lunedì 23 marzo 2015

Maria Benedettini

“Alcune cose saranno sempre piu’ forti del tempo e della distanza, più profonde delle parole e delle abitudini: seguire i propri sogni e imparare ad essere se stessi, condividendo con gli altri la magia di quella scoperta."

Questa frase mi caratterizza ed è la traccia del mio cammino di vita.

 Mi chiamo Mary Benedettini abito a Casalecchio di Reno a Bologna.                  Sono sposata ed ho un figlio di 40 anni, fa il giornalista e sta per diventare papà, presto vivrò la gioia di essere nonna! Mio marito lavora come dirigente infermieristico nell’AUSL di Bologna.
Ho lavorato 40 anni in sanità nella direzione dell’Azienda USL di Bologna ed ero la responsabile della Promozione della salute e della comunicazione. Ho iniziato la mia carriera professionale come logopedista. 
 ”Niente è per caso” il mio cammino è colorato di coincidenze: è così che mi specializzo in Logopedia c/o la facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna. Qui incontro due grandi maestri professionali, ma prima ancora di vita. Partecipo a Psichiatria democratica con Franco Basaglia. E’ in questo periodo (metà anni ’70) che faccio l’esperienza dei Kibus in Israele e della medicina di comunità e partecipo attivamente alla de istituzionalizzazione delle scuole speciali e dei manicomi.
Negli anni ’80 inizio ad occuparmi di formazione in modo sistematico e mi specializzo all’università  Bocconi come Formatrice.
Sviluppo competenze nell’ambito della comunicazione e della relazione d’aiuto. Ho una concezione transteorica dei vari approcci, metodi e tecniche. Il mio cammino di  vita, lo studio,  il lavoro, l’attività professionale, si sono sempre integrate in una ricerca continua dove la sfida e il mio mettermi in gioco mi hanno permesso di sperimentarmi, arricchirmi e mi hanno anche fatto incontrare dolori e fragilità.
Da pensionata, inizio la storia di volontaria in Madagascar
con la consapevolezza di aprire il mio cuore senza limiti e abbracciare il mio nuovo percorso in una visione olistica della vita, delle persone e della salute.
Ora sono una felice pensionata e mi dedico alla mia famiglia, ai miei hobby tra i quali la scrittura e fare la volontaria nell’Associazione Amici di Ampasilava.


Scrivo soprattutto poesie: la poesia è per me un grande viatico, non propone ideologie e né facili cambiamenti; ma si rivolge alle coscienze e alle anime, e come sempre, si assume il compito di tener desta nell'umanità il più alto senso della propria missione e dei propri valori."
 Mi sono formata con la cultura  accademica, oggi anche se la ritengo fondamentale, credo molto anche alla cultura dell'origine, per cui dando ascolto a questo  mio lato  ho lasciato fluire quello che mi dettava l'ispirazione. Anche il mare è un dizionario, il cielo, la natura, i visi delle persone, i loro corpi, il rumore del silenzio.
 Sin da bambina amavo scrivere e sognavo di diventare una maestra scrittrice. Le mie nonne sono state la prime persone che mi hanno raccontato i miti, le grandi visioni del mare, le voci del vento, del  fiume, le metamorfosi della luna, le storie delle sirene e dei folletti, mettendomi a contatto con la polifonia delle voci e dei suoni della natura, dove gli animali, gli alberi, i fiori erano personaggi che sapevano comunicare fra di loro e con gli umani. Forse sono state un grande stimolo ad intraprendere le avventure della scrittura.
Anche nel mio lavoro ho potuto sperimentare l’utilizzo della narrazione (che, come ricordava spesso Gregory Bateson, sono l’ espressione essenziale del pensiero umano, della mente umana) e spesso anche nella relazione di cura aiuta ad affrontare i dolori, la malattia.


Anche nel libro Filao –L’albero della vita- le narrazioni hanno fatto emergere le  risorse che coronano gli Amici di Ampasilava con l'ospedale Vezo di Andavadoaka e  ha aiutato anche ad affrontare, le tante difficoltà che ogni giorno si incontrano in questo ambiente, il nostro inconscio ha gli anticorpi al dolore stesso.
Ci sono esperienze che si fanno con un solo bagaglio. Il cuore
A tutti prima o poi capita di vivere una coincidenza incredibile capace di modificare almeno in parte il corso dell’esistenza. A me è successo incontrando quasi per caso cinque anni fa Sandro e Rosy a una cena di beneficenza dove presentavano l’esperienza dell’ospedale Vezo in Madagascar. Sentita la presentazione di questa realtà  ho percepito l’amore di queste persone per la popolazione malgascia e per quello che stavano facendo.
Ho sentito che quella era la realizzazione di un mio sogno. Sin da quando frequentavo la scuola Superiore coltivavo il sogno di fare un’esperienza di volontariato in Africa o in qualche altro Paese povero. Spesso incontriamo le persone che dobbiamo incontrare. Nulla è per caso e le sensazioni che pavimentano il nostro cammino ci portano dritto verso i sogni che osiamo sognare.
Ho iniziato cosi la mia prima missione di volontaria, parto per il Madagascar mietuto sì da malattie, miseria e rassegnazione, ma anche pieno di colori e gioia di vivere.
Intraprendere un viaggio per un’esperienza di volontariato,  può essere dettato da una decisione che risponde a un bisogno intimo non sempre definito. Si parte, si va via dalla propria casa, dai propri affetti, dalle cose materiali che ci legano alla vita di tutti i giorni via dalle abitudini consolidate, si lascia il mondo del noto per l’ignoto.

Mi risuonavano nella mente le tante domande che mi erano state rivolte poco prima, da chi non ha mai provato questa felicità fatta di uno strano senso di responsabilità e passione. “Ma perché parti per un posto così lontano?”, “Non ci sono poveri e bisognosi nella tua città?” “Perché? Quale vuoto devi colmare?” “Perché questo bisogno di aiutare il Madagascar?”...
Mi fanno sorridere e mi dispiace per loro. Dalla mia breve esperienza, posso dire che se fanno queste domande è perché le stesse persone hanno forse paura di immergersi in tanta diversità, e si trascinano nella loro consolidata quotidianità.
In verità è proprio qui che entra in gioco il destino, c’entrano forze che qualcuno chiama Dio, qualcun altro Destino o Caso e che, per quanto ci sforziamo, non comprenderemo mai veramente. Non si può smettere di andare e ripartire.
Dopo 10 ore di volo arrivo ad Antananarivo. Nella periferia di Tanà spiccano i rettangoli verdissimi delle coltivazioni di riso, molto diversa da Tulear, a sud del Madagascar sul tropico del Capricorno, una piccola cittadina in grande sviluppo dove il sorriso delle persone ti avvolge come il suo caldo soffocante. Da questi luoghi non volano solo gli uccelli e gli angeli, ma iniziano a volare anche i sogni.
E’ mattina presto quando partiamo da Tulear verso l’ ospedale “VEZO” di Andavadoaka lasciandoci alle spalle una cittadina ancora intenta al risveglio.
Ci attendono otto ore di jeep su una pista in molti tratti battuta, ove il rischio di insabbiarsi è dietro ogni curva, ma dove il cuore non va mai fuori strada perché le difficoltà del viaggio sono ampiamente mitigate da scorci di panorama sul mare e passaggi nella foresta che ti lasciano senza respiro.

Dopo due  giorni di viaggio tra aerei e jeep, arrivo alla Corte dei Gechi ad Andavadoaka e, immediatamente, mi sento al mio posto. Avverto sensazioni strane, non definibili, come se questo contatto così duro, forte in tutte le sue dimensioni  avesse bisogno di essere assorbito.  C’è un caldo infernale. L’ospedale Vezo, sperduto tra la  sabbia è avvolto da un cielo blu che si confonde con la luce del mare. E’ lì COSTELLATO DI VITA E TI ASPETTA.
Tutto intorno  sabbia bianca, odori forti, gente che cammina sotto il sole cocente e i visi accoglienti e sorridenti degli amici  della corte. Questo basta per  respirare un’aria di familiarità e di serenità, per sentirsi nella seconda casa.
Appena arrivata inizio a lavorare in ospedale, in ambulatorio con Sandro, medico “scalzo” prodigo cuore e grande generosità professionale e umana.
 
Un grande senso di pace mi  permea, ho avuto bisogno di assaporare il contatto con le persone, di entrare in rapporto con tutto il contesto, me lo sono vissuto profondamente, la mia mente vuota da pensieri, c’è spazio solo per il  sentire.
Ci si  accorge subito di ritrovarsi lì, dove il tempo si è fermato, dove tutto è dettato dal sorgere e dal tramontare del sole. Le ore, i minuti, il tempo è computato dal canto del gallo, dalle note dei gechi che durante la notte, alcune volte insonne per il troppo caldo,  tengono compagnia.

Come quando scrivo poesie, non ho risposte, ogni mia domanda può solo generare altre domande. Il mio cuore parla in modo dubbioso, non definitivo, non chiude, ma apre ulteriori spazi alla riflessione e sembra condividere con ogni persona che incontro, intuizioni, sensazioni, paure, gioie, serenità. E’ come se, benché viva in un universo apparentemente governato dalla casualità, in questo luogo mi accompagni l’incontro.

In ospedale vieni accolta dalle tante persone sedute sulle panche, in  serena attesa, salutano con un tenue “salama”. E noi con rispetto, umiltà, compassione, empatia, rimaniamo lì, tutti i giorni, ad accogliere gli ammalati e a fare il possibile per curarli, cercando di accettare le differenze culturali, sociali, ambientali, per andare incontro ai loro bisogni.
Mi saocia. Mi saocia mi risuona tutt’ora, la gratitudine fa parte dei loro usuali comportamenti, è la parola che rappresenta  in maggior misura l’esperienza fatta all’Ospital Vezo.
Molti  vengono da lontano, giorni e giorni di viaggio, chilometri di piste sterrate, arrivano con i   vestiti impolverati, stanchi, corpi bianchi di sabbia e spesso malati. Chi è fortunato arriva con il taxibrousse, che non si sa come possa stare in piedi così stracarico di cose e persone.

C’è chi arriva col carro trainato dagli zebu, e chi invece arriva a piedi dopo
ore di cammino sotto il sole cocente. Tutto questo perché credono in noi, e si affidano alle cure che l’ospedale offre.
La gente è sempre sorridente e tranquilla regala serenità a pacchi, la loro è una gratitudine delicata, timorosa.
Il mio linguaggio , il mio modo speciale di leggere il mondo è sempre stato legato ai profumi e ai colori del giorno di cui spesso inseguo l'aroma impalpabile nelle ore in fuga. Queste sensazioni, questi colori, questa luce la custodisco e la porto con me in Italia affinchè non ci sia grigio che mi dipinga.

Ma quello che ha colorato in modo indelebile il mio animo sono il sorriso dei bambini, la solidarietà delle persone, il  “Changa changa”  "mora mora" (Cammina piano ,piano), il "tsy misy probleme", non ci sono problemi,  il loro vivere la giornata, il presente.

Tutto qui viene accettato come ineluttabile, la malattia, il dolore e anche la morte .
Qui ho imparato l’umiltà, confrontandomi ogni giorno con la mie carenze  di conoscenza, di mezzi, di ascolto, di dialogo.  Sapere di non sapere, volere fare ma non avere sempre la possibilità. Ricordo un bambino di soli 10 anni,  che si era fatto una bruttissima multi-frattura ad una gamba cadendo dal carro, aveva un dolore enorme, erano due giorni che viaggiava sul carro traballante trainato da due zebù, la sua pelle nera era coperta da sabbia bianca.
Con la persona malgascia che traduce gli diciamo: “ti facciamo una puntura per farti stare meglio e poi una radiografia” … e lui “fatemi tutto quello che è necessario purché  mi facciate  guarire, Misaucia”.Purtroppo a quel bambino non abbiamo potuto fare niente: necessitava di un complesso intervento ortopedico e noi non avevamo i mezzi. Con dolore ho imparato ad accettare i limiti che in ospedale ci sono, non si può rispondere a tutte le necessità … E’ straordinario come questa gente sa accettare il fato e sa morire in una terra immobile e senza tempo, bruciata dal sole, ricoperta di sabbia finissima e bianchissima, circondata da arbusti spinosi, stracolma di bambini sempre chiassosi e sorridenti ma spesso lesionati nel corpo.

A maggio riparto per la sesta missione, tutte le esperienze sono state  enormi, incredibili  sia sul piano professionale, sia personale, sia su quello umano.
Grazie alle persone Malgasce  ho imparato a godere delle piccole cose, a non avvelenare la vita con la costante pretesa di avere di più.
Potrei continuare all’infinito a raccontare vissuti di questa mia esperienza, ma per cercare di capire e conoscere l'altra faccia del pianeta e della luna, occorre essere lì, presenti e vivere tutto quello che quel mondo ti offre.
Una cosa è certa, negli occhi della gente, neri come l’ebano, profondi come il mare, fulgenti come le stelle, si trova la forza e il coraggio per andare oltre.

Da tutti voi ho imparato il rispetto, la dignità, la semplicità, il vivere con tanta intensità e amore il presente, insomma ho imparato a vedere il mondo un po’  con i vostri  occhi.

Dagli Amici di Ampasilava presenti alla Corte dei Gechi, ho imparato che non si è mai soli a voler costruire un mondo migliore.

Quando  torno in Madagascar è un po’ come tornare a casa. Mi è diventata familiare questa terra che amo e che mi manca tanto quando le sono lontana da un po’.
Il Madagascar mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi nuovi,  a liberare la mente dai pensieri così da godere delle piccole cose alle quali non ero più abituata. Imparo in fretta quanto è preziosa quell’acqua che non per tutti esce copiosa da un rubinetto.
Non c’è frenesia qui:  le giornate che sono scandite dal sorgere e dal tramontare del sole mi regalano colori impensabili, sorrisi di gente umile ed ospitale, sapori di cibi semplici e genuini.

 “Ciò che l’occhio ha visto, il cuore non dimentica”. E’ un popolo di viandanti. Rivoli di persone ai bordi delle strade: bambini, adulti, anziani. Qui, come nei vari villaggi, la vita si svolge sulla strada. Le capanne sono solamente un luogo dove ripararsi dal buio della notte o dalla pioggia: una sola stanza con il fuoco, spesso esterno per cucinare e quando va bene una  stuoia per terra per mangiare e dormire...
Madagascar... e il tempo sospeso. L’arida regione sul canale di Mozambico, con la foresta spinosa costellata di baobab e cactus, le spiagge di sabbia bianca, le acque turchesi protette dalla barriera corallina, le piroghe dei pescatori all’orizzonte sono un ricordo di mari polinesiani in terra africana. Ma la bellezza e l’armonia dei paesaggi contrastano con le condizioni e i disagi in cui si trova a vivere la maggior parte dei suoi abitanti.
 Il Madagascar è tra i paesi più poveri al mondo: più di metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà di un euro al giorno, l’aspettativa di vita è al di sotto dei 50 anni e un bambino su 7 non sopravvive oltre i 5 anni; scarse condizioni igieniche e malattie, prima tra tutte la malaria, continuano a decimare la popolazione.
   Comprendere quegli sguardi incontrati in ospedale, nel villaggio, non è semplice, non sempre si riesce a penetrare la loro luce. Un mondo e una cultura lontani anni luce dai nostri canoni, che difficilmente riusciamo a capire e che spesso ci limitiamo solo a giudicare.  Le tradizioni, l’attaccamento alla terra, il rispetto per gli anziani sono valori assoluti per questa gente e mi chiedo come sarà quando tutti questi bambini, che adesso giocano tra le capanne, saranno diventati adulti.
Qui cresce un grande senso di appartenenza sia alla realtà dell’ospedale, della corte dei gechi , delle persone che incontri e alla natura.  A una natura che ti fa sentire viva, partecipe di quell'universo immenso che ci sta attorno, del mare, del sole, del vento, del cielo, della terra asciutta e polverosa e dalle persone con il sorriso splendente.
Si vive profondamente l'essenzialità, una condizione nella quale l'attenzione al mondo e quella rivolta all'interno non si oppongono, ma coesistono.

Queste esperienze mi hanno rafforzato alcuni comportamenti: scelgo gli Amici di Ampasilava perchè hanno un cuore grande e la passione dell'aiuto e regalano agli altri  i loro  gesti e la loro opera, per me  è stato  importante fare l'esperienza di volontario in questa realtà anche perchè  mi ha permesso di esprimermi ed espandere al massimo il mio valore.
 Quest’anno ho concretizzato l’idea di scrivere un libro “FILAO –L’ALBERO DELLA VITA_ Storie e poesie in terra Malgascia

HO deciso di lasciare una traccia di questa grande opera che Sandro e Rosy hanno costruito; un’Opera che tutti i giorni viene plasmata da tutte le persone che arrivano per essere curate e da tutti i volontari che offrono le cure di cui hanno bisogno.
 E’ un libro a una sola voce, la mia, ma anche collettivo in cui le note del solista fanno da sfondo alle voci di un coro di volontari.  E’ un libro a più dimensioni, in cui si mescolano ieri, oggi e perché no un po’ di domani. E’ un libro in cui la cura, il contesto si sposano con la poesia, le parole scorrono e diventano immagini  a indicare che tutto è correlato e nel centro ogni cosa converge a diventare UNO. 
Vuole anche offrire un contributo di comprensione di una cultura così diversa e distante dalla nostra. Apparentemente lontana perché sommersa nel profondo del nostro animo ma che lì li fa riemergere come l’essenza della vita e l’amore siano valori universali. Ma fra le righe s’incontrano altre cose preziose che le persone là, in quella terra portano con sé e donano a chi incontrano: la semplicità, la spontaneità, il loro entusiasmo e la loro infinita gratitudine.
            Tutto l’incasso del libro sarà devoluto all’Associazione ONLUS Amici di Ampasilava-Madagascar.



Poesia estratta dal libro che dedico a tutte le persone Malgasce che ho incontrato nelle mie missioni

Gratitudine

Apro gli occhi
a quell’incredibile gamma di colori
che costantemente mi viene offerta
per la delizia di questa natura arcaica.

Guardo il cielo,
osservo quanto è diverso;
da un momento all’altro
le nuvole vanno e vengono
e, nella sorpresa, il tempo passa
con le sue molteplici sfumature.

Così vorrei aprire
il cuore a queste meraviglie,
lasciarle scorrere dentro di me
perche’ tutte le persone che incontro
ne siano benedette.

Così la gratitudine
trabocca intorno a noi.
E così come insegna questa gente
ogni giorno è una buona giornata



Aza   ataonao fitia ranon –trambo: be fihavy, ka mora ritra. Fa ataovy tahaka ny rano am-pasika: tsy nampoizina hisy, Ka nahazoana”                                                                                                      (ohabolana malagasy)
Che il vostro amore non sia come l’acqua di un torrente : scende in grande abbondanza ma ben presto sparisce. Sia invece come l’acqua nascosta nella sabbia : non ti aspetti che ci sia, ma se ne può sempre attingere
   (Detto malgascio)

PS: Il libro di Maria Benedettini è disponibile e costa solo 13 euro, potrete farne richiesta a "Il mio Madagascar" e vi sarà inviato.

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