Intervista
Missionario
per 25 anni dopo una lunga esperienza a Torino con i tossicomani «Presentare il
Vangelo agli animisti? È presentarlo agli europei che è difficile»
di Paolo
Pillonca
Forse era tutto scritto, se nel tema d'esame in quinta elementare (che cosa
vorresti fare da grande) lui aveva risposto senza indugi: il missionario.
Sessantadue anni dopo, la sua narrazione somiglia a una fiaba di altri mondi.
Il
narratore di oggi è un missionario vincenziano, padre Tonino Cogoni, aritzese
doc, 72 anni, da 25 nel Madagascar del sud, dopo una lunga esperienza con i
giovani drogati a Torino.
Lo
ascoltiamo come ascoltavamo gli anziani del villaggio: «La religione degli
antenati è l'animismo, ogni cosa ha il suo spirito: un grande valore, ciò che
non si vede è più importante di ciò che si tocca con mano, lo spirituale sta
più in alto del materiale. Szanahari è il creatore, ha fatto tutto dal nulla.
Io dico loro: è una bella eredità. Il popolo malgascio è primitivo, fermo e
fedele ai saperi degli antenati venuti dalla lontana Indonesia tra il quinto e
il settimo secolo dopo Cristo. I malgasci non sono africani».
Fedeltà
rigida?
«Direi di sì. Il modo di coltivare il riso è
quello degli indonesiani di due millenni fa. Occorre insistere per far fare
loro cose che gli antenati non prevedevano».
Quale
situazione ha trovato?
«A Betroka, tropico del capricorno, c'erano 17
gruppi cristiani sparsi per la savana».
Da dove ha
iniziato?
«Ho imparato il malgascio, lingua asiatica. La
scrittura araba in Madagascar non è stata mai introdotta. Ci sono solo piccoli
influssi arabi. I missionari hanno insegnato l'alfabeto latino. Per il
malgascio ho letto le quattro grammatiche come se fossero romanzi. A un certo
punto ho iniziato a capire qualcosa, poi ho imparato a memoria tutte le
preghiere della Messa e molti brani della Bibbia».
Memorizzava
i vocaboli?
«Certo. Così tutto è facilitato. Il problema era
usarli per parlare. Ho studiato tre mesi con il padre Reviglio, mio ex-compagno
di seminario. Volevo imparare il malgascio come il greco antico: partendo dalla
parola, scomponendola nei prefissi e nei suffissi. Nelle 812 pagine del
dizionario, di ogni parola arrivavo alla radice».
Come
ricorda le prime prove pratiche?
«Nelle prime conferenze alle suore usavo un giro
di frasi non malgascio, ma loro capivano alla perfezione. Il frasario malgascio
(verbo all'infinito, soggetto a fine frase) l'ho appreso dopo. Infine ho letto
un libro di proverbi malgasci, settecento. I più belli li ho studiati a
memoria».
Veniamo al
Vangelo.
«L'evangelizzazione non è un problema: la
difficoltà è farli uscire dall'indolenza, introdurre l'idea che si può
migliorare tutto, anche la qualità della vita».
Come
avviene il passaggio dall'animismo a Gesù di Nazareth?
«Non è difficile presentare il Vangelo in
Madagascar: è molto più difficile presentarlo agli europei. Per accogliere il
messaggio evangelico non c'è preparazione migliore della religiosità naturale
di questa gente semplice».
Perché?
«Hanno un'apertura totale, serena e spontanea
alle parabole. Io faccio come Gesù che si siede sulla barca e spiega».
Nessuna
prevenzione, dunque?
«Al contrario. Quando mi dicono che Szanahari ha
creato tutte le cose ed è il padrone della vita presento la Bibbia, la
creazione. Se a un certo punto dico: ci fermiamo qui, loro mi rispondono: no,
continua».
Come
procede nel tempo l'evangelizzazione?
«Quando sono arrivato, 25 anni fa, c'era il 2,7 per cento di
cristiani. Ora siamo al 25. In comune le due religioni hanno la creazione, un
sostrato di somiglianza naturale. Ora la nostra chiesa è troppo piccola, stiamo
cercando di farne una nuova».
Che cosa
succede quando lei presenta i comandamenti?
«Una reazione bellissima: ci troviamo d'accordo
sul male e sul bene. Io dico: Dio ha creato tutti, gli antenati morti sono
vicini a Dio».
Avviene
tutto a scuola?
«Nelle aule i ragazzi sentono la spiegazione
della nostra religione. I bambini vengono con il permesso dei genitori e si
preparano al battesimo. Io dico: sono un uomo che prega. Gli anziani mi rispondono:
anche noi preghiamo, siamo amici».
Difficoltà?
«Tra la quarta e la quinta elementare si dimezza
il numero delle scolare: la metà vengono date in spose. Allora dico: almeno
fino alla terza media le bambine hanno diritto di studiare, se le date in spose
state rovinando il loro avvenire».
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