giovedì 19 dicembre 2013

Da Aritzo al Madagascar l’avventura di padre Tonino

Intervista

Missionario per 25 anni dopo una lunga esperienza a Torino con i tossicomani «Presentare il Vangelo agli animisti? È presentarlo agli europei che è difficile»

di Paolo Pillonca

 Forse era tutto scritto, se nel tema d'esame in quinta elementare (che cosa vorresti fare da grande) lui aveva risposto senza indugi: il missionario. Sessantadue anni dopo, la sua narrazione somiglia a una fiaba di altri mondi.
Il narratore di oggi è un missionario vincenziano, padre Tonino Cogoni, aritzese doc, 72 anni, da 25 nel Madagascar del sud, dopo una lunga esperienza con i giovani drogati a Torino.
Lo ascoltiamo come ascoltavamo gli anziani del villaggio: «La religione degli antenati è l'animismo, ogni cosa ha il suo spirito: un grande valore, ciò che non si vede è più importante di ciò che si tocca con mano, lo spirituale sta più in alto del materiale. Szanahari è il creatore, ha fatto tutto dal nulla. Io dico loro: è una bella eredità. Il popolo malgascio è primitivo, fermo e fedele ai saperi degli antenati venuti dalla lontana Indonesia tra il quinto e il settimo secolo dopo Cristo. I malgasci non sono africani».

Fedeltà rigida?
«Direi di sì. Il modo di coltivare il riso è quello degli indonesiani di due millenni fa. Occorre insistere per far fare loro cose che gli antenati non prevedevano».

Quale situazione ha trovato?
«A Betroka, tropico del capricorno, c'erano 17 gruppi cristiani sparsi per la savana».

Da dove ha iniziato?
«Ho imparato il malgascio, lingua asiatica. La scrittura araba in Madagascar non è stata mai introdotta. Ci sono solo piccoli influssi arabi. I missionari hanno insegnato l'alfabeto latino. Per il malgascio ho letto le quattro grammatiche come se fossero romanzi. A un certo punto ho iniziato a capire qualcosa, poi ho imparato a memoria tutte le preghiere della Messa e molti brani della Bibbia».

Memorizzava i vocaboli?
«Certo. Così tutto è facilitato. Il problema era usarli per parlare. Ho studiato tre mesi con il padre Reviglio, mio ex-compagno di seminario. Volevo imparare il malgascio come il greco antico: partendo dalla parola, scomponendola nei prefissi e nei suffissi. Nelle 812 pagine del dizionario, di ogni parola arrivavo alla radice».

Come ricorda le prime prove pratiche?
«Nelle prime conferenze alle suore usavo un giro di frasi non malgascio, ma loro capivano alla perfezione. Il frasario malgascio (verbo all'infinito, soggetto a fine frase) l'ho appreso dopo. Infine ho letto un libro di proverbi malgasci, settecento. I più belli li ho studiati a memoria».

Veniamo al Vangelo.
«L'evangelizzazione non è un problema: la difficoltà è farli uscire dall'indolenza, introdurre l'idea che si può migliorare tutto, anche la qualità della vita».

Come avviene il passaggio dall'animismo a Gesù di Nazareth?
«Non è difficile presentare il Vangelo in Madagascar: è molto più difficile presentarlo agli europei. Per accogliere il messaggio evangelico non c'è preparazione migliore della religiosità naturale di questa gente semplice».

Perché?
«Hanno un'apertura totale, serena e spontanea alle parabole. Io faccio come Gesù che si siede sulla barca e spiega».

Nessuna prevenzione, dunque?
«Al contrario. Quando mi dicono che Szanahari ha creato tutte le cose ed è il padrone della vita presento la Bibbia, la creazione. Se a un certo punto dico: ci fermiamo qui, loro mi rispondono: no, continua».

Come procede nel tempo l'evangelizzazione?
«Quando sono arrivato, 25 anni fa, c'era il 2,7 per cento di cristiani. Ora siamo al 25. In comune le due religioni hanno la creazione, un sostrato di somiglianza naturale. Ora la nostra chiesa è troppo piccola, stiamo cercando di farne una nuova».

Che cosa succede quando lei presenta i comandamenti?
«Una reazione bellissima: ci troviamo d'accordo sul male e sul bene. Io dico: Dio ha creato tutti, gli antenati morti sono vicini a Dio».

Avviene tutto a scuola?
«Nelle aule i ragazzi sentono la spiegazione della nostra religione. I bambini vengono con il permesso dei genitori e si preparano al battesimo. Io dico: sono un uomo che prega. Gli anziani mi rispondono: anche noi preghiamo, siamo amici».

Difficoltà?
«Tra la quarta e la quinta elementare si dimezza il numero delle scolare: la metà vengono date in spose. Allora dico: almeno fino alla terza media le bambine hanno diritto di studiare, se le date in spose state rovinando il loro avvenire».

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Reportage da Antananarivo-Madagascar

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