mercoledì 19 febbraio 2014

Racconti di viaggio in Madagascar di Franco Emilio

Da Genova a Ambositra, in Madagascar, e a brevissimo ad Antananarivo: Franco Emilio Risso, genovese, è il nuovo volontario Ravinala/Reggio Terzo Mondo sul Progetto di Commercio Equo&Bio
Alcune righe per noi di “prime impressioni”, grazie alle quali ci siamo sentiti proiettati ancora una volta sull'Isola Rossa.
Dopo una serie di turbolenze  l'aereo riesce finalmente ad atterrare ad Antananarivo. Dodici ore di volo e 4 di attesa all'aeroporto Charles de Gaulle ed eccomi finalmente in Madagascar. Sono le due di notte del sette gennaio e nell’emisfero sud è piena estate. 

Ad accogliermi subito i colleghi, anche loro stanchi e assonnati. E notte e il buio nasconde le domande, l'unica luce è quella dei numerosi posti di blocco disseminati tra l'aeroporto e la casa. Fortunatamente i poliziotti non ubriachi di tòaka (distillato di canna da zucchero) dopo alcune domande ci lasciano andare senza pagare il consueto bonne année.

A mattina inoltrata mi sveglio con calma senza fretta. Nel pomeriggio giro in macchina e rimango colpito da due cose: le strade del quartiere e i risciò.
Le strade sono di ciottoli piccoli con ai bordi i canali di scolo per le acque piovane e gli scarichi domestici, non ci sono odori, anzi tutto è apparentemente ordinato e pulito in contrasto con la confusione circostante. Sono strette, affollate ci passiamo a stento con la macchina, sono strade fatte per i risciò. Non i risciò elettrici e neppure quelli trainati da animali o attaccati ad una bici. No, questi sono risciò spinti a mano con la sola forza delle gambe, una forza che si vede ad ogni passo ad ogni metro di salita, si vede nel sudore che cola, nei piedi scalzi che fanno presa sulla strada. Vedi la tensione dei porteurs, tutto il corpo ed ogni muscolo in trazione solo per loro, i clienti, i trasportati. Solitamente donne, regine per un tragitto, sprofondate nel sedile con i piedi rilassati e stesi.
Sono i piedi i veri protagonisti. Piedi nudi, piedi scalzi, piedi duri come scorze di cedro.  Piedi vigorosi, forti e danzanti su una terra dura e accogliente. Questo il simbolo più vero di quest’Africa che continua ad affascinarci. I piedi sono anche il vero mezzo di trasporto, il più utilizzato e il più diffuso, dettano così i ritmi alla quotidianità, rallentandola.
Dai piedi passiamo alle mani perché oggi vi racconto un’altra storia quella di Bernard. Anche lui cammina e cammina vive isolato in un villaggio lontano da strade battute in un luogo impervio sospeso nel tempo come le foreste millenarie che lo circondano. Con i piedi si sposta e con le mani modella il legno lo lavora in modo raffinato e preciso.
Bernard fa parte di un ancestrale gruppo etnico, gli Zafimaniry, che rifugiatisi nell’entroterra per sfuggire alle guerre tribali hanno vissuto isolati per generazioni diventando i veri custodi delle foreste. Ancora oggi per raggiungere i loro villaggi bisogna camminare ore a volte giornate su sentieri scoscesi che diventano impraticabili durante la stagione delle piogge.

Letteralmente Zafimaniry vuol dire “i discendenti che desiderano”, significato pieno di nostalgia, rimpianto per qualcosa di perso o abbandonato. Il nome suona quasi come una maledizione: i discendenti che desiderano vivranno sempre nella riva dell’insoddisfazione. Si dice che il nome derivi dalla loro prima migrazione, infatti i loro antenati vivevano nelle pianure centrali vicino ai cari terreni di riso. Il clan, allora un sottogruppo dei Betsilei, abbandona i terreni per rifugiarsi nelle montagne alle porte della foresta e il loro più grande rimpianto saranno proprio le risaie da cui si sono allontanati.  In cambio del terreno trovano una foresta lussureggiante ricca di legno pregiato che diventa il loro più grande patrimonio.
L’isolamento e l’abbondanza di alberi (oltre 20 tipi endemici ognuno adatto ad una specifica lavorazione) hanno permesso lo sviluppo di competenze e capacità uniche nella lavorazione del legno (riconosciute patrimonio intangibile dell’umanità nel 2003 dall’UNESCO). Le loro doti sono visibili in ogni lavorazione, dagli oggetti di uso quotidiano alle case costruite e assemblate interamente con giunture tradizionali senza chiodi o cerniere metalliche.
Purtroppo, la foresta l’hanno amata fino ad ammazzarla. La distesa boscosa di un tempo è oggi ridotta ad un sottile corridoio che si restringe di anno in anno. A incidere sulla deforestazione è anche il tavy (l’agricoltura di sussistenza praticata con la tecnica del taglia e bruci per dissodare il terreno) che riduce sempre di più le foreste lasciando meno spazio ad alberi millenari come palissandro e bois de rose dalla crescita lentissima.
Grazie al Commercio Equo, si è dato più valore al loro artigianato, non solo perché viene pagato alla consegna ad un prezzo concordato regolarmente, ma soprattutto, perché, impegnandosi in attività di rimboschimento e di taglio responsabile del palissandro, gli stessi Zafimaniry contribuiscono a rendere più sostenibile e duraturo il loro lavoro. Allo stesso tempo, stanno utilizzando sempre di più i legni ordinari, che, anche se meno pregiati, hanno una crescita più veloce e quindi non contribuiscono a ridurre le foreste millenarie delle montagne Zafimaniry” 
Franco Emilio Risso, collaboratore della Cooperativa Ravinala e dell’ONG Reggio Terzo Mondo, referente in Madagascar per il progetto di Commercio Equo&Bio. 

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