“Alcune cose
saranno sempre piu’ forti del tempo e della distanza, più profonde delle parole
e delle abitudini: seguire i propri sogni e imparare ad essere se stessi,
condividendo con gli altri la magia di quella scoperta."
Questa frase mi caratterizza ed è la traccia del mio cammino di
vita.
Mi chiamo Mary Benedettini abito a
Casalecchio di Reno a Bologna. Sono sposata ed ho un figlio
di 40 anni, fa il giornalista e sta per diventare papà, presto vivrò la gioia
di essere nonna! Mio marito lavora come dirigente infermieristico nell’AUSL di
Bologna.
Ho lavorato 40 anni in sanità nella
direzione dell’Azienda USL di Bologna ed ero la responsabile della Promozione
della salute e della comunicazione. Ho iniziato la mia carriera professionale
come logopedista.
”Niente è per caso”
il mio cammino è colorato di coincidenze: è così che mi specializzo in
Logopedia c/o la facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna. Qui incontro
due grandi maestri professionali, ma prima ancora di vita. Partecipo a
Psichiatria democratica con Franco Basaglia. E’ in questo periodo (metà anni
’70) che faccio l’esperienza dei Kibus in Israele e della medicina di comunità
e partecipo attivamente alla de istituzionalizzazione delle scuole speciali e
dei manicomi.
Negli anni ’80 inizio ad occuparmi di formazione in modo
sistematico e mi specializzo all’università
Bocconi come Formatrice.
Sviluppo competenze nell’ambito della comunicazione e della
relazione d’aiuto. Ho una concezione transteorica dei vari approcci, metodi e tecniche.
Il mio cammino di vita, lo studio, il lavoro, l’attività professionale, si sono
sempre integrate in una ricerca continua dove la sfida e il mio mettermi in
gioco mi hanno permesso di sperimentarmi, arricchirmi e mi hanno anche fatto
incontrare dolori e fragilità.
Da pensionata,
inizio la storia di volontaria in Madagascar
con la consapevolezza di aprire il mio cuore senza limiti e
abbracciare il mio nuovo percorso in una visione olistica della vita, delle
persone e della salute.
Ora
sono una felice pensionata e mi dedico alla mia famiglia, ai miei hobby tra i
quali la scrittura e fare la volontaria nell’Associazione Amici di Ampasilava.
Scrivo
soprattutto poesie: la poesia è per me un grande viatico,
non propone ideologie e né facili cambiamenti; ma si rivolge alle coscienze e
alle anime, e come sempre, si assume il compito di tener desta nell'umanità il
più alto senso della propria missione e dei propri valori."
Mi sono formata con la cultura accademica, oggi anche se la ritengo fondamentale, credo
molto anche alla cultura dell'origine, per cui dando ascolto a questo mio lato
ho lasciato fluire quello che
mi dettava l'ispirazione. Anche il mare è un dizionario, il cielo,
la natura, i visi delle persone, i loro corpi, il rumore del silenzio.
Sin da bambina
amavo scrivere e sognavo di diventare una maestra scrittrice. Le mie nonne sono
state la prime persone che mi hanno raccontato i miti, le grandi visioni del
mare, le voci del vento, del fiume, le
metamorfosi della luna, le storie delle sirene e dei folletti, mettendomi a
contatto con la polifonia delle voci e dei suoni della natura, dove gli
animali, gli alberi, i fiori erano personaggi che sapevano comunicare fra di
loro e con gli umani. Forse sono state un grande stimolo ad intraprendere le
avventure della scrittura.
Anche nel mio lavoro ho potuto sperimentare
l’utilizzo della narrazione (che, come ricordava spesso Gregory Bateson, sono
l’ espressione essenziale del pensiero umano, della mente umana) e spesso anche
nella relazione di cura aiuta ad affrontare i dolori, la malattia.
Anche nel libro Filao –L’albero della vita- le narrazioni hanno fatto emergere
le risorse che coronano gli Amici di
Ampasilava con l'ospedale Vezo di Andavadoaka e
ha aiutato anche ad affrontare, le tante difficoltà che ogni giorno si
incontrano in questo ambiente, il nostro inconscio ha gli anticorpi al dolore
stesso.
Ci sono esperienze che si fanno con un solo bagaglio. Il
cuore
A tutti prima o poi capita di vivere una coincidenza incredibile
capace di modificare almeno in parte il corso dell’esistenza. A me è successo
incontrando quasi per caso cinque anni fa Sandro e Rosy a una cena di
beneficenza dove presentavano l’esperienza dell’ospedale Vezo in Madagascar.
Sentita la presentazione di questa realtà ho percepito l’amore di queste persone per la
popolazione malgascia e per quello che stavano facendo.
Ho sentito che quella era la realizzazione di un mio sogno. Sin da
quando frequentavo la scuola Superiore coltivavo il sogno di fare un’esperienza
di volontariato in Africa o in qualche altro Paese povero. Spesso incontriamo
le persone che dobbiamo incontrare. Nulla è per caso e le sensazioni che
pavimentano il nostro cammino ci portano dritto verso i sogni che osiamo
sognare.
Ho
iniziato cosi la mia prima missione di volontaria, parto per il Madagascar mietuto sì da malattie,
miseria e rassegnazione, ma anche pieno di colori e gioia di vivere.
Intraprendere
un viaggio per un’esperienza di volontariato,
può essere dettato da una decisione che risponde a un bisogno intimo non
sempre definito. Si parte, si va via dalla propria casa, dai propri affetti,
dalle cose materiali che ci legano alla vita di tutti i giorni via dalle
abitudini consolidate, si lascia il mondo del noto per l’ignoto.
Mi
risuonavano nella mente le tante domande che mi erano state rivolte poco prima,
da chi non ha mai provato questa felicità fatta di uno strano senso di
responsabilità e passione. “Ma perché parti per un posto così lontano?”, “Non
ci sono poveri e bisognosi nella tua città?” “Perché? Quale vuoto devi
colmare?” “Perché questo bisogno di aiutare il Madagascar?”...
Mi fanno
sorridere e mi dispiace per loro. Dalla mia
breve esperienza, posso dire che se fanno queste domande è perché le stesse
persone hanno forse paura di immergersi in tanta diversità, e si trascinano
nella loro consolidata quotidianità.
In verità è proprio qui che entra in gioco il destino, c’entrano forze che qualcuno chiama Dio, qualcun altro Destino o Caso e che, per quanto ci sforziamo, non comprenderemo mai veramente. Non si può smettere di andare e ripartire.
In verità è proprio qui che entra in gioco il destino, c’entrano forze che qualcuno chiama Dio, qualcun altro Destino o Caso e che, per quanto ci sforziamo, non comprenderemo mai veramente. Non si può smettere di andare e ripartire.
Dopo 10 ore di volo arrivo
ad Antananarivo. Nella periferia di Tanà spiccano i rettangoli verdissimi delle
coltivazioni di riso, molto diversa da Tulear, a sud del Madagascar sul tropico
del Capricorno, una piccola cittadina in grande sviluppo dove il sorriso delle
persone ti avvolge come il suo caldo soffocante. Da questi luoghi non volano solo gli uccelli e gli angeli, ma iniziano a
volare anche i sogni.
E’ mattina presto quando
partiamo da Tulear verso l’ ospedale “VEZO” di Andavadoaka lasciandoci alle
spalle una cittadina ancora intenta al risveglio.
Ci attendono otto ore di
jeep su una pista in molti tratti battuta, ove il rischio di insabbiarsi è
dietro ogni curva, ma dove il cuore non va mai fuori
strada perché le difficoltà del viaggio sono ampiamente mitigate da
scorci di panorama sul mare e passaggi nella foresta che ti lasciano senza
respiro.
Dopo
due giorni di viaggio tra aerei e jeep,
arrivo alla Corte dei Gechi ad Andavadoaka e, immediatamente, mi sento al mio
posto. Avverto sensazioni strane, non definibili, come se questo contatto così
duro, forte in tutte le sue dimensioni
avesse bisogno di essere assorbito.
C’è un caldo infernale. L’ospedale Vezo, sperduto tra la sabbia è avvolto da un cielo blu che si confonde
con la luce del mare. E’ lì COSTELLATO DI VITA E TI ASPETTA.
Tutto
intorno sabbia bianca, odori forti,
gente che cammina sotto il sole cocente e i visi accoglienti e sorridenti degli
amici della corte. Questo basta per respirare un’aria di familiarità e di
serenità, per sentirsi nella seconda casa.
Appena arrivata inizio a lavorare in ospedale, in
ambulatorio con Sandro, medico “scalzo” prodigo cuore e grande generosità
professionale e umana.
Un grande senso di pace mi permea,
ho avuto bisogno di assaporare il contatto con le persone, di entrare in
rapporto con tutto il contesto, me lo sono vissuto profondamente, la mia mente
vuota da pensieri, c’è spazio solo per il
sentire.
Ci si accorge
subito di ritrovarsi lì, dove il tempo si è fermato, dove tutto è dettato dal
sorgere e dal tramontare del sole. Le ore, i minuti, il tempo è computato dal
canto del gallo, dalle note dei gechi che durante la notte, alcune volte
insonne per il troppo caldo, tengono
compagnia.
Come quando scrivo poesie, non ho risposte, ogni mia domanda può
solo generare altre domande. Il mio cuore parla in modo dubbioso, non
definitivo, non chiude, ma apre ulteriori spazi alla riflessione e sembra
condividere con ogni persona che incontro, intuizioni, sensazioni, paure,
gioie, serenità. E’ come se, benché viva in un universo apparentemente
governato dalla casualità, in questo luogo mi accompagni l’incontro.
In
ospedale vieni accolta dalle tante persone sedute sulle panche, in serena attesa, salutano con un tenue
“salama”. E noi con rispetto, umiltà, compassione, empatia, rimaniamo lì, tutti
i giorni, ad accogliere gli ammalati e a fare il possibile per curarli,
cercando di accettare le differenze culturali, sociali, ambientali, per andare
incontro ai loro bisogni.
Mi
saocia. Mi saocia mi risuona tutt’ora, la gratitudine fa parte dei loro usuali
comportamenti, è la parola che rappresenta
in maggior misura l’esperienza fatta all’Ospital Vezo.
Molti vengono da lontano, giorni e giorni di
viaggio, chilometri di piste sterrate, arrivano con i vestiti impolverati, stanchi, corpi bianchi
di sabbia e spesso malati. Chi è fortunato arriva con il taxibrousse, che non
si sa come possa stare in piedi così stracarico di cose e persone.
C’è
chi arriva col carro trainato dagli zebu, e chi invece arriva a piedi dopo
ore di
cammino sotto il sole cocente. Tutto questo perché credono in noi, e si
affidano alle cure che l’ospedale offre.
La
gente è sempre sorridente e tranquilla regala serenità a pacchi, la loro è una
gratitudine delicata, timorosa.
Il mio linguaggio , il mio modo speciale
di leggere il mondo è sempre stato legato ai profumi e ai colori del giorno di
cui spesso inseguo l'aroma impalpabile nelle ore in fuga. Queste sensazioni, questi
colori, questa luce la custodisco e la porto con me in Italia affinchè non ci
sia grigio che mi dipinga.
Ma quello che ha colorato in modo
indelebile il mio animo sono il sorriso dei bambini, la solidarietà delle persone,
il “Changa changa” "mora mora" (Cammina piano ,piano),
il "tsy misy probleme", non ci sono problemi, il loro vivere la giornata, il presente.
Tutto qui viene accettato come
ineluttabile, la malattia, il dolore e anche la morte .
Qui
ho imparato l’umiltà, confrontandomi ogni giorno con la mie carenze di conoscenza, di mezzi, di ascolto, di
dialogo. Sapere di non sapere, volere
fare ma non avere sempre la possibilità. Ricordo un bambino di soli 10
anni, che si era fatto una bruttissima multi-frattura
ad una gamba cadendo dal carro, aveva un dolore enorme, erano due giorni che
viaggiava sul carro traballante trainato da due zebù, la sua pelle nera era
coperta da sabbia bianca.
Con
la persona malgascia che traduce gli diciamo: “ti facciamo una puntura per
farti stare meglio e poi una radiografia” … e lui “fatemi tutto quello che è
necessario purché mi facciate guarire, Misaucia”.Purtroppo a quel bambino
non abbiamo potuto fare niente: necessitava di un complesso intervento
ortopedico e noi non avevamo i mezzi. Con dolore ho imparato ad accettare i
limiti che in ospedale ci sono, non si può rispondere a tutte le necessità … E’
straordinario come questa gente sa accettare il fato e sa morire in una terra
immobile e senza tempo, bruciata dal sole, ricoperta di sabbia finissima e
bianchissima, circondata da arbusti spinosi, stracolma di bambini sempre
chiassosi e sorridenti ma spesso lesionati nel corpo.
A
maggio riparto per la sesta missione, tutte le esperienze sono state enormi, incredibili sia sul piano professionale, sia personale,
sia su quello umano.
Grazie
alle persone Malgasce ho imparato a
godere delle piccole cose, a non avvelenare la vita con la costante pretesa di
avere di più.
Potrei
continuare all’infinito a raccontare vissuti di questa mia esperienza, ma per
cercare di capire e conoscere l'altra faccia del pianeta e della luna, occorre
essere lì, presenti e vivere tutto quello che quel mondo ti offre.
Una
cosa è certa, negli occhi della gente, neri come l’ebano, profondi come il
mare, fulgenti come le stelle, si trova la forza e il coraggio per andare
oltre.
Da
tutti voi ho imparato il rispetto, la dignità, la semplicità, il vivere con
tanta intensità e amore il presente, insomma ho imparato a vedere il mondo un
po’ con i vostri occhi.
Dagli
Amici di Ampasilava presenti alla Corte dei Gechi, ho imparato che non si è mai
soli a voler costruire un mondo migliore.
Quando torno in Madagascar è un po’ come tornare a casa.
Mi è diventata familiare questa terra che amo e che mi manca tanto quando le
sono lontana da un po’.
Il Madagascar mi ha insegnato a
guardare il mondo con occhi nuovi, a liberare la mente dai pensieri così
da godere delle piccole cose alle quali non ero più abituata. Imparo in fretta
quanto è preziosa quell’acqua che non per tutti esce copiosa da un rubinetto.
Non c’è frenesia qui: le
giornate che sono scandite dal sorgere e dal tramontare del sole mi regalano
colori impensabili, sorrisi di gente umile ed ospitale, sapori di cibi semplici
e genuini.
“Ciò che l’occhio ha visto, il cuore
non dimentica”. E’ un popolo di viandanti. Rivoli di persone ai bordi delle
strade: bambini, adulti, anziani. Qui, come nei vari villaggi, la vita si
svolge sulla strada. Le capanne sono solamente un luogo dove ripararsi dal buio
della notte o dalla pioggia: una sola stanza con il fuoco, spesso esterno per
cucinare e quando va bene una stuoia per
terra per mangiare e dormire...
Madagascar... e
il tempo sospeso. L’arida regione sul canale di Mozambico, con la foresta
spinosa costellata di baobab e cactus, le spiagge di sabbia bianca, le acque
turchesi protette dalla barriera corallina, le piroghe dei pescatori
all’orizzonte sono un ricordo di mari polinesiani in terra africana. Ma la
bellezza e l’armonia dei paesaggi contrastano con le condizioni e i disagi in
cui si trova a vivere la maggior parte dei suoi abitanti.
Il Madagascar è tra i paesi più poveri al
mondo: più di metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà di un euro
al giorno, l’aspettativa di vita è al di sotto dei 50 anni e un bambino su 7
non sopravvive oltre i 5 anni; scarse condizioni igieniche e malattie, prima
tra tutte la malaria, continuano a decimare la popolazione.
Qui cresce
un grande senso di appartenenza sia alla realtà dell’ospedale, della corte dei
gechi , delle persone che incontri e alla natura. A una natura che ti fa sentire viva, partecipe
di quell'universo immenso che ci sta attorno, del mare, del sole, del vento,
del cielo, della terra asciutta e polverosa e dalle persone con il sorriso
splendente.
Si vive
profondamente l'essenzialità, una condizione nella quale l'attenzione al mondo
e quella rivolta all'interno non si oppongono, ma coesistono.
Queste
esperienze mi hanno rafforzato alcuni comportamenti: scelgo gli Amici di
Ampasilava perchè hanno un cuore grande e la passione dell'aiuto e regalano
agli altri i loro gesti e la loro opera, per me è stato importante fare l'esperienza di volontario in
questa realtà anche perchè mi ha
permesso di esprimermi ed espandere al massimo il mio valore.
Quest’anno ho concretizzato l’idea di scrivere un libro “FILAO –L’ALBERO DELLA VITA_ Storie e poesie in terra Malgascia
HO deciso
di lasciare una traccia di questa grande opera che Sandro e Rosy hanno
costruito; un’Opera che tutti i giorni viene plasmata da tutte le persone che
arrivano per essere curate e da tutti i volontari che offrono le cure di cui
hanno bisogno.
E’ un libro a una sola voce, la mia, ma anche
collettivo in cui le note del solista fanno da sfondo alle voci di un coro di
volontari. E’ un libro a più dimensioni,
in cui si mescolano ieri, oggi e perché no un po’ di domani. E’ un libro in cui
la cura, il contesto si sposano con la poesia, le parole scorrono e diventano
immagini a indicare che tutto è
correlato e nel centro ogni cosa converge a diventare UNO.
Vuole
anche offrire un contributo di comprensione di una cultura così diversa e
distante dalla nostra. Apparentemente lontana perché sommersa nel profondo del
nostro animo ma che lì li fa riemergere come l’essenza della vita e l’amore
siano valori universali. Ma fra le righe s’incontrano altre cose preziose che
le persone là, in quella terra portano con sé e donano a chi incontrano: la
semplicità, la spontaneità, il loro entusiasmo e la loro infinita gratitudine.
Tutto l’incasso del libro sarà
devoluto all’Associazione ONLUS Amici di Ampasilava-Madagascar.
Poesia estratta dal libro
che dedico a tutte le persone Malgasce che ho incontrato nelle mie missioni
Gratitudine
Apro gli occhi
a quell’incredibile gamma
di colori
che costantemente mi viene
offerta
per la delizia di questa
natura arcaica.
Guardo il cielo,
osservo quanto è diverso;
da un momento all’altro
le nuvole vanno e vengono
e, nella sorpresa, il tempo
passa
con le sue molteplici
sfumature.
Così vorrei aprire
il cuore a queste
meraviglie,
lasciarle scorrere dentro
di me
perche’ tutte le persone
che incontro
ne siano benedette.
Così la gratitudine
trabocca intorno a noi.
E così come insegna questa
gente
ogni giorno è una buona
giornata
Aza ataonao fitia
ranon –trambo: be fihavy, ka mora ritra. Fa ataovy tahaka ny rano am-pasika: tsy
nampoizina hisy, Ka nahazoana” (ohabolana malagasy)
“ Che il vostro amore non sia
come l’acqua di un torrente : scende in grande abbondanza ma ben presto
sparisce. Sia invece come l’acqua nascosta nella sabbia : non ti aspetti che ci
sia, ma se ne può sempre attingere
(Detto malgascio)
PS: Il libro di Maria Benedettini è disponibile e costa solo 13 euro, potrete farne richiesta a "Il mio Madagascar" e vi sarà inviato.
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