Una serie di progetti minerari avviati tra il 2006 e il 2008, quando le quotazioni del metallo bruciavano un record dietro l'altro fino a superare 50mila $/tonn, stanno entrando in produzione in questo periodo: un timing davvero pessimo, legato in alcuni casi anche a difficoltà tecniche, che hanno rallentato la realizzazione degli impianti, ma che è difficile imputare soltanto ad errori di pianificazione. Il risultato è ci sono 250-300 mila tonnellate di nuova capacità produttiva che stanno arrivando sul mercato, in un momento in cui non si intravvede una solida ripresa della domanda e in cui, secondo stime di Wood Mackenzie, almeno il 40% dei produttori di nickel stanno lavorando in perdita.
L'ultimo "debutto" riguarda Koniambo: l'11 aprile, poco prima di fondersi con Glencore, Xstrata ha annunciato che la miniera e la fonderia in Nuova Caledonia erano pronte ad avviare la produzione commerciale. Il progetto, che ha richiesto un investimento di oltre 5 miliardi di dollari, risale in realtà al 2006: la mineraria l'aveva rilevato con l'acquisto di Falconbridge e allora il nickel valeva oltre il doppio di oggi.
Una storia analoga ha Goro, sempre in Nuova Caledonia: asset che la brasiliana Vale ha ottenuto nello stesso anno rilevando Inco. Quando sia Goro che Koniambo avranno raggiunto la piena produzione, sul mercato arriveranno 130mila tonnellate di nickel in più, un decimo dell'attuale offerta mondiale.
Di
recente sono entrati in funzione anche Ramu, miniera di Rio Tinto in Papua
Nuova Guinea, Ravensthorpe – il maxiprogetto australiano su cui Bhp Billiton
aveva gettato la spugna, ma che è stato rilevato e completato da First Quantum
– e Ambatovy, realizzata da Sherritt International in Madagascar. Tutti i
progetti contavano sull'insaziabilità dell'industria siderurgica cinese. Ma la
fame di nickel di Pechino in parte si è smorzata e in parte è stata soddisfatta
con l'autoproduzione del metallo dalla ghisa ("nickel pig iron").
Fonte: Il sole 24 ore
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