venerdì 26 aprile 2013

Il Madagascar ritrovato di Davide Boschi



Davide Boschi ha trascorso due anni della sua vita in Madagascar per fare il servizio militare e abbiamo delle testimonianze incredibili. Una serie di foto dei suoi ricordi con le sue didascalie e successivamente pubblicheremo due dei suoi racconti racconti  che oggi fanno parte di un libro

Lavato e sbarbato per Benino. Davide Boschi all’epoca della sua avventura in Madagascar. 

Ampasimanjeva, Madagascar (1982). Sulle acque del Farony, con Père Remigio (oggi scomparso). Una piroga davvero strana per gli Antaimoro, in quanto aveva lo scafo fatto di vetro resina, anziché legno di chinino. Era più leggera di quelle tradizionali, scolpite nel tronco degli eucalipti e doveva consentire un alaggio più agevole, quindi la possibilità di non doverla per forza ormeggiare o spiaggiare lungo le rive del fiume, ma di portarsela «a casa». Don Remigio, a dispetto del suo nome, nel remare non era poi un granché. Preferivo gli Antaimoro. Decisamente.

Irondro–Manakara, (1980–1986). La grande strada doveva attraversare parte della foresta sud orientale. Si trattava della statale che avrebbe collegato il villaggio di Irondro alla cittadina di Manakara, in modo più diretto e veloce di quanto non facesse la vecchia pista colonica. Ora, credo che al suo posto ci sia rimasto un lungo e sinuoso taglio, nella terra rossa delle colline di brousse. La nuova statale distava 12 chilometri dal mio villaggio, quello di Ampasimanjeva e, a volte, occorrevano due o tre ore di Land Rover solo per raggiungerla. Se non ti piantavi prima in modo definitivo.



La strada di Ampasimanjeva. Forse i dodici chilometri più lunghi della mia vita, e gli ultimi, per tanti ammalati, feriti gravi o donne con problemi di parto, che non riuscivamo ad evacuare verso Manakara. Comunque si poteva morire tranquillamente anche a Mankara.








Mi rendo conto che, guardando queste foto, non si direbbe, ma la nostra officina, alla Fondation Medicale d’Ampasimanjeva, era un autentico avamposto della tecnologia nell’assistenza automobilistica e non solo. Buona parte delle risorse economiche e umane, venivano spese per la mobilità dell’ospedale. Tante quante se ne spendevano per i medicinali o forse anche di più. (Qui sopra, due particolari della Land Rover-amulanza: il cerchione di una ruota e l’imboccatura del serbatoio).

Anche sotto gli acquazzoni tropicali, la distribuzione degli indumenti proseguiva senza intoppi, come se la pioggia non esistesse. La gente veniva anche da lontanissimo per farsi dare qualcosa. Da tempo avevamo deciso di non regalare più nulla a vanvera, si era rivelato diseducativo e controproducente anche per noi. Il rischio era quello di passare per «distributori automatici a uffa», con l’eventualità di venire anche «scassinati». Avevamo optato per l’antica e collaudata tecnica commerciale dello scambio, quella del baratto insomma. La gente doveva portare qualche materia prima, che potesse diventare utile in qualche modo, anche solo da donare agli ultimissimi che non avevano nemmeno quella. Scoprimmo che la rafia, la paglia per intrecciare le stuoie, gli indumenti tribali e tantissimi altri accessori della vita quotidiana, erano risorse naturali di cui quasi tutti i locali disponevano. Fra le mani delle donne e dei bambini, fasci di questo vegetale che, come il riso, è parte della loro stessa vita.

Dopo un devastante attacco di malaria, che mi indicò con estrema precisione la strada per tornare alla «casa del Padre», ritornai invece a guardare il sole dei Tropici, fuori dalla mia angusta e stropicciata stanza. La bilancia per pesare il riso diceva che non superavo i 49 chili. E io non avevo ascoltato le indicazioni della malaria.

Soa, piccola ospite dell’ospedale di Ampasimajeva. Voleva diventare la mia fidanzata, e me lo disse lei. Ma oggi, qui, non si può dire, è roba da pedofili.

Loholoka, costa orientale del Madagascar (1983). Il mio studio (camera, casa ecc.) nella foresta di Loholoka. Fra gli Antaimoro, ogni tipo di stuoia ha un nome ben preciso, e un impiego altrettanto specifico. Non vanno mai usate come capita, come se fossero semplicemente «stuoie». Quella sul pavimento, senza decori, si chiama Lafika: ha la funzione di un tappeto o comunque di un piano di calpestio, non è educato dormirci sopra. Lo fanno gli ubriachi. Quella che si intravede in basso, distesa a destra, a maglie più fini e decorata di verde e rosso è invece il letto, il giaciglio sul quale coricarsi. si chiama Tsihy e possibilmente non va calpestata. Quella piccola rettangolare sotto il panno e il libro con i fogli per gli appunti, è la Fandabanana: la tavola, quella dove si appoggiano le foglie di palma ricolme di riso cotto. Nell’angolo vediamo, avvolta su se stessa, un’altra Fandambanana e due Ondanbody (cuscini per il culo), da non confondere con gli Ondandoha che sono cuscini per la testa e, in qualche modo – dicono gli Antaimoro – vi assomigliano.


Ambozontany, Fianantsoa, Plateau Central, Madagascar (1983). Nella libreria dei Gesuiti di Ambozontany. Mi impossessavo, anche furtivamente, dei libri e dei testi originali, sui quali avrei potuto studiare la lingua malgascia.



Boloky, il mio pappagallo. Quand’era ancora un «pulcino».


Ampasimanjeva (costa orientale). In Madagascar, queste grandi farfalle si chiamano Loholo che significa «spirito». Non bisogna toccarle neanche con un dito. Per questo, Charlotte, staccò il ramo sul quale il meraviglioso insetto era posato, senza sfiorarlo. Fatta la foto, tornò a riportarlo fra le fronde dalle quali lo aveva preso.

Ma quel mattino aveva
il viso dei vent’anni
senza rughe
e rabbia d’avventura…».
(Francesco Guccini)












1 commento:

  1. Grazie a Dio Père Remigio (don Remigio) è ancora vivente, anche se anziano. E' don Paolo Ronzoni che è morto nel 2007.

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