltissimo per pensioni» (pag. 60). Mi pare
che sarebbe un bel compito per il nuovo presidente Inps affrontare tale
compito. Non da ultimo perché i nostri saggi commentatori desumono dalle
statistiche Ocse e Eurostat che il nostro sistema pensionistico assorbe una
quota eccezionalmente elevata sul Pil. Tuttavia, più importante ancora sarebbe
un suo intervento sul governo affinchè rispolveri una proposta di legge di
almeno vent’anni fa che prevedeva la separazione delle gestioni assistenziali
dall’Inps, sì da allineare la situazione italiana a quella internazionale.
Richiamo infine la sua attenzione su un punto
cruciale rilevato già tempo addietro da un noto esperto del sistema
previdenziale, il professor Pizzuti dell’Università di Roma, e però
ignorato in genere da chi esprime giudizi sulle pensioni. Il punto è che i
pensionati italiani pagano l’Irpef al pari di ogni altro contribuente. Qualche
anno fa il professor Pizzuti stimava che l’Irpef versata dai pensionati
ammontasse a circa 48 miliardi, ossia tre punti di Pil. Al presente saranno
forse qualcosa di meno, causa la crisi, ma fossero anche scesi a 45 ciò
significherebbe comunque che i pensionati anche nel 2014 hanno fornito allo
Stato i soldi per pagare le anticipazioni che ha versato all’Inps per tappare i
buchi di varie gestioni previdenziali (21 miliardi), e inoltre hanno
contribuito con 24 miliardi al derelitto bilancio pubblico. Per cui, prima di
bastonarli come si usa da tanti proporre, bisognerebbe considerare la loro
reale posizione economica, e soprattutto usare in modo corretto e completo i
dati del sistema previdenziale. Mi auguro, signor presidente, che ella sia
disponibile a operare in tal senso.
Autore:
Luciano Gallino – La Repubblica
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