venerdì 30 novembre 2012

Il Peperoncino: No alle solite leggende: può far bene, ma anche male, molto male


 Fa bene al sesso”, “cura tutte le malattie”, dicono nei bar di provincia nel Sud d’Italia e del Mondo, dall’India alla Calabria, dalla Cina all’Abruzzo, dal Messico alla Spagna, da Cuba al Brasile (e ora ovviamente nei più balordi siti di Internet), i religionari del piccante, coloro che seguendo i mangiatori dozzinali Mao Tse Tung e Che Guevara (per i quali “il piccante è rivoluzionario”) in cuor loro si sentono eroi del dolore “virile” (perché questo, sotto sotto, è il problema…), quello da bruciore, proprio come i Cinesi amano (e patiscono per questo i tumori a bocca ed esofago) oltre al piccante anche il bollente (tè e zuppe, ma anche semplice acqua bollente) che fanno soffrire “ma temprano”. Sono i sostenitori fanatici autonominatisi “esperti” del peperoncino piccante, capaci anche se non sanno leggere e interpretare uno studio e odiano la scienza, di scrivere perfino opuscoli e “libri” che ne elencano senza il minimo senso critico mirabolanti proprietà, sempre ignorando o tacendo sui suoi effetti secondari gravi. E’ un fanatismo, una religione.
Piace a tutti, certo, insaporire con un sapore deciso un piatto evidentemente scondito. Ma perché era scondito? Questo è un altro punto da sottolineare: non si usano per ignoranza e insensibilità le tante erbe aromatiche e i tanti sapori delicati offerti dalla Natura, e si preferisce coprire tutto con un solo sapore pungente, rozzo e invadente che fotografa in modo impietoso la mancanza di gusto e raffinatezza del cuoco. Fateci caso: i grandi utilizzatori del piccante in genere non capiscono nulla di gastronomia, sono gente di bocca buona. Il piccante anestetizza la lingua e il gusto.
Nonostante le superstizioni del popolino risalenti ai tempi degli Antichi, quando i tanti poveri invidiavano il pepe dei pochissimi ricchi, il piccante ha sempre un valore biologico negativo. Alla luce dell’ecologia e dell’evoluzione, il sapore piccante è interpretato come un segnale di pericolo da parte della Natura, un avvertimento della specie al predatore (e l’uomo, tanto più se vegetariano o naturista, dopo gli animali erbivori è il “predatore” per antonomasia di vegetali), proprio come gli aculei d’un istrice o le affilate unghie d’un gatto dovrebbero dissuadere i loro attaccanti carnivori. La differenza è che il piccante “avverte” in tempo il predatore: si pensi ai tanti funghi velenosi di sapore piccante.
E che il peperoncino possa non solo far bene (è, tra l’altro, antidolorifico e mucocinetico), ma anche far male, non è frutto di chissà quali revisionismi anti-Natura di oggi: è ingenuo, sottoculturale e anti-naturista idealizzare la Natura come “buona” in ogni caso, come ben sapeva il saggio Socrate mentre beveva la cicuta. Del resto la selezione dei cibi tra tutti quelli possibili, spezie comprese, è interamente opera dell’Uomo. Già nel mio Manuale di Terapie con gli Alimenti (1995) sulla base di numerosi studi, anche di ricercatori indiani, che di piccante s’intendono e vedono ogni giorno numerosissimi cancri alla bocca, allo stomaco e al fegato (l’Estremo Oriente è primo al Mondo!) si poneva il problema dei danni da cibi piccanti. Come, p.es, lo studio di oncologi di Bombay (India) sui topi, il quale evidenzia che «chilli acts as a promoter in stomach and liver carcinogenesis», cioè il peperoncino agisce come un promotore della carcinogenesi in stomaco e fegato (Agrawal et al.), lo studio di Toth e coll. che avevano osservato tumori duodenali in animali trattati con capsaicina, e lo studio degli indiani Chitra e coll.

Un problema dibattuto è se aumenti o diminuisca il rischio ulcera gastrica, e irriti o lesioni fegato e reni. Su questo ci sono studi con esiti diversi: alcuni (Myers e coll). hanno documentato danni al DNA e sanguinamenti nello stomaco simili a quelli ottenuti con l’aspirina; altri dopo un pasto “messicano” con 30 g di peperoncino jalapeño in 12 volontari non hanno visto erosioni allo stomaco (Graham e coll.). Del resto, tutte le spezie se usate in eccesso, cronicamente e insieme tra loro (il che spesso amplifica gli effetti, positivi e negativi), danno rischi. Come la yaji, popolare salsa ricca di spezie (peperoncino, pepe nero, chiodo di garofano e zenzero) usata quotidianamente in Nigeria, che ha fatto mettere le mani nei capelli ai biopatologi nigeriani in uno studio che riporta il maggior rischio di necrosi del fegato (Nwaopara e coll.) e altri danni tra cui una potente reazione immunitaria, infiammazioni, e nei casi più gravi nefropatie, lesioni cutanee, fibrosi, cirrosi epatica (A.A. Eddy). Ma sono evidentemente, come nella dieta di alcuni strati popolari urbani in Asia e Africa, casi legati ad alimentazione carente di cibi antiossidanti, poco o nulla riferibili alla nostra alimentazione. Però denunciano quello che potrebbero fare le spezie se assunte in modo sbagliato e in diete sbagliate, come può accadere anche da noi in anziani, malati, giovani, soggetti culturalmente isolati ed emarginati. Più vicini a noi i rischi di irritazione e infiammazione nell’ultimo tratto intestinale e ancor più alle vie urinarie, e talvolta – nei casi di abusi prolungati –  con maggior rischio di prostatite (la prostata è molto sensibile alle spezie irritanti) e perfino, a lungo andare, di tumore della prostata.
Il pungente peperoncino aiuta come efficace mucocinetico a eliminare il catarro bronchiale, ma intanto provoca quel sintomo leggero e passeggero chiamato ialoproctite (bruciore anale). Per uso topico, cosparso in soluzione oleosa sulla parte dolorante, è un potente antidolorifico (infatti era presente nel rimpianto “Linimento Sloan”), perché interrompe la trasmissione del dolore attraverso le fibre nervose periferiche C (ma in alcuni casi agisce perfino sui neuroni centrali, ha provato la rivista Pain), attutendo o facendo cessare dolori e pruriti post-erpetici che magari duravano da anni (“fuoco di S.Antonio” o herpes zoster).
Ma in individui e diete a rischio può provocare nuovi e gravissimi dolori, quelli da tumori della bocca, della gola, dell’esofago ecc. Vale la pena abusarne? No, decisamente no. E talvolta non vale neanche la pena usarne. Ai primi problemi, ai primi sintomi anomali, meglio smettere del tutto, e ricorrere semmai ad altre spezie. Oltretutto il peperoncino ha sapore, ma non ha odore. Che per una spezia non è il massimo.
Il peperoncino, stando ai tanti studi pubblicati e alle inesorabili statistiche mediche, si comporta proprio come un "condimento del diavolo": fa insieme bene (piccole quantità e uso sporadico) e male (grandi quantità e uso quotidiano). Come si usa fare in Oriente e solo in poche zone d’Italia (Calabria, Abruzzo). Consumarlo spesso o in abbondanza, e senza accompagnarlo nel medesimo pasto da molti cibi protettivi (dal peperoncino!), come insalate crude abbondanti e frutta e perfino latte, fa solo male. Parlano gli studi epidemiologici in Asia e Sud del Mondo, ma anche i consigli degli urologi. Si sapeva già del maggior rischio di irritazione alle vie urinarie e di tumori alla bocca e alle alte vie digestive. Ora emerge anche il rischio prostata.
''Il peperoncino – spiega il prof. Vincenzo Mirone, presidente della SIU (Società Italiana di Urologia) – usato spesso come Viagra dei poveri, non deve essere consumato in eccesso, se si vogliono evitare guai e rischi di tumore alla prostata. Un uso sconsiderato infatti infiamma la ghiandola, stimolando il desiderio nell'uomo da una parte, ma facendo venire anche la prostatite, legata ai tumori, così come dimostrano gli ultimi studi scientifici'' (Giornata europea di informazione sulle malattie della prostata. Ansa, 12 settembre 2007). E il tumore della prostata è la principale causa di morte per tumore nella popolazione maschile, dopo quello al polmone. “Il peperoncino non va consumato più di due volte a settimana", raccomanda l'esperto. "Una notizia, questa – commenta con ironia il prof. Franco Cuccurullo, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e rettore dell'Università di Chieti – che in molte Regioni del Meridione potrebbe condurre alla pubblica lapidazione chi le diffonde. Ma non bisogna avere paura di dire la verità quando di mezzo c'è la salute". Perciò occorre maggiore divulgazione: “Al sud – ha ricordato – si fa un uso smodato di peperoncino. Dobbiamo dire a tutti che non è senza conseguenze”(Agi, 12 settembre 2007).
E il prof. Fabrizio Iacono, urologo dell’università «Federico II» di Napoli, conferma: «I cibi piccanti, contrariamente ai luoghi comuni sul loro valore afrodisiaco, sono da evitare perché creano infiammazione» (interv. M. Pappagallo, Corr. Sera. 20 agosto 2012). E soprattutto «Il peperoncino abbinato a un superalcolico potrebbe essere causa di défaillance imbarazzanti: o nulla o troppa velocità (eiaculatio praecox)». Insomma, lavox populi e tutti gli opuscoli e articoletti sul web e i dépliant del Capsor sbagliano. E meno male che Iacono, Mirone e Cuccurullo sono tutti uomini di scienza meridionali! Essendo intelligenti prendono le distanze dalle superstizioni tipiche del Sud.
Triste parabola del piccante. Un tempo il pepe, altra spezia utile ma irritante, importato via Samarcanda da Giava e Malabar, era un costosissimo condimento da Re. Nei forzieri del Tesoro pubblico dell'antica Roma imperiale c'erano sacchi di pepe, come se fosse oro, per tacere degli Horrea piperataria. Per millenni i poveri hanno invidiato ai ricchi due sapori che non potevano facilmente avere: il dolce e il piccante. Ma il secondo è il più raro in Natura. Grazie a Cristoforo Colombo che lo importò dall'America, col peperoncino, che è economicissimo e cresce dappertutto, anche sul davanzale d’una finestra, finalmente anche i poveri potevano conoscere il sapore piccante. E si sentirono tutti Re.
Ma nel piccante c'è il tranello. Già il sapore dovrebbe mettere sull’avviso. Il piccante, come l’amaro, in una visione evoluzionistica dei rapporti trofici tra animali e piante, è considerato una allarme. Nella lotta incessante tra piante e animali predatori, la Natura sembra “difendere” le piante con pesticidi antibiotici o antinutritivi o fitormonali o comunque tossici, che allontanano o puniscono la specie degli invasori. Ma che pensare d’un veleno di difesa che "tradisce" la specie vegetale che dovrebbe difendere facendosi "scoprire" per il suo sapore piccante? Gli etologi e gli entomologi ci diranno se insetti e bruchi siano in grado di percepire il piccante. E i predatori mammiferi? E l’Uomo, che a differenza degli animali, consumatori eventuali e casuali, ne è talvolta un grande consumatore? Quel che è certo, è che gli uccelli non sentono il piccante del peperoncino, e infatti hanno contribuito mangiandone le bacche a diffonderne i semi in varie parti del mondo.
Dopo la pubblicazione del mio "Manuale di terapie con gli alimenti" della Mondadori, distrutto dallo stress e ancora timoroso su come un librone di 760 pagine, con 3200 riferimenti scientifici (una cosa che neanche esisteva nelle università Usa, figuriamoci in quelle italiane), sarebbe stato accolto dal largo pubblico italiano, mi rinfrancai solo grazie ad una commovente lettera d'un anziano di 80 anni che mi ringraziava come se io fossi stato un taumaturgo. Il poveretto soffriva da 10 anni di herpes zoster ("fuoco di S.Antonio") con dolori lancinanti e-o prurito. Sul mio libro aveva letto, alla voce "Dolore" lo studio con cui i ricercatori avevano provato che la capsaicina – il principio attivo pungente del peperoncino – attraverso la sostanza P riesce, in un complesso meccanismo d'azione, a interrompere la trasmissione del dolore. Il vecchio si era fatto da sé o aveva commissionato in farmacia, seguendo le indicazioni del mio libro, un "olio al peperoncino" non molto diverso da quello per uso alimentare, lo aveva spalmato sulla parte dolorante, massaggiando bene. E, riferiva che per la prima volta in 10 anni il dolore e il prurito erano del tutto scomparsi.
Oltre questo uso "topico", locale, l'uso alimentare è ben noto. Porta vantaggi, come una capacità mucocinetica, ovvero tale da umidificare l'albero respiratorio ed espellere il muco. Alle volte, quando si è un po' raffreddati e intasati, un brodo piccante con peperoncino ci fa bene. Ed ha anche un’azione antiossidante. Ho letto studi che lo considerano addirittura anticancro, ma evidentemente in organi diversi da quelli di cui stiamo parlando. Ha anche un curioso effetto paradosso: secondo alcuni, stimolando a reagire la mucosa gastrica (“reazione adattativa”), come dire, ipotonica, in alcuni casi potrebbe aumentare perfino le difese anti-ulcera. Ho proprio letto così in un lontano studio, e perciò ho inserito questa proprietà difensiva nella voce "Peperoncino" dell’enciclopedico manuale Alimentazione Naturale.
Ma alcuni studi più recenti su giovani volontari sani consumatori della tipica "pizza di New York" tanto di moda tra i latinos, perché al peperoncino piccante messicano "jalapeno", hanno evidenziato preoccupanti microlesioni a livello dello stomaco.
In epidemiologia, poi, sono dolori. E’ ormai super-provato che i popoli dell’estremo Oriente, forti consumatori di peperoncino, pepe e altre droghe molto piccanti (e tra i vari cibi piccanti, come pepe e peperoncino, sono analoghi i pregi, i difetti e i meccanismi d'azione, al contrario di quanto crede la gente), hanno un maggior rischio di tumori al naso, alla bocca, alla laringe e all'esofago.
Quindi il sapore piccante, di per sé, è una spia di cibo potenzialmente tossico, che solo una dieta antiossidante ricca di verdure e frutta può neutralizzare e consentire, entro certi limiti (es: una dieta naturale all’antica). Basti pensare ai tanti funghi piccanti, stupidamente ricercatissimi e a caro prezzo, proprio nelle stesse province in cui si eccede in peperoncino, tutti velenosi, poco, molto o moltissimo (alcuni potenzialmente mortali: dipende dalla quantità e ripetizione del pasto, perché la tossina si accumula), da Lactarius acerrimus, il fungo “asquant” del Barese, a L. piperatus, in Calabria essiccato e polverizzato come se fosse peperoncino, alle russole piccanti, come R. emetica o peperino.
Così come sono tossici molti altri composti naturali anche poco piccanti, come gli indolo-glucosinolati delle Brassicacee (rucola, ravanello, rafano, broccoli, crescione, rapa, broccoletti di rapa, ecc.), che proprio grazie alla loro tossicità spingono addirittura all’apoptosi o suicidio programmato le cellule cancerose. La Natura ha tanti, apparenti contrasti: in questo caso “chiodo scaccia chiodo”. 
Fatto sta, e tutti i medici urologi lo sanno, che molti, anche in Italia, dopo aver ripetutamente consumato cibi ricchi di peperoncino manifestano bruciore e perfino difficoltà alla minzione, o minzioni ripetute (stranguria, come l’eccesso di crescione, in cui però prevale l’effetto anticancro dei tiocianati), o la già detta ialoproctite, caratteristico bruciore anale alla defecazione.
Ma il maggior rischio di cancro da spezie piccanti degli Orientali va interpretato con intelligenza. Quei popoli per ragioni igieniche consumano di rado verdure crude (protettive delle alte vie digestive) e poco o niente latte (tranne che in India), anch’esso protettivo. E per di più hanno una dieta complessiva ad alto rischio, perché insieme col piccante ingeriscono ogni giorno per tutta la vita anche una quantità di salsa di soia, cibi affumicati o sotto sale (presenza del radicale N-nitroso, quindi nitrosamine, e poi muffe, aflatossine e altre sostanze cancerogene). Il piccante in eccesso, in quel contesto a rischio, è la ciliegina sulla torta.
Da noi, in Europa e specialmente in Italia, dove il piccante è meno frequente per l’idiosincrasia di casalinghe e cuochi verso le spezie, e comunque il peperoncino viene tamponato dalla tipica abbondanza di verdure, frutti crudi, latte e latticini, il rischio è di gran lunga minore. Tanto che, ma solo in rari casi, potrebbero prevalere i vantaggi del dannatissimo "pepe rosso" o "della Cayenna", imitazione popolare del pepe dei Re. Ma non in paesini e regioni dove il peperoncino è talmente diffuso nella dieta da essere diventato ormai un condimento quotidiano, anzi, una sorta di emblema abusivo del mangiar bene e della buona salute.
In ogni caso, prudenza e molta moderazione con questi "veleni naturali". Non fatevi convincere da certi opuscoli di esaltati, come capitò a me da giovanissimo, quando spargevo peperoncino su tutte le pietanze, a pranzo e a cena. Non imitate i montanari calabresi della leggenda che mangiavano il peperoncino piccantissimo (“diavolicchiu”) a morsi, accompagnandolo solo con poco pane e molto vino, e fumandoci pure sopra. Consumatelo di rado, in polvere, quindi ben amalgamato ai cibi, in piccole quantità e durante pasti abbondanti, ricchi di verdura e frutta fresca, per esempio arance. E, se siete uomini, non più di una o due volte a settimana, come consigliano i medici della SIU. E ai primi sintomi (bruciore, stranguria ecc.) smettete.
Alcuni costituenti del peperoncino sono irritanti, il che potrebbe plausibilmente aumentare l’infiammazione nello stomaco. In sintesi [sul forte consumo di peperoncino]
 “esiste una evidenza che suggerisce una sua associazione con un aumentato rischio di cancro allo stomaco”.
In altre parole, i severi criteri scientifici usati dai due organismi nel valutare gli studi finora pubblicati fanno sì che il maggior rischio statisticamente significativo ci sia, anche se non alto. Il che non vuol dire "basso rischio", sia chiaro, ma solo che finora non si è ancora riusciti ad avere le prove di un rischio alto. Il che è comprensibile, vista la difficoltà estrema di separare il consumo di un cibo – tanto più di una spezia che si misura in grammi o decigrammi – dalla dieta generale di un individuo o di una popolazione. Fatto sta che questa semplice prova di rischio deve mettere in moderato allarme, spingendoci ad evitare ogni eccesso.
E tanti studi epidemiologici in estremo Oriente mostrano alti tassi di tumori alla bocca, al naso e alle alte vie digestive, per l’abuso tipico degli orientali di alimenti piccanti, soprattutto peperoncino, uniti a cibi conservati sotto sale, e non accompagnati da adeguati consumi di verdure e latticini, come invece accade in Occidente.
Infine il problema della eventuale cottura. Può essere cotto il peperoncino? No, assolutamente: il calore distrugge parte dei suoi principi attivi. In India, dove però si abbonda in piccante e anche il peperoncino viene mescolato ad altre spezie (p.es. è nel curry), può capitare che sia cotto o più spesso (e più correttamente) aggiunto in fine cottura. La differenza è una questione di tempi e di consistenza. Si può tollerare che sia aggiunto a pezzetti in fine cottura al riso e coinvolto in un minuto di cottura, ma non quando è in polvere: va aggiunto a fuoco spento o direttamente sui piatti, a seconda dei gusti di ognuno.
Fonte Nico Valerio http://alimentazione-naturale.blogspot.it
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