Verso la metà degli anni ’70, si è avuto un moltiplicarsi di lavori di studiosi malgasci e stranieri sulle singolari condizioni ambientali ( biodiversità terrestre, acquatica, continentale o costiera e marina, zone umide e zone aride, foreste secche, foreste di montagne, ecc.) dell’isola del Madagascar.
Per la varietà della fauna, della flora e del suo particolare ecosistema la Grande Isola dell’oceano Indiano è considerata appartenere al patrimonio mondiale dell’umanità per cui, nel 1990, è stata approvata la Carta dell’Ambiente nella quale si è affermata la necessità di un equilibrio duraturo ed armonioso tra i bisogni dell’uomo e la difesa dell’ecosistema.
Gli stessi studiosi, però, hanno lanciato un grido d’allarme per l’avanzato stato di degrado della sua ricchezza biologica, alla cui rovina hanno concorso sia fenomeni d’origine naturale sia l’azione dell’uomo. In particolare gran preoccupazione ha destato il depauperamento del patrimonio forestale, nonostante l’attenzione rivolta al problema sia al tempo del regno merina, che nel periodo coloniale e all’indomani dell’indipendenza.
Si ricorda, infatti, che durante il regno del Grande Re Andrianampoinimerina, che governò dal 1797 al 1810, il sovrano stabilì delle misure per proteggere la foresta; ancora oltre si spinsero le autorità merina che all’art. 105 del codice emanato nel 1881, previdero la condanna alla pena delle catene per colui che fosse stato sorpreso a tagliare alberi per coltivare riso, mais o fare qualsiasi altro tipo di coltura.
Nel 1927, le autorità coloniali approvarono un decreto sull’istituzione delle riserve naturali, in seguito riconosciute riserve naturali integrali.
A partire dalla fine degli anni ’50, le autorità hanno approvato delle norme per l’istituzione di parchi nazionali e di riserve speciali. Questi sforzi, per quanto meritevoli si sono rivelati inadeguati a bloccare l’avanzare del degrado ambientale; di qui la necessità di fissare, nel 1988, una strategia nazionale di conservazione nota come Piano d’Azione ambientale, la cui esecuzione si è avuta dopo l’approvazione per legge, il 21 dicembre 1990, della Carta dell’Ambiente.
La Carta ha sancito che l’ambiente è una delle priorità dello stato malgascio. Essa ha anche riconosciuto che la politica ambientale deve mirare ad un equilibrio duraturo ed armonioso tra i bisogni dell’uomo e la difesa dell’ecosistema.
Le norme per la protezione della natura sono, tuttavia, oggetto d’aspre critiche da parte della popolazione malgascia, che ha messo in guardia le autorità contro uno sviluppo ancora non abbastanza attento al patrimonio di conoscenze trasmesso dagli avi ed ha rivendicato il diritto a preservare il suo modus vivendi soprattutto sulle terre degli antenati o tanindrazana.
Si è, così talvolta, di fronte ad una contrapposizione tra il diritto consuetudinario con il continuo appello all’osservanza di riti, raccomandazioni, regole, divieti, ecc. Ed il diritto moderno, con delle ricadute, non di certo positive, sul nascente diritto ambientale. Diritto ambientale che, si deve misurare con problemi legati, talora, all’incompetenza delle persone preposte a farlo rispettare come alla mancanza di mezzi, ma ancora più disastrosi sono i problemi legati alla stessa gestione delle risorse naturali dell’isola.
L’atteggiamento ostile della popolazione malgascia è giudicato da osservatori stranieri come retrogrado ed antiprogressista, in sostanza di pregiudizio allo sviluppo del paese.
È proprio così? E’ possibile che la civiltà malgascia, che si regge sull’ordine e l’armonia, rappresenti un pericolo per l’ambiente e che realmente il Madagascar rischi di vedere distrutta la sua biodiversità?
Quali sono questi usi e costumi dei malgasci? Quali sono queste tradizioni, la cui origine si perde nella notte dei tempi e che sarebbe irrispettoso trasgredire, pena la sopravvivenza dell’individuo ma soprattutto del gruppo?
I malgasci concepiscono la natura come un luogo santo, un santuario. Da una parte essa comprende uomini, animali e piante e dall’altra abbraccia forze invisibili, potenze misteriose e divinità. Tra i vari elementi esiste una stretta relazione, inconsciamente nota ai malgasci e di cui non sono in grado di dare una spiegazione razionale. I malgasci, tenendo conto delle affinità e delle differenze tra loro e la natura che li circonda, giungono comunque a creare il loro equilibrio personale.
Nella pratica si ha quindi un’interazione che talvolta può manifestarsi in una forma benigna, si pensi ad esempio all’azione della natura nel ristabilire la salute dell’uomo, oppure negativa quando la morte la porta via. Tale interazione però qualche volta è ambigua, perché l’uomo è spesso in lotta con la natura, come accade durante le intemperie, i cicloni, ecc., ma poiché la sua sopravvivenza dipende da essa ci può essere la necessità di dominarla. Ecco che allora egli si vede costretto ad eliminare, per quanto possibile, tutto ciò che gli può arrecare danno.
Il malgascio ha, come detto, un ancestrale senso di conservazione e sacralità della natura in tutte le sue manifestazioni: la foresta, le montagne, i fiumi, i laghi, ecc. Di qui l’importanza dei precetti trasmessi di generazione in generazione dai razana gli antenati ai discendenti.
Porterò ora qualche esempio: sull’altopiano, come altrove, si continuano a venerare dei luoghi, dove hanno abitato o sono sepolti, secondo la tradizione, i Vazimba, i primi abitanti dell’isola; luoghi che, ancora oggi, sono oggetto di culto, come la località d’Andranoro, dove si trova la tomba di Ranoro.
Da parte loro le genti betsimisaraka del nord ogniqualvolta devono arare un campo nel quale vi è una tomba fanno precedere l’aratura da offerte ai defunti le Tsaboraha, invocandone la benedizione. Tradizione non meno importante è quella delle genti masikoro che, nella speranza di potere coltivare un terreno fertile, danno feste il Tampoke in onore degli esseri soprannaturali; così come l’usanza delle popolazioni del lago Alaotra, che per ottenere piogge abbondanti necessarie per un ricco raccolto di riso, immolano uno zebù, chiedendo la benedizione divina e degli antenati Joro orana, Asarabe Alakaosy.
Che dire delle genti bara la cui armonia spirituale, culturale ed economica è generata dalla sua stretta relazione con lo zebù, fattore di unione tra il mondo dei vivi e quello degli antenati?
Del divieto di penetrare nella foresta sakalava, che accoglie i resti mortali dei re maroseranana?
Dell’interdizione di uccidere alcuni animali, com’è il caso della tartaruga nel sud del Madagascar, perché l’anima dei re o delle persone morte abitino in questo animale? O dei sacrifici di zebù che le genti antankarana fanno a favore dei coccodrilli, che popolano il lago di Anivorano, non lontano dalla città di Antsiranana, perché la leggenda tramanda che quegli animali sarebbero loro lontani antenati?
Ancora del divieto di pesca nel lago Kinkony, nord ovest del Madagascar, che le genti sakalava religiosamente rispettano? E della venerazione per l’albero sacro o hazomanga, simbolo del potere trasmesso dagli antenati ai discendenti? O del culto degli alberi di tamarindo o di baobab, considerati spazio sacro, luoghi sacri, dove le genti vanno a deporre le offerte per gli spiriti?
Esiste allora realmente una frattura fra tradizione ed ambiente nel Madagascar? L’una è davvero in contrasto con l’altra?
Il ricordato Piano d’Azione Ambientale è giunto oggi alla sua ultima tappa: la terza fase e complessivamente si può dire che sono stati fatti degli effettivi progressi per superare il contrasto diritto consuetudinario-diritto ambientale al fine di fare convivere tradizione e sviluppo.
Un esempio in tale senso può essere l’inaugurazione, il 29 ottobre 2004, di un Centro di Studio, all’interno del Parco Nazionale dell’Andrigitra, nella località di Namoly, lì dove si trova la tomba dell’antenato Vazimba Rekedy e di sua moglie. Su tale evento Hanta Rabetaliana, capo della regione si è così espressa :
« Ce centre d’interprétation constitue un moyen adéquat à la sensibilisation de la population à la préservation de l’environnement et à la promotion de l’écotourisme dans la région. Les enfants et les jeunes sont les cibles du projet, ainsi la priorité doit être donnée à l’éducation environnementale pour que la valeur du parc soit bien respectée. »
Chi ha una qualche nozione della cultura malgascia sa che tale risultato è stato raggiunto per l’amore che i malgasci hanno per gli antenati, per la terra, per la terra degli antenati ed infine per il fihavanana, che è il momento in cui la famiglia, e per traslazione la nazione, si unisce in uno spirito di conciliazione ed anche di riconciliazione, superando tutte le contrapposizioni.
L’umanità ha da sempre tratto benefici dalla biodiversità. Questo è profondamente vero per l’isola del Madagascar, anche se, ancora oggi, una larga parte della popolazione dipende per abitare, per mangiare, per abbigliarsi, per curarsi e per tutti i suoi bisogni primari dalle risorse naturali.
L’ambiente ha, quindi, un ruolo fondamentale nella vita dei malgasci, come ci ricorda la loro civiltà, i cui riti e tradizioni hanno quale obiettivo principale proprio la protezione e la conservazione del territorio, che il Presidente Ravalomanana ha fatto proprie, inserendo nel piano di sviluppo del paese il suo sogno di: “MADAGASCAR NATURELLEMENT”
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