venerdì 19 aprile 2013

Biglietto di sola andata per il Texas


""Tornare a casa? Sì, ma quando sarò in pensione". Della serie: in Italia si sta bene, ma solo in vacanza.
In questo numero de “Il mio Madagascar” dove predominano gli articoli “Mollo Tutto” non poteva mancare questo articolo di un ragazzo italiano che trova lavoro in Texas e che non intende ritornare in Italia. di Lorenza Castagneri
"Tornare a casa? Sì, ma quando sarò in pensione". Della serie: in Italia si sta bene, ma solo in vacanza. Sì perché al Methodist Hospital Research Institute di Houston, Texas, Thomas Geninatti ha trovato un lavoro, uno stipendio da sogno, un dottorato prestigiosissimo e pure una fidanzata. Insomma, una vita nuova. "E chi me lo fa fare di tornare in un Paese nessuno investe nella ricerca?"", racconta a Lorenza Castagneri, che lo ha intervistato per Il Fatto Quotidiano e la consueta rubrica che il giornale dedica ai cervelli in fuga.
Di seguito il testo integrale dell'articolo.
"Thomas ha ventisette anni e una laurea specialistica in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Torino. "Negli States sono avanti anni luce. Non perché ci sia gente più preparata, ma perché le risorse sono maggiori. Qui è pieno di persone benestanti che mettono parte della loro fortuna a disposizione di università e centri specializzati".
E dire che è nato tutto per caso, due anni fa, quando Thomas stava cercando un argomento su cui sviluppare la sua tesi. Un giorno la madre gli mostra un articolo di giornale. Il pezzo racconta la storia di Mauro Ferrari, visionario nel campo della nanotecnologia applicata alla medicina, e della sua attività negli Stati Uniti. Decide di scrivergli una mail. "Pensavo che non l’avrebbe mai letta e invece, tempo due ore, mi ha risposto. Non ci potevo credere". Così Thomas è partito. Per sei mesi si è dedicato anima e corpo a studi ed esperimenti. La laurea è arrivata a marzo 2012. Lui, però, in Italia si è fermato giusto il tempo per la proclamazione. Arrivederci a San Francesco, il paesino con meno di 5mila abitanti alle porte di Torino dove aveva vissuto fino ad allora. "Al Methodist mi hanno offerto un posto di lavoro imperdibile: faccio parte di un team che progetta "drug delivery systems". In pratica, sviluppo nuove tecniche sul rilascio controllato dei farmaci antitumorali. Così sono ripartito. Con un biglietto di sola andata".
Mentre racconta, a Thomas tornano in mente i suoi ex colleghi del Poli che lavorano in Italia. Con alcuni di loro si è mantenuto in contatto. Si sentono via Skype o Facebook. Alcuni sono disoccupati, altri hanno trovato lavoro ma con contratti precari da mille euro al mese. Sono disillusi e senza certezze. "Dicono che è uno schifo. Che studiare anni e anni non ha più alcun senso. A me dispiace. È triste sentir parlare così del proprio Paese d’origine", osserva Thomas. Ma poi aggiunge: "Se non fossi partito, visti i tempi grigi dell’Italia, magari avrei detto sì alla prima offerta di lavoro. Non avrei mai avuto l’opportunità di lavorare con scienziati di fama mondiale e di frequentare un dottorato in ingegneria dei materiali tra Stati Uniti e Cina".
L’avvio del progetto è previsto per agosto. Thomas trascorrerà sei mesi a Pechino, per poi tornare altri due anni in Texas. Al suo fianco, sempre il suo mentore, il dottor Ferrari.

Negli anni sono tanti i giovani italiani che sono entrati a far parte del suo gruppo di ricerca al Methodist. "Ma non si tratta di campanilismo. – scrive lo scienziato via mail – Se ci sono tanti italiani da noi è solo perché hanno battuto un’agguerritissima concorrenza con ricercatori da tutto il mondo. Qui si entra solo se sei bravo. Vince la meritocrazia". 

 (aise)

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